Palermo è stanca di insulti e veleni. Speriamo che
Orlando e Ferrandelli lo capiscano al più presto e, per il bene comune,
mettendo da parte le loro rispettive tifoserie, comincino a confrontarsi civilmente
sulle cose da fare per la rinascita della città. Intanto riproponiamo due
vignette di Gianni Allegra, pubblicate su La Repubblica, e un articolo
di Roberto Alajmo, preso dal suo sito, che danno un contributo a svelenire l’aria che si respira in questi
giorni a Palermo.
MADELEINE ORLANDO
Spiegare il
fenomeno Orlando a chi non è palermitano risulta difficile quanto spiegare il
mare a chi non l’ha mai visto. È qualcosa di enorme e molto evidente, che però
si sottrae alle definizioni. Gran materiale per un ritratto, se solo rimanesse
fermo in posa per il tempo che serve. Ma non è il caso di Leoluca Orlando:
cangiante, mercuriale, istrionico, eccessivo nel bene e nel male. Quest’ultima
battaglia del vecchio leone non è meno sorprendente delle altre: dopo aver
spergiurato di non volersi candidare, eccolo candidato. E la sua Palermo, che
nel frattempo si è concessa più di un giro di valzer con altri leader
carismatici, è tornata a votarlo senza esitare. Vent’anni fa era il paladino
dell’antimafia, adesso eccolo primeggiare in una stagione politica in cui il
tema della mafia non è mai comparso nel dibattito pre-elettorale. La sensazione
è che Cosa Nostra si sia presa un turno di riposo, come avvenne pure nel ’93,
in attesa di trovare qualche nuovo interlocutore. È significativo che
all’Ucciardone e a Pagliarelli, le due carceri di Palermo, si sia registrato un
inedito astensionismo di massa. Bisognerà vedere se in questa sua nuova
incarnazione Orlando saprà superare quel massimalismo per il quale era ed è inviso
almeno a metà dell’opinione pubblica nazionale. Da lui è lecito aspettarsi di
tutto.
(...)
Qualcuno può obiettare che nel caso di Orlando non si può certo parlare di Nuovo che Avanza, ma l’anomalia palermitana si può ricondurre a un duplice movente.
Primo movente, molto letterario: Orlando rappresenta il sindaco dell’infanzia di Palermo. Giusto o sbagliato che sia, la sua candidatura è stata una specie di madeleine collettiva: il sogno proustiano di una città tutt’altro che proustiana. Quando c’era lui, gli autobus arrivavano in orario o quasi. E certo: tutti eravamo più giovani.
Secondo movente, più spiccatamente politico: l’inconsistenza degli avversari. Di fronte all’entusiasmo che Orlando ha profuso in campagna elettorale, alla sua capacità di parlare indifferentemente all’anima aristocratica e a quella plebea di Palermo, i suoi giovani avversari devono essere sembrati altrettanti neofiti. La sensazione è che in realtà Orlando abbia mantenuto negli anni un suo elettorato trasversale e fedele, che di volta in volta gli è bastato o meno a vincere. Quando ha perso, molto semplicemente, c’erano avversari meglio organizzati. Ma non era questo il caso.
Ora a contendergli il ballottaggio sarà Fabrizio Ferrandelli, suo ex discepolo che gli somiglia parecchio, essendo altrettanto popolare e populista. Ma messo a confronto con Orlando è parso ai palermitani il dottorino paragonato al dottorone: nella sapienza popolare meridionale è sempre meglio affidarsi all’anziano luminare, piuttosto che al giovane talento e alla sua medicina ancora tutta da dimostrare. Esiste anche un apposito proverbio, non a caso adoperato da Orlando in campagna elettorale: megghio ‘u tinto conosciuto che ‘u bonu ‘a conùscere. Meglio il cattivo conosciuto del buono ancora da conoscere. Per quanto cinico possa sembrare, è un ragionamento che l’elettorato palermitano ha deciso di seguire. L’antipolitica conosce ragioni che la politica non conosce: ma le sa cavalcare benissimo.
(...)
Qualcuno può obiettare che nel caso di Orlando non si può certo parlare di Nuovo che Avanza, ma l’anomalia palermitana si può ricondurre a un duplice movente.
Primo movente, molto letterario: Orlando rappresenta il sindaco dell’infanzia di Palermo. Giusto o sbagliato che sia, la sua candidatura è stata una specie di madeleine collettiva: il sogno proustiano di una città tutt’altro che proustiana. Quando c’era lui, gli autobus arrivavano in orario o quasi. E certo: tutti eravamo più giovani.
Secondo movente, più spiccatamente politico: l’inconsistenza degli avversari. Di fronte all’entusiasmo che Orlando ha profuso in campagna elettorale, alla sua capacità di parlare indifferentemente all’anima aristocratica e a quella plebea di Palermo, i suoi giovani avversari devono essere sembrati altrettanti neofiti. La sensazione è che in realtà Orlando abbia mantenuto negli anni un suo elettorato trasversale e fedele, che di volta in volta gli è bastato o meno a vincere. Quando ha perso, molto semplicemente, c’erano avversari meglio organizzati. Ma non era questo il caso.
Ora a contendergli il ballottaggio sarà Fabrizio Ferrandelli, suo ex discepolo che gli somiglia parecchio, essendo altrettanto popolare e populista. Ma messo a confronto con Orlando è parso ai palermitani il dottorino paragonato al dottorone: nella sapienza popolare meridionale è sempre meglio affidarsi all’anziano luminare, piuttosto che al giovane talento e alla sua medicina ancora tutta da dimostrare. Esiste anche un apposito proverbio, non a caso adoperato da Orlando in campagna elettorale: megghio ‘u tinto conosciuto che ‘u bonu ‘a conùscere. Meglio il cattivo conosciuto del buono ancora da conoscere. Per quanto cinico possa sembrare, è un ragionamento che l’elettorato palermitano ha deciso di seguire. L’antipolitica conosce ragioni che la politica non conosce: ma le sa cavalcare benissimo.
Dal sito http://www.robertoalajmo.it
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