Il caso Parma credo che sia il fatto più nuovo e pregno di conseguenze culturali e politiche di queste ultime elezioni amministrative. Riprendo dal sito http://www.megachip.info/tematiche/democrazia-nella-comunicazione un breve articolo di Giorgio Cattaneo pubblicato oggi:
di Giorgio Cattaneo
«Ho sempre sognato di
cambiare il mondo; adesso ho capito da che parte cominciare». Trentanove anni,
manager bancario appassionato di informatica. Finalmente, un italiano normale: dal 21 maggio 2012 è
il nuovo sindaco di Parma.
Al ballottaggio, ha
clamorosamente stracciato il potente Pd emiliano grazie al pieno sostegno della
città, stremata dalle malversazioni di una “casta” il cui disonore ha finito
per travolgere, al di là dei suoi meriti, lo stesso antagonista, Bernazzoli,
volto pulito della politica, esponente di spicco del Pd, sostenuto direttamente
da Bersani.
Il neo-sindaco
“grillino” Federico Pizzarotti esordisce
con un gesto perentorio: fermare
il maxi-inceneritore già progettato, per dimostrare che
cambiare tutto è davvero possibile, persino in un’Italia in cui l’arbitro
supremo interviene a gamba tesa per tentare di squalificare un concorrente,
truccare la gara e provare a salvare il carrozzone di una nomenklatura
detestata, che ha consegnato il paese ai gelidi “macellai” di Bruxelles.
Mentre tutti i riflettori,
solo pochi mesi fa, erano concentrati sul morente Berlusconi assediato dai
processi, sotto un cielo frastornato dai caccia che andavano a seminare morte
nelle città libiche, l’Italia
– quella vera – faceva qualcosa di straordinario: resisteva.
Resisteva in valle di Susa,
accanto ai No-Tav, per fermare l’orrore dei cantieri più devastanti, costosi e
inutili della storia nazionale dei lavori pubblici. E resisteva, l’Italia,
nelle sezioni elettorali dei referendum contro il nucleare e contro il furto
dell’acqua pubblica, proditoriamente osteggiati o ignorati dai professionisti della
politica. Gli stessi contro cui, pochi mesi prima, avevano votato i cittadini
di Milano e quelli di Napoli, mandando a casa – insieme alle maschere del
berlusconismo – anche gli sbiaditi replicanti del centrosinistra, su cui si
abbatté la celebre invettiva di Nanni Moretti: «Con questi leader non vinceremo mai».
Ora che si è dissolta tra
gli scandali anche l’imbarazzante dirigenza padana della Lega, l’exploit
fisiologico dei “grillini” suona
innanzitutto come un appello civile, l’ultimo possibile, e ricorda l’antica battaglia culturale dei Verdi per un nuovo umanesimo rivolto
all’Italia di allora, eternamente subalterna e prigioniera della Guerra Fredda, infangata e insanguinata dalla Prima Repubblica delle tangenti, del cemento e delle bombe senza colpevoli.
innanzitutto come un appello civile, l’ultimo possibile, e ricorda l’antica battaglia culturale dei Verdi per un nuovo umanesimo rivolto
all’Italia di allora, eternamente subalterna e prigioniera della Guerra Fredda, infangata e insanguinata dalla Prima Repubblica delle tangenti, del cemento e delle bombe senza colpevoli.
Pensare
globalmente, agire localmente:
il verbo di un ideologo profetico come Alex
Langer sembra germinare silenziosamente trent’anni dopo, sia
pure in un paese ormai irriconoscibile, tradito e abbandonato dai partiti,
prostrato dai contraccolpi locali della peggiore crisi mondiale. Fine dello
sviluppo, fine della crescita: è questo l’orizzonte della nuova generazione, la
prima “generazione senza futuro”, a cui i rottami della partitocrazia – per
occultare la loro ingloriosa vocazione alla pura sopravvivenza – osano ancora
proporre parole museali come “riformismo”, che valevano cinquant’anni fa per
distinguere la migliore socialdemocrazia dai fantasmi del comunismo
rivoluzionario.
Da trincee isolate
e solitarie, poche cassandre “complottiste” non hanno mai smesso di lanciare
allarmi,
denunciando il “golpe finanziario” dell’élite mondiale, le dinastie imperiali
del capitalismo post-industriale globalizzato, la loro spaventosa fame di
guerre, cioè di denaro, cioè di sfruttamento: prima a spese dei poveri e poi di
tutti gli altri, compresi gli europei vessati da un governo comunitario
non-democratico, non-eletto, che revoca sottobanco la sovranità dei popoli
neutralizzando gli Stati, crocifiggendoli al debito e impedendo loro di
riscattarsi, di investire nell’economia nazionale, di mobilitare la risorsa
finanziaria fondamentale: la moneta.
Se la pazienza del
mondo sta finendo, girata la boa del picco del petrolio, i cittadini
dell’Occidente scoprono giorno per giorno l’enormità smisurata della crisi e
del super-potere che la sovrasta, la pianifica e la sfrutta. Servirebbero mezzi democratici
eccezionali, che non ci sono. Resta un’ultima, minuscola trincea: quella del
voto. Pensare globalmente e agire localmente: per cominciare a cambiare il
mondo, partendo dal proprio territorio. E’ l’ultima arma democratica, ma anche
la prima.
L’unica che i potenti della Terra – da Atene a Parigi, fino a Parma – temano davvero, se a vincere è il cittadino semplice, che condanna l’ingiustizia e si ostina a sperare di avere diritto al proprio futuro.
L’unica che i potenti della Terra – da Atene a Parigi, fino a Parma – temano davvero, se a vincere è il cittadino semplice, che condanna l’ingiustizia e si ostina a sperare di avere diritto al proprio futuro.
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