06 dicembre 2018

CICCINO CARBONE VISTO DA VALERIA SARA LO BUE




francesco carbone e giacomo giardina


        Ciccino - così si faceva chiamare dagli amici - ci ha lasciati in un freddo dicembre di 19 anni fa. Devo tanto al suo spirito creativo e alla sua  amicizia. Mi è dispiaciuto tanto non essergli stato accanto nel suo periodo più creativo - gli anni settanta, quando ero impegnato con Danilo Dolci a Trappeto - e nei suoi ultimi dolorosi anni di vita. 
     Abbiamo provato a fare un pò di conti con la sua memoria dedicandogli nel gennaio del 2014 un numero monografico di NUOVA BUSAMBRA. Ma i debiti con persone capaci di donarsi agli altri in modo disinteressato, come ricorda di seguito Valeria Sara Lo Bue, con la sua consueta sincera passione, non si potranno mai saldare.  (fv)

Questo è Francesco Carbone.
Nato in Libia nel 1923 morto a Palermo nel 1999.
Qualcuno lo ha conosciuto, qualcuno ne ha sentito parlare.
Io ne avevo sentito parlare.
Passando di bocca in bocca la sua immagine di intellettuale amico degli ultimi si è ingigantita, poi sfocata, infine è divenuta leggendaria, fino a perdersi quasi del tutto. Mi sono appassionata alla sua figura e al suo operato alcuni anni fa. E non io soltanto.
Chi era? Un critico teatrale? Un animatore culturale? Un professore? Un artista? Un uomo capace di mettersi a capo delle lotte contadine e di farsi arrestare? E di vedersi liberare dagli stessi contadini e bovari ai quali spiegava con semplicità credibile che l'arte rende liberi ma che non ci si può sottrarre o rassegnare alle cose del mondo quando il mondo si mostra feroce? Uno che si è dato più agli altri che a sé stesso, come lui stesso ha ammesso? L'operato eclettico, a tratti contraddittorio, di un uomo che mai si è posto come maestro, piuttosto come mentore disinteressato, amico generoso e intellettuale pieno di contenuti, è il principale aspetto emerso dai racconti di chi lo ha conosciuto. Per incontrare questi racconti, qualche anno fa, mi sono, ci siamo - perché noi non siamo solo in mezzo agli altri ma siamo fatti degli altri, diceva- infilati in un vespaio. La "cupezza", così qualcuno ha detto, alla quale Ciccino, così lo chiamavano, tentava di sottrarre principalmente la sua vita, di siciliano colto in pieno prepotente boom economico, e di conseguenza la vita degli altri, in maniera trasversale e interclassista, in parte ha vinto. In parte no. Un uomo così non ha eredi e non può averne. Ma se solo sapessi che un giorno, anche dopo una morte in ospedale, alla quale hanno assistito solo due autentici amici, Giusto Sucato e Toti Garraffa, potrei lasciare negli altri il ricordo affettuoso e vero e la stima che Francesco Carbone ha lasciato in tutti, anche nei suoi oppositori, anche nei suoi "traditori", accetterei questa apparente "sconfitta" questo oblio. Non predicava nulla, diceva piuttosto, e poi agiva e lasciava al tempo la scelta o il compito di diffondere o vanificare l'operato, indefinibile, di un'intera vita. Grata per sempre ad uomini e donne così. Se ce l'hanno fatta loro a resistere, penso, allora si può fare. Si deve poter fare.

Valeria Sara Lo Bue

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