Meritare Pasolini
di Rubina Mendola
Menzogne e tradimenti
Per un ‘grande maestro’, venire assassinato
potrebbe essere il meno. L’oltraggio non tollerato per certi uomini è venir
stimati per posa. Oppure il peggio: essere amati da chi avrebbero disprezzato,
ed è il caso di un’Italia giornalistica e istruita che ricorda Pasolini senza
merito, nell’apologia ruffiana di un idolo culturale che non sa imitare.
Pasolini si dice sia tra gli autori più sfruttati, citati e meno letti del
Novecento italiano, ma non è solo diceria. I protagonisti di questa truffa, che
qualche ottimista definirebbe una pura contraddizione, sono gli italiani. Al
fenomeno dei falsi invalidi si somma quello dei falsi estimatori. Sul piano
formale il congegno acritico funziona egregiamente, e non mancano
maratone radiofoniche apologetiche o annuali cineforum tematici dal taglio
prevedibile, e non si contano i formicai di trasgressivi antisistema (soprattutto
appartenenti al comparto delle discipline umanistiche o delle accademie) che si
proclamano suoi discepoli. Sembrano invisibili, per contro, studiosi, lettori
autentici, parole sincere e analisi competenti. Forse non è sufficiente la
complicità puramente libresca verso Pasolini per capire Pasolini?
Partecipare ‘culturalmente’ in molti casi può significare
pure l’aristocratica diserzione o il boicottaggio, la presa
di distanza dalla parata manifesta e rumorosa, e in questa accezione
snobistica, il vezzo consisterà nell’ indignazione verso il cerimoniale in
oggetto. L’apologia si verifica secondo una direttrice controcorrente (la
retorica, si sa, è versatile e i suoi adepti non meno di lei). E allora la
demagogia sarà la medesima, che la si pratichi prostrandosi al ricordo
collettivo o illudendosi di non prenderne parte. Naturalmente serve avere
in comune con Pasolini perlomeno un terzo della sua sostanza per essere
credibili anche soo con se stessi. L’uomo complicato che diffondeva
intorno a sé panico e disagio, che irritava e umiliava molti suoi lettori e
interlocutori oggi pare un giornalista mansueto, rassicurante, che suscita
tenera condivisione grazie a un esercito della salvezza che dice di aver fatto
sua la lezione del maestro trapassato. Si capisce allora che ammirare Pasolini
è un luogo comune, oltre che obbligo morale. Questa ammirazione burocratica è
terribilmente sinistra, soprattutto se a provarla sono i giovani e adulti
serenamente integrati in scatolette di potere che sognano di riscattare il
passato dei loro avi dagli ideali piccolo borghesi, salvo poi riabbracciarli
una volta consolidato lo status sociale che sognano. Valga per loro il
subdolo motto chesterfieldeano suaviter in modo, fortiter in re e
non certo il nitimur in vetitum di pericolosa
discendenza nietzscheana.
Requiem
E’ estremamente semplice oggi proteggere e
stimare Pasolini, quando la scandalosa belligeranza del suo
pensiero, un tempo eretica anche per un lettore altamente istruito, è ormai
codificata e resa innocua dal consumismo di lettori annoiati. Non sarà troppo
facile dichiarare passione e stima verso ‘un uomo difficile’ quando non può più
comprometterci? Figlastri di una generazione che ha istituito una visione
paternalistica della cultura, imponendola come riscatto e sola via d’uscita
dalla degradazione morale ed economica, gli addetti culturali (giovani e meno)
di questa italia post-pasoliniana, post-moderna e post-contemporanea, si
aspettano l’applauso dell’ inteligencija e sono pronti a
convertire le loro verità per vincerlo. La trasgressione di una normalità
conservatrice che bada al giudizio degli altri (al bene che di noi deve esser
detto e pensato) è stata una delle attitudini etiche ed estetiche di
Pasolini (essenziale il suo patto con il lettore reso possibile dal pasoliniano
“non aver niente da perdere”). In quale modo potrebbero questi italiani
dalle meschine ambizioni pratiche, prudenti, ben istruiti, tattici, essere
dei commentatori e commemoratori fedeli e coerenti di Pasolini? Attraverso
quale alibi potrebbero conciliare la trama delle loro strategie con la
vocazione al martirio e allo scandalo dell’idolo intellettuale che oggi li
attrae? Come far quadrare, per esempio, la spietata volontà destabilizzatrice e
la sete di verità degli Scritti Corsari con l’attitudine
alla compiacenza? L’ignobile esercizio di una scrittura constativa, di
rappresentanza, che poi è quella di molte riviste che oggi affermano di
occuparsi di cultura, non è che l’ennesima prova che smaschera la
vigliaccheria intellettuale di un’Italia che si dimena tra i pudori della
borghesia istruita e il rispetto reverenziale per i tinelli del potere
culturale. La stampa ruffiana e cameriera dell’ ondata culturofila che in
questi ultimi anni ha travolto l’Italia informata (mai come oggi si è parlato
di cultura e così acriticamente), non avendo l’audacia necessaria, ripiega su
una rozza propaganda umanistica a favore di cacio-progressismo
indeterminato, generico. Si capisce bene perché la furia di questo
asceta senza il blasone della santità è un paradigma intellettuale che in
pochissimi praticherebbero. Se è vero che la libertà, come pensava Pasolini,
è libertà di scegliere la morte, venir meno alla ‘conservazione’,
essa non può manifestarsi se non con un grande o piccolo martirio. E dove
sarebbero questi giovani intellettuali capaci di contraddire fino all’ estrema
conseguenza la norma della conservazione? Chi vuol vivere lungo la
pasoliniana “linea di fuoco” dove non si fugge l’ipotesi di un esilio
scandaloso perché volontario? Dove sono questi pensatori che a “furia di
provocare il ‘codice’, a furia di esporsi, finiscono con l’ottenere ciò che
aggressivamente vogliono, cioè “essere feriti e uccisi con le armi che essi
stessi offrono al nemico”?
Epilogo
I teppismi e i fascismi piccolo borghesi potrebbero
annidarsi anche in questa sorta di capriccio edonistico che è la retorica dell’
anti-retorica, praticata dagli abusivi di cui si è parlato. Cosa resta quando
il circo degli anniversari è in ferie? Restano i pochi lettori che hanno
assediato quotidianamente Pasolini, criticando e interrogando i suoi testi. Per
ricordare e conoscere Pasolini bisogna meritarselo, non c’è modo migliore
per farlo se non l’esercizio del non aver nulla da perdere.
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