“Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita. Perciò odio gli indifferenti.” Antonio Gramsci
02 dicembre 2018
AMELIA ROSSELLI E LA POESIA AL FEMMINILE
LA NUOVA POESIA AL FEMMINILE.
INTERVISTA AD AMELIA ROSSELLI di sergio falcone
Dal ’68 in poi, in poesia, sono accaduti molti fatti nuovi. Si parla
di boom della poesia. Ma con quali fondamenti? Un bilancio, sia pure per
sommi capi, va fatto. Negli anni ottanta, per esempio, lo scrivere al
femminile è diventato l’obiettivo di molte donne che, abbandonato il
femminismo ideologico e militante, ritengono di contrastare al maschio
il predominio della scrittura. Sembra che si acquisiscano nuovi spazi
alla poesia. Uscite da una concezione angusta e monotipica della
comunicazione, dello scritto e del parlato, molte donne partecipano alle
letture di poesie per una sorta di spontanea mimesi dei fenomeni del
parlato.
Amelia Rosselli, una delle maggiori esponenti della poesia al femminile,
già nelle antologie di Vincenzo Mengaldo e di Antonio Porta. La sua è
poesia della tensione e della unità, insomma del “contrasto”, e anche
del “suono”, se la poesia si pone il problema fondamentale della
comunicazione. Una poesia dalla intenzione trasmissiva: l’individuazione
del lettore e del suo rapporto col poeta attraverso la situazione del
discorso. Una poesia non facile, fatta di pentimenti e “refusi”
fonetici, sintomo della incertezza e dello sforzo di chi scrive
confrontandosi con un altro e orientandosi sulle sue reazioni.
“Io sono molto prodiga di baci, tu scegli
in me una rosa scarnificata. Senza spine
ma i petali, urgono al chiudersi. Mio
motivo non sognare, dinnanzi alla realtà
ignara. Mio motivo non chiudersi, dinnanzi
alla resa dei conti.
Tu scegli in me un motivo non dischiuso
dinnanzi alla rosa impara”.
E’ una poesia della Rosselli da Serie Ospedaliera di cui è prevista
una ristampa da Garzanti. La precedente edizione è del 1969, in pochi
esemplari.
Nata a Parigi nel 1930, è figlia di Carlo Rosselli, perseguitato e
ucciso nel ’37 dai fascisti. Vissuta a lungo all’estero (Gran Bretagna,
Francia, Stati Uniti), risiede a Roma dal ’50. Il suo esordio in poesia
risale al ’63, grazie a Pier Paolo Pasolini. L’anno seguente apparve da
Garzanti il suo primo libro, Variazioni belliche; nel ’76, sempre da
Garzanti, Documento. La sua è una poetica – come diceva Pasolini – fra
surrealista e traumatica.
Si può parlare di nuova poesia al femminile?
“Per un elenco delle opere ‘che contano’, aspettiamo ancora. Per ora,
alcuni nomi: Rossana Ombres, Armanda Guiducci, Maria Attanasio, che è
tra le migliori. 32 anni, siciliana, pubblica da Guanda. Non mi
interessano Maria Luisa Spaziani e neppure Margherita Guidacci. Di
Patrizia Cavalli mi piace solo il primo libro. Concetta Petrolio, la
moglie di Pagliarani, fa delle cose interessanti. Molto interessante
Ingeborg Bachmann, più nota come scrittrice. Presto da Guanda una scelta
delle sue poesie. E’ uscita postuma da Adelphi, una serie di racconti,
Tre sentieri per il lago”.
Spesso con i poeti, in piazza. Perché?
“La presenza fisica dei poeti non è, nelle letture pubbliche, una
circostanza, ma un fatto costitutivo; senza il quale, come senza il
gruppo del pubblico, non c’è comunicazione. Quindi, il pubblico è il
destinatario diretto e indiretto, necessariamente collettivo. Ho letto
in cantine, in centri culturali. Ma le sensazioni più forti le ho
riportate al teatro del Porcospino. Un pubblico molto attento. Leggevamo
Porta, Pasolini, la Maraini, ed io. E si riusciva a toccare il
pubblico. A Castel Porziano era molto faticoso, con un pubblico
divertito, critico, strano;… così anche quest’anno, a piazza di Siena,
ho aderito perché mi pagavano. Anche un poeta ha diritto a vivere. Ma
non è poi aumentato il pubblico che acquista libri di poesia. C’è un
aumento di giovani che scrivono, questo sì. Gli ultimi arrivati si sono
buttati sulla poesia con una aggressività (o avidità) che la mia
generazione non conosceva”.
Poesia come antidoto, si dice, a che cosa?
“Per la interiorità. Insegna qualcosa sul piano della riflessione. Ma
non risolve traumi o turbamenti personali. Antidoto al consumismo, sì.
Perché la poesia non è ancora un fatto consumistico, fatta eccezione per
alcune traduzioni veloci non sempre attendibili. La qualità è un po’
scesa a favore della quantità. Le letture di poesie incentivano la
divulgazione delle edizioni economiche, anche se poi resta una
diffusione limitata. Non mi dispiace leggere poesie. E’ un mestiere come
un altro da imparare. Ma non si può scherzare su questo. La poesia è
frutto di riflessione, di anni e anni di fatica, se vale qualcosa”.
Riguardo alle tue fonti,… e ai poeti italiani contemporanei…
“Joyce l’ho letto come se fosse la Bibbia. Ho letto molto gli
inglesi, Eliot, Yeats, Frost. Ho letto Pound ma poi ho avuto una
reazione di rigetto. Tra le fonti italiane, soprattutto Pavese, quindi
Montale, Penna, Ungaretti… Mi sto interessando alla mia stessa
generazione, Luzi, Zanzotto, Sereni, Lorenzo Calogero mi ha fatto molto
effetto; Giudici, Fortini ogni tanto ci azzecca; bellissimo La ragazza
Carla di Pagliarani. Sanguineti non mi interessa: troppo derivato da
Pound. Bellezza aveva cominciato come il migliore della sua generazione;
è diseguale, qua e là delle splendide poesie. Ma l’elenco continua con
Cucchi, Giampiero Neri, Raboni, lo stesso Pasolini a cui spesso mi sono
ispirata”.
Per chi si scrive? Qual è il fine della poesia?
“La poesia è una sorta di riassunto, più veritiero forse che la
narrativa stessa. Rifiuta il fantasioso, il fuori dalla realtà. E’ il
romanziere che si picca di interpretare la realtà come fosse la realtà
stessa. Il poeta, invece, si attiene alla realtà, non solo propria, del
proprio passato, degli amici, delle proprie ideologie o temi sociali;
oppure al paesaggio o temi privati, se egli è un poeta di stampo
intimistico. La motivazione a diventare poeta non so da dove mi viene.
Molti poeti vengono dalla musica. Io vengo dalla musicologia e suonavo
molti strumenti. Questo, forse, mi è servito nella ricerca di una nuova
metrica”.
Che cosa comunica, secondo te, la poesia?
“Per quanto mi riguarda, voglio comunicare un ritmo metrico mio,
senza trascurare il contenuto non necessariamente drammatizzato. Poi, mi
accorgo che il pubblico percepisce il senso di una poesia, se accentuo
il contenuto, e non tanto la forma o il ritmo metrico. Del resto, il mio
problema formale metrico è privato. Non è detto che il pubblico debba
sempre capirlo. In poesia, mi esprimo anche politicamente. Qualche
critico intravede nella mia tematica un’ombra di umanesimo
rivoluzionario. Sul piano sociale, la poesia può servire se si tocca il
reale, non tanto l’esperienza personale. E’ poesia, secondo me,
soprattutto riuscire a trasmettere questa esperienza del reale
collettivo”.
INTERVISTA AD AMELIA ROSSELLI
di sergio falcone
Dal ’68 in poi, in poesia, sono accaduti molti fatti nuovi. Si parla di boom della poesia. Ma con quali fondamenti? Un bilancio, sia pure per sommi capi, va fatto. Negli anni ottanta, per esempio, lo scrivere al femminile è diventato l’obiettivo di molte donne che, abbandonato il femminismo ideologico e militante, ritengono di contrastare al maschio il predominio della scrittura. Sembra che si acquisiscano nuovi spazi alla poesia. Uscite da una concezione angusta e monotipica della comunicazione, dello scritto e del parlato, molte donne partecipano alle letture di poesie per una sorta di spontanea mimesi dei fenomeni del parlato.
Amelia Rosselli, una delle maggiori esponenti della poesia al femminile, già nelle antologie di Vincenzo Mengaldo e di Antonio Porta. La sua è poesia della tensione e della unità, insomma del “contrasto”, e anche del “suono”, se la poesia si pone il problema fondamentale della comunicazione. Una poesia dalla intenzione trasmissiva: l’individuazione del lettore e del suo rapporto col poeta attraverso la situazione del discorso. Una poesia non facile, fatta di pentimenti e “refusi” fonetici, sintomo della incertezza e dello sforzo di chi scrive confrontandosi con un altro e orientandosi sulle sue reazioni.
“Io sono molto prodiga di baci, tu scegli
in me una rosa scarnificata. Senza spine
ma i petali, urgono al chiudersi. Mio
motivo non sognare, dinnanzi alla realtà
ignara. Mio motivo non chiudersi, dinnanzi
alla resa dei conti.
Tu scegli in me un motivo non dischiuso
dinnanzi alla rosa impara”.
E’ una poesia della Rosselli da Serie Ospedaliera di cui è prevista una ristampa da Garzanti. La precedente edizione è del 1969, in pochi esemplari.
Nata a Parigi nel 1930, è figlia di Carlo Rosselli, perseguitato e ucciso nel ’37 dai fascisti. Vissuta a lungo all’estero (Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti), risiede a Roma dal ’50. Il suo esordio in poesia risale al ’63, grazie a Pier Paolo Pasolini. L’anno seguente apparve da Garzanti il suo primo libro, Variazioni belliche; nel ’76, sempre da Garzanti, Documento. La sua è una poetica – come diceva Pasolini – fra surrealista e traumatica.
Si può parlare di nuova poesia al femminile?
“Per un elenco delle opere ‘che contano’, aspettiamo ancora. Per ora, alcuni nomi: Rossana Ombres, Armanda Guiducci, Maria Attanasio, che è tra le migliori. 32 anni, siciliana, pubblica da Guanda. Non mi interessano Maria Luisa Spaziani e neppure Margherita Guidacci. Di Patrizia Cavalli mi piace solo il primo libro. Concetta Petrolio, la moglie di Pagliarani, fa delle cose interessanti. Molto interessante Ingeborg Bachmann, più nota come scrittrice. Presto da Guanda una scelta delle sue poesie. E’ uscita postuma da Adelphi, una serie di racconti, Tre sentieri per il lago”.
Spesso con i poeti, in piazza. Perché?
“La presenza fisica dei poeti non è, nelle letture pubbliche, una circostanza, ma un fatto costitutivo; senza il quale, come senza il gruppo del pubblico, non c’è comunicazione. Quindi, il pubblico è il destinatario diretto e indiretto, necessariamente collettivo. Ho letto in cantine, in centri culturali. Ma le sensazioni più forti le ho riportate al teatro del Porcospino. Un pubblico molto attento. Leggevamo Porta, Pasolini, la Maraini, ed io. E si riusciva a toccare il pubblico. A Castel Porziano era molto faticoso, con un pubblico divertito, critico, strano;… così anche quest’anno, a piazza di Siena, ho aderito perché mi pagavano. Anche un poeta ha diritto a vivere. Ma non è poi aumentato il pubblico che acquista libri di poesia. C’è un aumento di giovani che scrivono, questo sì. Gli ultimi arrivati si sono buttati sulla poesia con una aggressività (o avidità) che la mia generazione non conosceva”.
Poesia come antidoto, si dice, a che cosa?
“Per la interiorità. Insegna qualcosa sul piano della riflessione. Ma non risolve traumi o turbamenti personali. Antidoto al consumismo, sì. Perché la poesia non è ancora un fatto consumistico, fatta eccezione per alcune traduzioni veloci non sempre attendibili. La qualità è un po’ scesa a favore della quantità. Le letture di poesie incentivano la divulgazione delle edizioni economiche, anche se poi resta una diffusione limitata. Non mi dispiace leggere poesie. E’ un mestiere come un altro da imparare. Ma non si può scherzare su questo. La poesia è frutto di riflessione, di anni e anni di fatica, se vale qualcosa”.
Riguardo alle tue fonti,… e ai poeti italiani contemporanei…
“Joyce l’ho letto come se fosse la Bibbia. Ho letto molto gli inglesi, Eliot, Yeats, Frost. Ho letto Pound ma poi ho avuto una reazione di rigetto. Tra le fonti italiane, soprattutto Pavese, quindi Montale, Penna, Ungaretti… Mi sto interessando alla mia stessa generazione, Luzi, Zanzotto, Sereni, Lorenzo Calogero mi ha fatto molto effetto; Giudici, Fortini ogni tanto ci azzecca; bellissimo La ragazza Carla di Pagliarani. Sanguineti non mi interessa: troppo derivato da Pound. Bellezza aveva cominciato come il migliore della sua generazione; è diseguale, qua e là delle splendide poesie. Ma l’elenco continua con Cucchi, Giampiero Neri, Raboni, lo stesso Pasolini a cui spesso mi sono ispirata”.
Per chi si scrive? Qual è il fine della poesia?
“La poesia è una sorta di riassunto, più veritiero forse che la narrativa stessa. Rifiuta il fantasioso, il fuori dalla realtà. E’ il romanziere che si picca di interpretare la realtà come fosse la realtà stessa. Il poeta, invece, si attiene alla realtà, non solo propria, del proprio passato, degli amici, delle proprie ideologie o temi sociali; oppure al paesaggio o temi privati, se egli è un poeta di stampo intimistico. La motivazione a diventare poeta non so da dove mi viene. Molti poeti vengono dalla musica. Io vengo dalla musicologia e suonavo molti strumenti. Questo, forse, mi è servito nella ricerca di una nuova metrica”.
Che cosa comunica, secondo te, la poesia?
“Per quanto mi riguarda, voglio comunicare un ritmo metrico mio, senza trascurare il contenuto non necessariamente drammatizzato. Poi, mi accorgo che il pubblico percepisce il senso di una poesia, se accentuo il contenuto, e non tanto la forma o il ritmo metrico. Del resto, il mio problema formale metrico è privato. Non è detto che il pubblico debba sempre capirlo. In poesia, mi esprimo anche politicamente. Qualche critico intravede nella mia tematica un’ombra di umanesimo rivoluzionario. Sul piano sociale, la poesia può servire se si tocca il reale, non tanto l’esperienza personale. E’ poesia, secondo me, soprattutto riuscire a trasmettere questa esperienza del reale collettivo”.
Testo ripreso da https://rebstein.wordpress.com/