LE DONNE E IL LINGUAGGIO DI
SCIASCIA
A
proposito di Leonardo Sciascia negli occhi delle donne, un libro di
Rossana Cavaliere
a
Del sentire con un solo orecchio
Per una personale riluttanza al dovere scientifico di separare
autore e opera, di tutti gli scrittori uomini che mi hanno lasciato parole
indelebili, nella memoria a lungo termine, mi sono sempre chiesta, da donna,
come parlassero e che tipo di linguaggio usassero, nella vita quotidiana e
nelle relazioni interpersonali. Nel caso di Leonardo Sciascia, pormi questo
interrogativo è stato anche un passaggio obbligato mentre, desiderando scavare
nella sua attività didattica, dovevo fare i conti con la volatilità delle sue
parole di maestro, e confrontare le indicazioni contenute nei suoi
registri scolastici – per esempio quelle sull’uso del dialetto siciliano in
classe – con le testimonianze dei suoi ex-alunni. Pur non avendolo mai
incontrato per ragioni anagrafiche, devo così tante cose, a questo mio
conterraneo illustre – da scoperte letterarie (non ultima, la femminista Elvira
Mancuso, ancora sostanzialmente confinata nell’ombra tipica delle scrittrici-“maestrine”),
a modalità di pensiero che mi hanno segnato, fino all’inizio della stessa
collaborazione con il magazine su cui mi si legge –, che ho spesso sentito il
bisogno di recuperare videointerviste online e riascoltarne la voce, pur
percependo questa forma di gratitudine ideale come una minaccia all’obbligo di
analizzare il macrotesto dei suoi discorsi in maniera lucida e distaccata (o di
“sentirli con un solo orecchio”, per parafrasare un titolo sciasciano). A
cominciare da quelle scomodissime
parole sulle donne immortalate da Franca Leosini nel 1974 e strategicamente
riproposte dall’Espresso per il centenario della nascita dello scrittore.
Discorsi extra-letterari
Prima di leggere Leonardo Sciascia negli occhi delle donne,
un libro di Rossana Cavaliere recentemente pubblicato da Vallecchi che
raccoglie interviste tutte al femminile, la mia familiarità con lo
Sciascia-uomo si fondava (con l’unica, indimenticabile eccezione di Susi Siino,
co-autrice dell’antologia L’età e le età) su aneddoti che ho avuto
modo di ascoltare da voci maschili: dai nipoti Fabrizio e Vito, ad Antonio Di
Grado, direttore, per volere di Sciascia, della Fondazione omonima. Sebbene,
poi, da quando ho cominciato a occuparmi dello scrittore di Racalmuto, si
susseguano studi letterari (di donne: Amaduri, Carta, 2013; Cavaliere, 2019;
Perrone, 2021) tesi a scagionare lo scrittore dall’accusa di misoginia e
conservatorismo reazionario sulla questione femminile, resta il dato innegabile
che, nelle occasioni istituzionali in cui mi è stata data parola in quanto
studiosa di Sciascia, le donne fossero sempre una netta minoranza.
Il merito del libro di Rossana Cavaliere – già curatrice di una
rubrica intitolata Leonardo Sciascia e il femminile per la
rivista Todomodo – è non soltanto quello di farci rivedere per
la prima volta il linguaggio dello Sciascia-uomo (e dunque il suo discorso
extra-letterario) attraverso i racconti di donne che lo hanno conosciuto più o
meno da vicino, ma anche quello di partire da una volontà esplicita: «evitare
il rischio sia di lasciarsi condizionare dal vecchio preconcetto che avrebbe
portato a filtrare tutto attraverso l’attribuzione a Sciascia di una
sotterranea ostilità verso il femminile, sia, viceversa, di incappare in uno
slancio assolutorio aprioristico» (p. 11).
Uomini e no
Le testimonianze raccolte nel libro di Cavaliere – tra di esse,
anche quelle della stessa Franca Leosini, che comincia la sua carriera proprio
con l’intervista Le zie di Sicilia, e di Dacia Maraini, che non gli
perdona quelle parole del 1974, insolitamente dettate da scarso approfondimento
(«se avesse parlato di contadini siciliani o di sfruttati d’epoca feudale, non
sarebbe caduto nella trappola della banalizzazione della storia patriarcale»,
p. 110) –, confermano che, anche sul tema della questione di genere, lo
Sciascia “uomo del Sud” era lo stesso Sciascia che considerò l’epitaffio
«contraddisse e si contraddisse» come suggello della propria esistenza terrena:
un uomo che si pronunciò contro il divorzio, ma che ripudiava il modello del
matrimonio sfarzoso (pp. 194-195); un marito che qualche volta raccontava
storielle di tradimenti, sempre maschili e sempre dalla parte del maschio»
(così dalla testimonianza della giornalista corsa Marcelle Padovani, autrice
della famosa intervista La Sicilia come metafora, che nota anche
come questo retaggio culturale non si riflettesse poi nei suoi schemi di
comportamento, p. 164), ma su cui «la letizia della moglie» –
insolitamente per l’epoca, Sciascia era solito sgravarla dal lavoro in cucina
(p. 198) – «gettava una luce favorevole» (a notarlo fra le altre è Barbara
Alberti, p. 25); lo stesso marito che dichiarò «il matrimonio è stato un
avvenimento importante nella mia vita, non fosse che per la serenità che me ne
è venuta. Se ho potuto scrivere e lavorare, lo devo in gran parte a mia moglie»
(Padovani, 1978); un padre – nome ingombrante per una figlia vittima di
etichette scolastiche come «indegna figlia di un padre illustre» (p. 191)
– che si disse contrario all’idea che le donne lavorassero, ma che
d’altra parte non esitava a incoraggiare la carriera delle giovani giornaliste,
o a chiedere consigli alle donne: «Che ne dici se scrivo di questo?», era
solito domandare a Rita Cirio, con cui nel 1978 accettò di condividere la
rubrica teatrale dell’Espresso, e a cui affidò il dattiloscritto
de L’affaire Moro, affinché lo pubblicasse in anteprima sul “loro”
giornale (pp. 40 e 46).
Incoerenza e coesione
Ricordando i complimenti ricevuti dopo la pubblicazione
dell’intervista incriminata, sostanzialmente “rubata” allo scrittore (e
registrata su nastro) durante cinque giorni di passeggiate romane per
bancarelle e libri, Leosini ricorda: «costituivo una sorta di contraddizione in
termini delle idee che Sciascia esprimeva sulla donna che lavora. Sciascia era
per certi versi un conservatore. A volte mi chiedo se lo fosse davvero o se la
sua non fosse piuttosto una provocazione. [...] Troppo intelligente per essere all’antica.
[...] Non si fossilizzava sulle posizioni espresse per mero fatto di principio
o in nome della coerenza» (p. 95). Sullo scarso interesse di Sciascia per la
coerenza e per le critiche, o se vogliamo sulla provvisorietà delle sue parole,
sempre aperte alla confutazione, si sofferma anche Dacia Maraini, che con le
sue critiche ispirò allo scrittore La strega e il capitano, storia
di una donna accusata di stregoneria e vittima dell’Inquisizione: «forse anche
incalzato dalle femministe, Sciascia ha poi rivolto la sua acuta intelligenza
alla storia delle donne nel passato oscurantista della Chiesa [...]. A volte si
divertiva ad andare controcorrente, e non gli importava di passare per uno che
si contraddice. [...] Di Sciascia credo sia importante ricordare prima di tutto
la sua libertà intellettuale. Una libertà alla quale lui teneva tanto da
trasformarlo a volte in un nemico delle proprie stesse convinzioni» (pp.
110-111). O anche, come ricorda Elisabetta Sgarbi ripercorrendo la
pubblicazione per Bompiani di Alla piacente di Gabriele D’Annunzio,
in un amante di scrittori tecnicamente nemici: «Ricordo la fibrillazione di
Sciascia quando parlava del poema, come lo teneva in mano, quasi fosse qualcosa
di incandescente. Questa adesione così carnale di Sciascia a un poema erotico
di un autore molto distante da lui, come spiega nella sua introduzione, mi
sembrava una sorprendente contraddizione con il suo modo di essere» (pp.
236-237).
Lo stile del rispetto
Oltre che informazioni sulla storia di alcuni classici della
bibliografia sciasciana (per esempio l’intervista La Sicilia come
metafora, che fu condotta in italiano, ma pubblicata prima in
francese), Leonardo Sciascia negli occhi delle donne contiene
anche utili informazioni sulle competenze dello scrittore nelle lingue
straniere: «parlavamo in francese per la quotidianità. [...] Aveva una
dizione francese impeccabile», attesta Marcelle Padovani (p. 158), mentre sulle
modalità di comunicazione con Borges Rita Cirio testimonia che «ognuno dei due
scrittori parlava la sua lingua, ma si capivano perfettamente» (p. 51). Le
informazioni più interessanti, sono, però, quelle che illuminano lo stile
comunicativo dello scrittore, evidentemente in contraddizione con il modello di
linguaggio che rispecchia rapporti di potere e tende ad assoggettare la donna
(Scarpa, 2021). Tutte le donne sentite da Rossana Cavaliere confermano,
infatti, l’immagine di un uomo che parlava poco e, per indole, per quanto
immerso in un sostrato culturale preciso, difficilmente avrebbe potuto dire
«Stai zitta» (Murgia, 2021) a una donna o non ascoltare un interlocutrice: «un
uomo pacato, che trasmetteva tranquillità» e non conosceva la collera (p. 188),
che «poteva essere amaro e tagliente, ma mai offensivo e violento», e che
sapeva anche lasciarsi andare al pianto, come successe alla notizia della morte
di Pasolini (p. 213). Un uomo mite, che vedeva nelle vuote discussioni
burocratiche una strategia per spegnere il reale dibattito e rimandare la
soluzione dei problemi politici reali (p. 147), un ex-maestro che con poche
parole riusciva a rendere fruibili anche i concetti filosofici più astrusi (pp.
190-191), che parlava lentamente, con una forte cantilena e inflessione
dialettale, e con quello stile «conventuale» di cui parlò Marcelle Padovani, e
che oggi, grazie a questa nuova intervista, comprendiamo meglio: «Parlava come
scriveva, nessun vocabolo andava sprecato [...]. non dava mai l’impressione di
cedere alla facilità, come se avesse una specie di rispetto interiore per ciò
che aveva appena detto, sostenuto; aveva un rigore che si poteva paragonare al
clima dei conventi dove le parole, più che inventarsi, si ripetono» (p. 146).
Bibliografia
AA. VV., La donna, le donne nell'opera (e nella Sicilia)
di Leonardo Sciascia, a cura di Anna Carta ed Agnese Amaduri,
Acireale-Roma, Bonnano Editore.
R. Cavaliere, Figure femminili nella narrativa poliziesca
di Sciascia: il caso della vedova Roscio, tra realismo e strategie
ironiche, in Leonardo Sciascia (1921-1989). Letteratura, critica,
militanza, a cura di Marina Castiglione e Elena Riccio, Palermo, Università
di Palermo, 2020.
G. D’Annunzio, Alla piacente, a cura di Leonardo
Sciascia, Milano, Bompiani, 1988.
B. Distefano, Sciascia maestro di scuola, Roma,
Carocci, 2019.
L. Sciascia, Le zie di Sicilia, intervista di Franca
Leosini, in "L'Espresso", 27 gennaio 1974.
L. Sciascia, La Sicilia come metafora, a cura di M.
Padovani, Mondadori, Milano 1979.
L. Sciascia, Del dormire con un solo occhio (1987),
in Per un ritratto dello scrittore da giovane, Milano, Adelphi
2000, pp. 11-31.
M. Murgia, Stai zitta, Torino, Einaudi, 2021.
R. Scarpa, Lo stile dell’abuso, Roma, Treccani, 2021.
Articolo ripreso dal
sito della TRECCANI agosto 2023
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