Marettimo
A Marettimo, nel
paradiso delle Egadi, una scoperta che potrebbe rivoluzionare le
conoscenze sul Mediterraneo antico. Oltre novemila anni fa cacciatori
venivano per mare a cacciare i cervi.
Franco Brevini
Navigatori di novemila
anni fa
La storia della
navigazione nel Mediterraneo iniziò duemila anni prima di quanto si
fosse creduto finora. Lo proverebbe la scoperta nella Grotta del
Tuono, sull’isola di Marettimo, di un cervo fossile e di resti di
cibo, che permetterebbero di anticipare al Mesolitico le prime rotte
finora attribuite al Neolitico. Autore del ritrovamento, che
rivoluziona la navigazione nel Mare Nostrum, una guida alpina
valtellinese, Jacopo Merizzi.
Da una quindicina d’anni sta esplorando gli angoli più impervi e remoti di questa isola delle Egadi, che nel 1894 aveva colpito anche Samuel Butler, uno dei grandi scrittori «immorali» dell’Inghilterra vittoriana.
Non sappiamo se Marettimo sia davvero servita, come Butler riteneva, da modello per la descrizione dell’Itaca di Odisseo, ma è certo che, come prova la datazione al Carbonio 14 dei reperti della Grotta del Tuono, con rudimentali imbarcazioni già novemila anni fa i nostri predecessori venivano a cacciare i cervi su Hiera, «sacra», come i greci chiamavano Marettimo, anche se il nome attuale viene dall’arabo Malitimah.
La scoperta «Ero a Marettimo, in acqua – ricorda Merizzi – mi sono arrampicato in parete e ho notato un ripiano. Lì c’erano due tibie. Pensavo fosse una sepoltura ritualizzata. Poi, grazie anche alle preziose ricerche condotte da Fabrizio Antonioli e dalla sua squadra, abbiamo scoperto che si trattava di un cervo di 8.700 anni fa».
Già nel 2003, arrampicando insieme a Jacopo Merizzi nei pressi di Punta Troia, dove sorge il castello in cui furono rinchiuse decine di patrioti, fra cui Guglielmo Pepe, ci eravamo infilati nella grotta della Pipa, trovandola ricoperta da un tappeto di cocci, che andavano dall’età del bronzo all’ellenismo fino all’Impero. L’acqua che scorreva all’interno faceva di questo luogo un prezioso punto di approvvigionamento idrico, probabilmente raggiunto dal mare con una serie di scale, che superavano la parete di roccia che noi avevamo scalato.
I frammenti e le tracce Qualche mese fa, proseguendo le esplorazioni per definire il tracciato del trekking dei Barranchi, una straordinaria traversata sul versante più selvaggio di Marettimo, Merizzi ha compiuto un’altra scoperta. Nei pressi della cima del Pizzo San Francesco di Paola, che strapiomba sul mare con un’impressionante falesia, frammenti di vasellame e tracce di sentiero testimoniavano un’antica frequentazione. Trattandosi degli unici reperti sull’intero versante ed essendo collocati in una zona impervia, raggiungibile soltanto con una scalata su roccia di secondo e terzo grado, l’opinione degli archeologi è che quella torre costituisse un punto d’osservazione e un faro naturale, su cui i cartaginesi si spingevano per accendere un fuoco di segnalazione, non visibile ai romani di Levanzo e Favignana, perché protetto dalla soprastante mole del Pizzo Falcone.
La datazione dei cocci tra il II e il IV secolo, confermata anche dal professo Sebastiano Tusa, noto archeologo e oggi assessore regionale dei Beni Culturali, ci riporta alle guerre puniche, quando in queste acque venne combattuta la decisiva battaglia delle Egadi, che dopo oltre vent’anni concluse con la disfatta dei cartaginesi la prima guerra punica.
Archeologia e turismo Marettimo si presenta dunque come uno straordinario giacimento archeologico, ma anche gli appassionati di trekking attendono l’apertura del percorso dei Barranchi, che ripercorre le zone delle recenti scoperte archeologiche.
«Sarà un temibile concorrente di Selvaggio Blu, il più famoso percorso tra roccia e mare della Sardegna – conclude Merizzi —. Per Marettimo una straordinaria opportunità di rilanciare il turismo anche nei mesi invernali».
Il Corriere della sera –
2 novembre 2018
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