A sette anni dalla
morte di Lucio Magri riappare una lettera inedita che il filosofo
francese gli scrisse nel 1962. Un tributo straordinario e l’inizio
di un assai stretto rapporto con il gruppo del Manifesto.
Luciana Castellina
Una riunione di
redazione con Sartre
Questa lettera che
Jean Paul Sartre scrisse a Lucio Magri il 27 luglio 1962 l’ho
ritrovata per caso solo tre giorni fa, quando Alessandra, figlia
della mia più antica amica d’infanzia, me l’ha portata, dopo
averla trovata riordinando le carte di sua madre deceduta da non
molto. Era in una busta con su scritto «per Luciana», perché lei
stessa doveva averla scovata fra le carte dell’allora suo marito
Ugo Baduel, grande amico di Lucio. Ed è ancora per caso che questo
ritrovamento sia avvenuto due giorni prima del triste settimo
anniversario della morte di Lucio, 28 novembre 2011.
Che è dunque l’occasione
per pubblicarla. Non solo perché è un tributo straordinario a uno
dei fondatori de il manifesto, ma perché segna l’inizio
dell’assai stretto rapporto che da allora, e poi fino alla sua
scomparsa, ha legato il nostro gruppo al filosofo francese.
L’originale della
lettera dattiloscritta di Sartre
Nella sua missiva Sartre
si riferisce al lungo saggio che, di molto ampliandolo, riprendeva
l’intervento pronunciato da Lucio in uno storico convegno promosso
dall’Istituto Gramsci nel febbraio precedente su «Tendenze del
neocapitalismo», severamente attaccato da Giorgio Amendola.
Il confronto è sul tema
che costituì il nocciolo dell’«ingraismo», destinato ad
accendersi sempre più negli anni successivi, fino ad esplodere nel
famoso XI congresso del Pci, nel 1966, quando tutti i partigiani di
quella tendenza furono emarginati dal partito. E che poi il gruppo
che fondò la rivista de il manifesto sviluppò oltre i
limiti della liceità allora consentita nel partito, fino a subire la
radiazione.
Per dirla in due parole
si trattava del giudizio sulla fase di sviluppo del capitalismo
italiano, se esso fosse ormai integrato nel sistema politico ed
economico occidentale, e dunque ne mostrasse tutte le nuove
contraddizioni, o non presentasse invece tutt’ora le
caratteristiche di una società relativamente arretrata.
«Una corretta analisi –
scrive Lucio nel saggio che verrà pubblicato nel n°196-7
settembre-ottobre della rivista diretta da Sartre Les Temps
Modernes(ripubblicato quasi interamente in Alla ricerca di un
altro comunismo, la raccolta di scritti di Magri edita dopo la sua
morte da Il Saggiatore) – non potrà superare le difficoltà di
affrontare un avversario profondamente trasformato se non ne capirà
la vera natura e le dimensioni».
Oltre alle relazioni al
convegno del Gramsci di Amendola e Trentin Les Temps
Modernes pubblicò anche, come contributo italiano al dibattito
e sotto il titolo «Espansione monopolistica e strategia operaia,
scritti di Lelio Basso ( si tratta di un suo editoriale su Problemi
del socialismo) e di Vittorio Foa (l’introduzione al n°1 di
Quaderni Rossi).
Curiosamente accanto agli
interventi dei due notissimi esponenti della sinistra, Sartre pose il
saggio di un giovane sconosciuto quale allora Lucio era ma che aveva
avuto la sfacciataggine di contestare Amendola. Una presa di
posizione, dunque, da parte della rivista francese, ulteriormente
esaltata dall’introduzione al fascicolo – intitolato «Fatti e
problemi della lotta operaia» – di André Gorz che allo scritto di
Lucio si riferisce di continuo.
Sartre aveva stabilito un
rapporto assai stretto con il Pci fin dagli anni ’50 e segnatamente
con la Casa della Cultura di Milano, (prima diretta da Antonio Banfi
e successivamente da Rossana Rossanda) che aveva svolto in quegli
anni un ruolo di punta nel panorama culturale italiano, aprendosi
alle nuove correnti artistiche e filosofiche europee. Non senza
contrasti, anche aspri, con la direzione del Pci e segnatamente con
Togliatti (basti ricordare il caso Vittorini). Che poi, tuttavia,
chiamerà, nel 62, proprio Rossana a dirigere la sezione culturale
nazionale. E fu proprio lei che fece incontrare Togliatti,
incuriosito dal filosofo francese, con Sartre. Un incontro che dette
luogo a un rapporto strettissimo fra i due, tanto che, quando il
segretario del Pci morì, Sartre scrisse un’intera pagina
de l’Unità (poi ripubblicata su Les Temps Modernes)
intitolata «Il mio amico Togliatti».
Fu a partire da quel
Convegno del Gramsci, tuttavia, che Jean Paul Sartre cominciò anche
a mettere il naso nel dibattito che stava affiorando all’interno
del Pci.
Dopo quel saggio di Mafri
del ’62 furono molti gli scritti del nostro gruppo che Temps
Modernes ripubblicò: di Magri stesso un articolo sui fronti
popolari, anche questo assieme, e in contrasto, con uno sullo stesso
tema di Amendola; l’intero libro, in tre puntate, sugli
«Avvenimenti del maggio» francese (ora ripubblicato da
Manifestolibri). Poi, quando esce la nostra rivista, sono moltissimi
gli scritti ripresi da Temps Modernes: di Rossana su Mao e poi
sul Cile, un mio «Rapporto sulla Fiat», infine, in due puntate, le
intere Tesi «Per il Comunismo».
Ma la cosa più
significativa fu l’incontro, il 27 agosto 1969, quando della
rivista erano usciti ancora solo pochi numeri, fra Sartre e la nostra
redazione. Seduti attorno allo storico tavolo coperto di panno verde
dello stanzone di Piazza del Grillo ci fu una appassionata
discussione sui temi del rapporto masse/partito e
spontaneità/coscienza. La preziosa registrazione fu pubblicata sia
sul Manifesto (n°4 ) che su Temps Modernes, assieme
allo storico articolo di Rossana «Da Marx a Marx», sotto il titolo:
«Il rischio della spontaneità e la logica dell’istituzione».
Dopo che fummo radiati
dal Pci Temps Modernes annunciò che nel suo numero successivo
avrebbe dato conto del dibattito che aveva portato alla radiazione,
aggiungendo questa frase: «Che non costituisce affatto una
sconfitta».
I compagni di Libération,
il quotidiano cui aveva dato vita la Gauche Proletarienne in
cu Sartre stesso fu impegnato, venne, non a caso, alla redazione
del manifesto quotidiano nato nel frattempo a imparare come
si faceva un giornale senza soldi.
Sartre non ebbe tempo di
scrivere sul nostro quotidiano perché presto si ammalò e divenne
cieco. Ma c’è però, nel ’72, una sua singolare collaborazione:
un vero e proprio reportage da Parigi. Il titolo: «Rispunta il
razzismo. L’assassinio di Mohamed Diab da parte del brigadiere
Marquet».
Il Manifesto – 28
novembre 2018
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