26 dicembre 2018

JE SUIS L'AUTRE. Il primitivismo nella scultura del 900



Je suis l’autre. Giacometti, Picasso e gli altri. Il Primitivismo nella scultura del Novecento

La mostra Je suis l’autre. Giacometti, Picasso e gli altri. Il Primitivismo nella scultura del Novecento, allestita nelle Grandi Aule delle Terme di Diocleziano, raccoglie ottanta opere, tra sculture di grandi maestri del Novecento e capolavori di arte etnica.

Un’arte rivelatrice di tensioni e bisogni profondi dell’individuo, in grado di entrare senza paura nel mondo del mito e nella sfera dell’utopia, anche quella politica, e di affermare che la fedeltà all’apparenza non poteva essere più considerata a priori la misura dell’arte.
La Mostra resterà aperta fino al 20 gennaio 2019. Proponiamo una pagina dell'introduzione al catalogo (Electa edizioni).



Francesco Paolo Campione

Introduzione

A partire dalla metà dell’Ottocento, e poi ininterrottamente per oltre un secolo – complici prima di tutto le politiche coloniali – l’irruzione sulla scena mondiale delle culture non-occidentali produsse nel campo delle arti visive una vera e propria rivoluzione: si estese l’universo delle fonti per gli artisti – generi, forme, decorazioni – ed emerse e crebbe il desiderio di oltrepassare visioni e schemi che il realismo europeo aveva ereditato da almeno quattro secoli di riflessione estetica.

Ai primi del Novecento, nell’ambiente sempre più cosmopolita delle grandi città dell’Europa centrale, un vero e proprio “incontro fatale” si trasformò in un duraturo innamoramento che, nonostante l’egemonia del modello sancito dal pensiero occidentale, e lungi dal creare una frattura creativa, generò una feconda apertura culturale e la prima vera convergenza del mondo nell’arte.

Sollecitata dalla formidabile pluralità delle nuove fonti, la grammatica degli artisti si poté adattare a un’infinità di linguaggi che sorgevano da riflessioni e sperimentazioni avviate a liberarsi definitivamente dai condizionamenti ideologici e formali del passato. Determinanti furono, in tal senso, le arti orientali e le arti etniche e popolari, le quali – in assenza di definizioni consolidate – furono variamente definite come “arcaiche”, “esotiche”, “coloniali”, “naturali”, “negre”, “selvagge”, “primordiali”, “tribali” e “primitive”, riprendendo e spesso risemantizzando, senza una vera uniformità, concetti che appartenevano alla storia della cultura occidentale.

Considerate nel loro insieme, tali arti configurarono un vasto “armamentario primitivista” che ben presto comprese anche le pitture rupestri dei cacciatori paleolitici, le statuette cicladiche, le sculture medievali, le icone e – non ultime – l’arte infantile e quella che col tempo prenderà il nome di art brut. Si trattava, peraltro, della faccia di una medaglia su cui erano incise, dall’altra parte, le emozioni provocate dal pensiero di paesi lontani e gli apporti figurativi che erano entrati a far parte delle espressioni artistiche e letterarie della cultura occidentale.

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Guardando le cose da un’ottica strumentale, l’“armamentario primitivista”, oltre che un formidabile corredo d’ispirazioni di ogni genere, fornì le chiavi per aprire le porte di una poetica che oltrepassava decisamente i confini della realtà e della natura. Per questo molti artisti divennero assidui frequentatori dei musei di etnologia e appassionati collezionisti di arte etnica, stringendo durature relazioni di collaborazione con i curatori e i direttori delle maggiori raccolte europee e americane e con una sempre più estesa rete di mercanti e di conoscitori.
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In tal senso l’“armamentario primitivista” operò innanzitutto come un “catalizzatore” che accentrò, accelerò e dinamizzò un processo di reazione artistica, senza però esserne modificato nella sostanza.

Fra l’artista e le opere d’arte che trascendevano la tradizione dell’Occidente, offrendo un emotivo e poderoso strumento di sintesi e di astrazione, fu coltivato un dialogo, in gran parte segreto, dal quale doveva promanare una speciale energia e una bellezza particolare, di cui ancora oggi rimane traccia, fra l’altro, nelle foto in bianco e nero delle case e degli atelier di molti pittori e scultori del Novecento.

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