Oggi vogliamo ricordare Ernesto Balducci, con due libri freschi
di stampa. Il primo, intitolato Siate ragionevoli chiedete l’impossibile,
è un Instant
book di Chiarelettere
che raccoglie articoli di Balducci, pubblicati
su giornali e periodici diversi, raccolti per la prima volta in un
volume. Di esso riproduciamo la prefazione scritta da Don Andrea Gallo.
Il secondo è uno studio approfondito di Rosario Giue sull’opera del maestro
fiorentino, edito dalle Paoline col
titolo Ernesto Balducci. La parola di Dio
nella storia. Di quest’ultimo riproponiamo la recensione di Raffaele Porfidia pubblicata dalla
Redazione CDB Italia la settimana
scorsa.
Ernesto Balducci è stato uno straordinario testimone del Vangelo e credo che più che un personaggio da commemorare, a vent’anni dalla morte, sia un uomo da ascoltare e da studiare.
Sono stato sul monte Amiata, a Santa Fiora (Grosseto), il paese dove padre Balducci è nato nel 1922, e ho fatto il percorso dalla Badia Fiesolana a Santa Fiora come un pellegrinaggio. È proprio a Santa Fiora che avviene la «svolta antropologica», l’affermazione della centralità dell’essere umano e insieme la necessità di una vera e propria riconversione del nostro modo di pensare e di agire. Questa è una terra straordinaria, dove è ancora viva la memoria di David Lazzaretti, il «profeta dell’Amiata» ucciso nel 1878 dalla Guardia regia, come quella dei martiri fucilati durante la Resistenza mentre difendevano le miniere in cui lavoravano, minacciate dall’esercito tedesco in ritirata. «Quando più alto in me si fa il fastidio morale per questo mondo – scrive Balducci –, mi capita di tornare a quegli anni lontani, in quella piccola scuola invasa dalla tramontana, dove l’ideologia della prepotenza cercava di corromperci. Non c’è riuscita. Ma mentre Eraldo, Mauro, Luigi e gli altri hanno pagato con la vita… io, noi sopravvissuti, che andiamo facendo?»
Abbiamo sotto gli occhi l’insostenibilità politica e sociale di un modello di sviluppo che ha mostrato tutta la sua inadeguatezza. Dobbiamo muoverci, in questo senso è proprio la parola e la testimonianza di padre Ernesto a spronarci. Balducci per me è un maestro e non smetto mai di ricordarlo in ogni incontro e occasione pubblica. Dobbiamo leggere padre Balducci, è lui a insegnarci che dobbiamo «osare la speranza». Abbiamo bisogno di un nuovo paradigma culturale, non c’è più tempo da perdere. Dobbiamo ripensare la nostra civiltà e il nostro modello di convivenza secondo un’ottica che sia globale, planetaria. E allora basta competizione sfrenata, ci vuole solidarietà, ma una solidarietà liberatrice e responsabile, ben diversa dall’assistenzialismo che conosciamo e che ci tiene lontani dall’altro, mettendoci a posto la coscienza con la retorica dei buoni sentimenti.
La parola di padre Balducci ci viene incontro con la forza di una rivelazione: «Viviamo in una società che, con la complicità di tutti, solleva alcune persone sui piedistalli dell’ammirazione sconfinata e della sconfinata gratificazione economica, senza che a questa glorificazione facciano riscontro valori veramente umani» («La droga del successo», 1991). E ancora:
«Spinti dal nostro feticismo produttivo, noi stiamo avanzando in regioni spaventose, quelle del benessere vuoto di ogni valore» («Quei suicidi al tramonto della speranza», 1990). La nuova cultura planetaria che siamo chiamati con urgenza a costruire è agli antipodi del consumismo e dello sfruttamento. «La cultura della competizione [...] è condannata non solo dalla coscienza – ci ammonisce padre Ernesto –, ma dall’istinto di sopravvivenza. I valori alternativi sono, non dico possibili, ma necessari» («Le attese tradite dietro la droga», 1988). Dobbiamo ritornare a essere soggetti delle nostre vite e così anche della storia dell’uomo, una storia che deve diventare redentrice.
Ho ascoltato padre Balducci a Genova pochi giorni prima della sua tragica scomparsa in un incidente stradale. Le sue parole mi hanno conquistato. Ancora oggi porto dentro di me la sua lezione, l’importanza dell’«uomo inedito», dell’«uomo nascosto» che è patrimonio di ogni cultura e di ogni religione. Un uomo nascosto nel profondo di ciascuno di noi. «Nella natura dell’uomo – scrive padre Balducci – c’è tutto, ci sono possibilità che non hanno ancora trovato espressione. Le religioni devono tutte rigenerarsi nella loro sorgente nascosta [...] Le religioni hanno una forma edita, in quanto sono entrate a far parte di una cultura, l’hanno alimentata, l’hanno magari anche generata, ma hanno subito i condizionamenti della realtà storica dell’uomo e si sono macchiate di violenza. C’è però alla loro radice una ispirazione di fondo che le rende omogenee alle attese dell’uomo nascosto e che fa di esse dei veri messaggi di pace.» E ancora: «C’è in noi quello che chiamavo, con Bloch, l’homo absconditus: un uomo che non trova il suo linguaggio adeguato nell’homo editus. Non c’è una lingua che traduca le attese, le aspettative, le possibilità reali dell’homo absconditus. Potremmo dire che la sua attesa è quella della profezia» («L’homo editus e l’homo absconditus», 1993).
Un nuovo mondo è possibile? Padre Balducci ha annunciato le grandi contraddizioni del Terzo millennio. La minaccia ecologica, prima di tutto, e vediamo che i vertici mondiali sul clima non riescono a combinare nulla di concreto. «Ogni patto sociale viene meno quando entra in gioco la sicurezza della sopravvivenza. Allora le responsabilità tornano là dove è la vera sorgente di ogni sovranità, tornano nelle nostre mani» («Essere o non essere», 1988). Ma noi siamo chiusi come in una fortezza, la paura del diverso genera violenza ed emarginazione. La scienza e la tecnica hanno modificato la comprensione e la dinamica della vita, provocando l’accelerazione del tempo vitale e l’alterazione drammatica dei ritmi naturali. Il pianeta terra è ormai come un missile che viaggia a velocità supersonica, senza freni.
È venuto allora il momento di costruire la democrazia della terra. La terra che abitiamo, sorgente di vita, da preservare come casa comune. «La vera coscienza rivoluzionaria non è quella di classe, è quella di specie» («Tutti insieme per non scomparire», 1989). Dobbiamo dar vita a un contratto sociale, su scala planetaria, che permetta a ogni paese di preservare i propri valori e l’identità del suo popolo, la diversità culturale, le ricchezze e le bellezze naturali. Dobbiamo costruire un paradigma di civiltà che sia fondato sul ben-vivere e non solo sul ben-essere, che poi finisce col diventare ben-avere, generando quella diseguaglianza sociale che vediamo sempre di più nelle nostre città. Ognuno deve sentirsi cittadino della terra, e per questo ci vuole una grande campagna di educazione, soprattutto tra i giovani. L’Italia deve essere in prima linea. Ma dove sono finiti i veri cristiani? Gesù ha detto: «Io sono venuto per servire, non per essere servito». C’è bisogno di un cristianesimo più autentico. Padre Ernesto Balducci è ancora vivo e ci indica la strada. Basta volerlo ascoltare e studiare.
Don Andrea Gallo
Sono trascorsi venti
anni dalla morte di Ernesto Balducci, ma il suo messaggio più vero non è
invecchiato. E’ quello che lo stesso padre Balducci non si stancava di
annunciare, frutto del Concilio Vaticano II e insieme maturazione personale via
via tradotta in un forte appello a non dare spazio a ripiegamenti di fronte ad
un mondo che tendeva (e oggi, ben più esteso e unificato, ancor più vediamo
tendere) a promuovere i miti assai dubbi della forza nei rapporti
internazionali e dell’assoluta supremazia del denaro in campo economico. Ciò si
nota con vivezza nelle sue omelie domenicali, rilette e rivissute in questo
libro di Rosario Giuè, intitolato Ernesto Balducci. La parola di Dio
nella storia, Ed. Paoline, con una scelta felice di attenzione al dialogo
con l’uomo contemporaneo che Balducci prediligeva particolarmente.
Ma perché parola
nella storia? Perché l’oratoria avvincente di Balducci, che ha fatto evocare da
taluno il senso di una rara magia, veniva messa al servizio di una parola di
Dio, ripresa nell’evento liturgico di settimana in settimana, capace di
provocare “risposte e dedizioni” nel presente che avvolge l’umanità che ne è
partecipe e che si fa storia. Un discorso che tutta l’assemblea viveva come un
percorso di fede tendente ad attuarsi nella storia. Ma contemporaneamente
un’esposizione avvincente per tanti che si definivano non interessati al
discorso religioso e tuttavia fortemente richiamati al messaggio civile di
quell’uomo di chiesa.
Osserva Giuè che
legare fede e storia, Parola e situazioni, dava luogo a riserve e critiche nei
confronti del padre Balducci, specialmente ad opera di uomini di chiesa fra i
più conservatori, riserve che poi erano riprese anche in alcuni settori
dell’informazione. Ma la parola delle Scritture è annunciata per gli uomini di
oggi, che – quando la ascoltano – la ricevono con la loro cultura ed esperienza
del nostro mondo (allora di fine millennio), certamente diversa da quelle di
altri tempi e anche lontane da talune forme di espressione che pure accade di
incontrare.
Cosa significa allora
dare al messaggio scritturale una appropriata connessione con l’esperienza
comune se non partire dal vissuto quotidiano nel mondo che ci circonda e dare
un senso, allo stesso tempo religioso e civile, alla nostra vita in questo
mondo? Così Balducci cercava costantemente di dare al suo discorso un
significato concreto, usando le parole della cultura di oggi, con un linguaggio
non sacrale, ma di tutti i giorni, affinché ciascun ascoltatore potesse sentir
parlare del vangelo con i modi e le espressioni quotidiane per lui familiari e
immediatamente comprensibili e soprattutto capaci di avere una risonanza
concreta nella vita vissuta di ciascuno. Comunque sempre intessendo un discorso
tanto valido per uomini e donne adusi alla argomentazione culturale quanto
comprensibile per tutti indistintamente.
Con riferimento a
questo aspetto, dell’importanza cioè di un linguaggio laico, Giuè cita
direttamente Balducci: “Quando parlo del regno di Dio in maniera laica, come
del regno di fraternità, dell’uguaglianza, della condivisione dei beni della
terra, non riduco l’annuncio messianico, lo traduco… Ho sperimentato nel mio
laboratorio personale di verifica delle idee che l’annuncio della Parola,
vissuto in una comunità, in situazioni di autenticità massima come quella
eucaristica, corrisponde perfettamente alle ipotesi che vado facendo come
modesto uomo di cultura nelle scorribande di varia natura e nel dibattito
culturale e politico con la società”.
Ecco dunque
l’importanza di tutto il corpus delle omelie di Ernesto Balducci, che
costituiscono, potremmo dire, il suo testamento spirituale ed umano, in cui
vive ancora, anche per chi è venuto dopo e non lo ha potuto conoscere da vivo,
la sua proposta di un impegno che sappia essere insieme civile ed evangelico
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