Leoluca Orlando ha stravinto il ballottaggio con Ferrandelli e torna a
guidare la città di Palermo. Lo storico Salvatore Lupo, qualche giorno fa, ha
rilasciato a Massimo Giannetti del Manifesto
una intervista che analizza, con la sua consueta lucidità, il fenomeno Orlando
nella magmatica realtà siciliana.
LA REPUBBLICA DI PALERMO
Salvatore
Lupo, docente di Storia contemporanea all'università di Palermo, detesta essere
definito «un mafiologo». Alla mafia italiana e internazionale ha dedicato molti
dei suoi libri, ma quando lo incontriamo è alle prese con la seconda edizione
di Partito e antipartito, un testo del 2004 sulla repubblica dei partiti e del
quale Donzelli editore, alla luce della nuova ribalta del cosiddetto
antipartitismo, gli ha chiesto un aggiornamento. «Non sarà un testo molto
diverso dal primo», anticipa l'autore. In ogni caso l'argomento calza a
pennello per questa intervista che verterà soprattutto sull'inedito scenario
politico emerso dalle urne del primo turno delle elezioni palermitane, quindi
sull'orlandismo di ritorno, innanzitutto.
Una premessa: professor Lupo quanto è diversa la politica siciliana da quella italiana?
La politica siciliana è sicuramente diversa dalla politica italiana perché la Sicilia ha una sua tradizione. Però al fondo i problemi sono gli stessi, magari estremizzati, sì estremizzati, però gli stessi.
Veniamo a Palermo: domenica prossima ci sarà il ballottaggio tra Leoluca Orlando, che al primo turno ha ottenuto un clamoroso e inatteso 47%, e Fabrizio Ferrandelli, che si è fermato 17%. Sarà l'ultimo atto formale di uno scontro durissimo, quasi da «guerra civile» tra i due candidati del centrosinistra (entrambi naviganti, sebbene con storie diverse, del bacino dell'Idv) e tra i partiti che li sostengono. Qualcuno a sinistra ha vissuto questo scontro in famiglia come «una tragedia» difficilmente ricomponibile. Lei che riflessione ha fatto in queste settimane?
Diverse riflessioni. Tragedia però è una parola grossa. Le tragedie sono altre. A mio avviso la storia palermitana riflette nel suo piccolo i problemi della democrazia italiana e i problemi della sinistra. Intanto da osservatori bisogna sottolineare che Orlando non ha vinto il primo turno, lo ha stravinto. La vittoria di Orlando come affermazione personale è senza precedenti e senza confronti. Credo non sia mai successo nella politica italiana recente che un singolo personaggio abbia raggiunto un tale successo, se non Berlusconi su una scala ben superiore. A quanto pare c'è stato un 30% di elettori che è andato a votare solo per Orlando, che ha scritto sulla scheda Orlando e basta, ignorando liste e candidati che pure erano tantissimi. È una enormità, quindi è da questo che bisogna partire perché è un fatto politico di primaria rilevanza. Quello che poi significa è oggetto di diverse interpretazioni. A me sembra che come nel '93 Orlando nell'immaginario collettivo rappresenti qualcosa di importante per questa città. Tra l'altro la cosa interessante è che per una volta Palermo è unita nella sua élite un po' snob e nella sua profonda anima o pancia popolare. Questo vuol dire che quando si sfasciano gli apparati dei partiti, come credo sia avvenuto in queste elezioni, i cittadini seguono una loro idea politica o pre-politica se vogliamo, che è quella del «grande personaggio», del grande notabile che Orlando è.
Ritiene quindi negativo questo risultato...
Certo che è negativo, è molto negativo, è evidentemente molto negativo, perché non credo nella capacità demiurgica della personalità e quindi ogni qualvolta che la vita politica si personalizza vedo un grande problema. Questo risultato dice che venti anni dopo siamo esattamente come nel '93, fermi all'opinione che i partiti siano apparati ciechi, anonimi, che non funzionano - idea giustificata dai fatti - e all'affermazione di questa personalità che rappresenta una Palermo antica, probabilmente il suo meglio. Tuttavia non è un gran sistema di funzionamento di una democrazia. Ecco, questo è il punto, questo è il problema del notabilato, dell'essere notabili, detto senza alcuna intenzione spregiativa, e mostra la stessa faccia della politica personalistica italiana di questi anni che non sa rigenerarsi, crea partiti con il nome dei propri fondatori, partiti controllati da una singola persona. Questa non è la democrazia, è evidente. È un po' quello che si dice del governo dei tecnici, è una forma di sospensione della democrazia. È una classe dirigente che non semina, non genera nuovo, ma si limita a tappare i buchi.
La sua analisi è sottile e spietata. Ma vorrei capire meglio perché Orlando, che politicamente parlando non ha lasciato nulla dietro di sé dopo la famosa primavera degli anni '90 inizio 2000, ha di nuovo vinto in maniera così eclatante al primo turno di queste elezioni?
Perché esattamente come nel '93 il sistema politico ha lasciato sul campo soltanto macerie. Quindi a Palermo esiste una speranza collettiva salvifica che è Orlando, il suo prestigio e forse le sue capacità di amministratore vengono riconosciute o ricordate o mitizzate. Dunque si risolve il problema con Orlando Orlando Orlando. Le ripeto: il problema non è la vittoria di Orlando, per me, perché la vittoria di Orlando potrà portare anche cose buone per questa città, per quanto ne so. Il problema è quello che rivela, la patologia che Orlando sia l'unica alternativa possibile agli occhi della collettività, che sia l'unico elemento riconoscibile. Ma d'altronde, se allarghiamo l'orizzonte, il fenomeno del grillismo cos'è? Non è la ripetizione del passato? Grillo fa sui partiti lo stesso discorso che veniva fatto nel '93. Grillo è un'altra Italia dei Valori, più magmatica, grida di più, è un'altra Lega. Si ha l'impressione che questa seconda repubblica sia cominciata ieri, invece sono passati vent'anni, è come se ripetessimo la stessa cosa, dove quelli che allora facevano la parte dell'antipartito, oggi fanno la parte del partito. Siamo schiavi delle retoriche ripetitive. E la vicenda di Orlando si inquadra in questa Italia qui. Solo che ora non rappresenta più l'antipartito dei tempi della Rete, ma una Rete ridotta all'osso, il notabile appunto.
Parliamo del Partito democratico. Si è dilaniato alle primarie e si è prevedibilmente quasi dissolto nelle urne del primo turno, dalle quali ha ottenuto appena il 7% dei consensi...
Il Partito democratico è un gruppo che ha una forte rendita di posizione perché sta in un posto essenziale della democrazia italiana e non si vede ancora nessuno che possa sostituirlo. Questo vale anche per la politica siciliana. Ma è un partito che è assolutamente incapace di esprimere una leadership perché su qualsiasi leadership punti, quella risulta ipso facto delegittimata. Restando a Palermo bisogna ricordare che Ferrandelli non è un candidato del Pd, così come Rita Borsellino non era un candidato del Pd alle primarie. Sono candidati pescati via via dall'esterno e questo partito - al contrario del Re Mida - come li tocca li fa perdere. È una cosa sconcertante, è una specie di patologia italiana e particolarmente siciliana.
A sinistra del Pd le cose non vanno meglio. Sel e Fed - uniti alle primarie - si sono divisi e combattuti su fronti opposti alle elezioni. Il risultato è che anche questa volta nessuno dei due gruppi ha superato il quorum (5%) per entrare in consiglio comunale. Non dovrebbe far riflettere in maniera meno partigiana?
Non c'è dubbio, ma anche qui è la mancanza totale di una vera proposta politica che spinge gli uni e gli altri sul carro delle proposte politiche altrui. Cosa devo dire, è una storia di forti debolezze che non porta da nessuna parte.
A proposito di quella parte del Pd che avrebbe tentato di «usare» Ferrandelli come tramite per rafforzare l'alleanza con il governatore Lombardo, in vista anche del voto anticipato di ottobre, secondo lei ha senso perseguire questo tipo di alleanza - giunta tra l'altro al capolinea per fallimento politico prima ancora che giudiziario - in uno scenario completamente cambiato?
Non ha senso. Quando si è delineata questa strategia neo-milazzista, la giustificazione era che in una situazione regionale in cui agivano delle superpotenze berlusconiane o neodemocristiane, tanto valeva evitare che queste forze si saldassero creando una contrapposizione per riaprire un gioco politico. Solo che tutte queste superpotenze non ci sono più già da un pezzo, perché il centrodestra in Sicilia è imploso molto prima che nel resto d'Italia, e in un contesto di grande frantumazione la cosa più importante da fare sarebbe quella di avere una propria proposta politica per incidere su un quadro in movimento. Se ci fosse un'opposizione forte e credibile, questo sarebbe il suo momento ma questa capacità non c'è, non si vede.
È quello che è accaduto a Palermo...
Esattamente. A Palermo Orlando ha fatto un'operazione brillante, cinica quanto vogliamo, ma brillante. Ha avuto la percezione giusta del varco in cui si poteva infilare e soprattutto che ci si doveva infilare lui e non Ferrandelli perché aveva capito che poteva vincere. Anche Ferrandelli avrebbe vinto, io penso, però Orlando ha preferito vincere lui. Quindi ha cacciato Ferrandelli dal partito e poi gli ha stoppato la strada. È stato magistrale. Come cittadino sono lontanissimo da questo suo modo di fare politica, ma come studioso devo dire che Orlando mi piace perché ha capacità politica, cosa che i dirigenti dell'ex Pci e ora del Pd non hanno.
E dal suo punto di vista di studioso anche del fenomeno mafioso, Raffaele Lombardo cos'è?
Quello che è obiettivamente: è un pezzo di macchina politica ex democristiana che si è riconsolidata, ha creato una poderosa struttura elettorale e ha cercato di metterci sopra un discorso regionalista, che di fatto è consistito in niente ma in tempi di egemonica leghista e in una regione come la Sicilia, in cui qualsiasi esperienza politica sembra dover passare attraverso questo becero regionalismo, poteva essere cavalcato. Poi, ovviamente, essendo soprattutto una poderosa macchina elettorale, corre il rischio di bucare laddove ci sono le giunture tra la macchina politica e le altre macchine di potere che ci sono in Sicilia.
Immagino si riferisca all'indagine che lo vede imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Lei che idea si è fatto di questa inchiesta che tra poco andrà a conclusione?
Sull'inchiesta non ho nessuna idea. Penso invece che sia normale che un potentato politico di questa natura e in una città come Catania, venga sfiorato o appena sfiorato oppure che entri pesantemente in relazione con apparati criminali. Ma se Lombardo è colpevole o innocente non sono in grado di dirlo perché per fortuna non faccio il giudice. Rappresenta però un evidente problema politico.
Una premessa: professor Lupo quanto è diversa la politica siciliana da quella italiana?
La politica siciliana è sicuramente diversa dalla politica italiana perché la Sicilia ha una sua tradizione. Però al fondo i problemi sono gli stessi, magari estremizzati, sì estremizzati, però gli stessi.
Veniamo a Palermo: domenica prossima ci sarà il ballottaggio tra Leoluca Orlando, che al primo turno ha ottenuto un clamoroso e inatteso 47%, e Fabrizio Ferrandelli, che si è fermato 17%. Sarà l'ultimo atto formale di uno scontro durissimo, quasi da «guerra civile» tra i due candidati del centrosinistra (entrambi naviganti, sebbene con storie diverse, del bacino dell'Idv) e tra i partiti che li sostengono. Qualcuno a sinistra ha vissuto questo scontro in famiglia come «una tragedia» difficilmente ricomponibile. Lei che riflessione ha fatto in queste settimane?
Diverse riflessioni. Tragedia però è una parola grossa. Le tragedie sono altre. A mio avviso la storia palermitana riflette nel suo piccolo i problemi della democrazia italiana e i problemi della sinistra. Intanto da osservatori bisogna sottolineare che Orlando non ha vinto il primo turno, lo ha stravinto. La vittoria di Orlando come affermazione personale è senza precedenti e senza confronti. Credo non sia mai successo nella politica italiana recente che un singolo personaggio abbia raggiunto un tale successo, se non Berlusconi su una scala ben superiore. A quanto pare c'è stato un 30% di elettori che è andato a votare solo per Orlando, che ha scritto sulla scheda Orlando e basta, ignorando liste e candidati che pure erano tantissimi. È una enormità, quindi è da questo che bisogna partire perché è un fatto politico di primaria rilevanza. Quello che poi significa è oggetto di diverse interpretazioni. A me sembra che come nel '93 Orlando nell'immaginario collettivo rappresenti qualcosa di importante per questa città. Tra l'altro la cosa interessante è che per una volta Palermo è unita nella sua élite un po' snob e nella sua profonda anima o pancia popolare. Questo vuol dire che quando si sfasciano gli apparati dei partiti, come credo sia avvenuto in queste elezioni, i cittadini seguono una loro idea politica o pre-politica se vogliamo, che è quella del «grande personaggio», del grande notabile che Orlando è.
Ritiene quindi negativo questo risultato...
Certo che è negativo, è molto negativo, è evidentemente molto negativo, perché non credo nella capacità demiurgica della personalità e quindi ogni qualvolta che la vita politica si personalizza vedo un grande problema. Questo risultato dice che venti anni dopo siamo esattamente come nel '93, fermi all'opinione che i partiti siano apparati ciechi, anonimi, che non funzionano - idea giustificata dai fatti - e all'affermazione di questa personalità che rappresenta una Palermo antica, probabilmente il suo meglio. Tuttavia non è un gran sistema di funzionamento di una democrazia. Ecco, questo è il punto, questo è il problema del notabilato, dell'essere notabili, detto senza alcuna intenzione spregiativa, e mostra la stessa faccia della politica personalistica italiana di questi anni che non sa rigenerarsi, crea partiti con il nome dei propri fondatori, partiti controllati da una singola persona. Questa non è la democrazia, è evidente. È un po' quello che si dice del governo dei tecnici, è una forma di sospensione della democrazia. È una classe dirigente che non semina, non genera nuovo, ma si limita a tappare i buchi.
La sua analisi è sottile e spietata. Ma vorrei capire meglio perché Orlando, che politicamente parlando non ha lasciato nulla dietro di sé dopo la famosa primavera degli anni '90 inizio 2000, ha di nuovo vinto in maniera così eclatante al primo turno di queste elezioni?
Perché esattamente come nel '93 il sistema politico ha lasciato sul campo soltanto macerie. Quindi a Palermo esiste una speranza collettiva salvifica che è Orlando, il suo prestigio e forse le sue capacità di amministratore vengono riconosciute o ricordate o mitizzate. Dunque si risolve il problema con Orlando Orlando Orlando. Le ripeto: il problema non è la vittoria di Orlando, per me, perché la vittoria di Orlando potrà portare anche cose buone per questa città, per quanto ne so. Il problema è quello che rivela, la patologia che Orlando sia l'unica alternativa possibile agli occhi della collettività, che sia l'unico elemento riconoscibile. Ma d'altronde, se allarghiamo l'orizzonte, il fenomeno del grillismo cos'è? Non è la ripetizione del passato? Grillo fa sui partiti lo stesso discorso che veniva fatto nel '93. Grillo è un'altra Italia dei Valori, più magmatica, grida di più, è un'altra Lega. Si ha l'impressione che questa seconda repubblica sia cominciata ieri, invece sono passati vent'anni, è come se ripetessimo la stessa cosa, dove quelli che allora facevano la parte dell'antipartito, oggi fanno la parte del partito. Siamo schiavi delle retoriche ripetitive. E la vicenda di Orlando si inquadra in questa Italia qui. Solo che ora non rappresenta più l'antipartito dei tempi della Rete, ma una Rete ridotta all'osso, il notabile appunto.
Parliamo del Partito democratico. Si è dilaniato alle primarie e si è prevedibilmente quasi dissolto nelle urne del primo turno, dalle quali ha ottenuto appena il 7% dei consensi...
Il Partito democratico è un gruppo che ha una forte rendita di posizione perché sta in un posto essenziale della democrazia italiana e non si vede ancora nessuno che possa sostituirlo. Questo vale anche per la politica siciliana. Ma è un partito che è assolutamente incapace di esprimere una leadership perché su qualsiasi leadership punti, quella risulta ipso facto delegittimata. Restando a Palermo bisogna ricordare che Ferrandelli non è un candidato del Pd, così come Rita Borsellino non era un candidato del Pd alle primarie. Sono candidati pescati via via dall'esterno e questo partito - al contrario del Re Mida - come li tocca li fa perdere. È una cosa sconcertante, è una specie di patologia italiana e particolarmente siciliana.
A sinistra del Pd le cose non vanno meglio. Sel e Fed - uniti alle primarie - si sono divisi e combattuti su fronti opposti alle elezioni. Il risultato è che anche questa volta nessuno dei due gruppi ha superato il quorum (5%) per entrare in consiglio comunale. Non dovrebbe far riflettere in maniera meno partigiana?
Non c'è dubbio, ma anche qui è la mancanza totale di una vera proposta politica che spinge gli uni e gli altri sul carro delle proposte politiche altrui. Cosa devo dire, è una storia di forti debolezze che non porta da nessuna parte.
A proposito di quella parte del Pd che avrebbe tentato di «usare» Ferrandelli come tramite per rafforzare l'alleanza con il governatore Lombardo, in vista anche del voto anticipato di ottobre, secondo lei ha senso perseguire questo tipo di alleanza - giunta tra l'altro al capolinea per fallimento politico prima ancora che giudiziario - in uno scenario completamente cambiato?
Non ha senso. Quando si è delineata questa strategia neo-milazzista, la giustificazione era che in una situazione regionale in cui agivano delle superpotenze berlusconiane o neodemocristiane, tanto valeva evitare che queste forze si saldassero creando una contrapposizione per riaprire un gioco politico. Solo che tutte queste superpotenze non ci sono più già da un pezzo, perché il centrodestra in Sicilia è imploso molto prima che nel resto d'Italia, e in un contesto di grande frantumazione la cosa più importante da fare sarebbe quella di avere una propria proposta politica per incidere su un quadro in movimento. Se ci fosse un'opposizione forte e credibile, questo sarebbe il suo momento ma questa capacità non c'è, non si vede.
È quello che è accaduto a Palermo...
Esattamente. A Palermo Orlando ha fatto un'operazione brillante, cinica quanto vogliamo, ma brillante. Ha avuto la percezione giusta del varco in cui si poteva infilare e soprattutto che ci si doveva infilare lui e non Ferrandelli perché aveva capito che poteva vincere. Anche Ferrandelli avrebbe vinto, io penso, però Orlando ha preferito vincere lui. Quindi ha cacciato Ferrandelli dal partito e poi gli ha stoppato la strada. È stato magistrale. Come cittadino sono lontanissimo da questo suo modo di fare politica, ma come studioso devo dire che Orlando mi piace perché ha capacità politica, cosa che i dirigenti dell'ex Pci e ora del Pd non hanno.
E dal suo punto di vista di studioso anche del fenomeno mafioso, Raffaele Lombardo cos'è?
Quello che è obiettivamente: è un pezzo di macchina politica ex democristiana che si è riconsolidata, ha creato una poderosa struttura elettorale e ha cercato di metterci sopra un discorso regionalista, che di fatto è consistito in niente ma in tempi di egemonica leghista e in una regione come la Sicilia, in cui qualsiasi esperienza politica sembra dover passare attraverso questo becero regionalismo, poteva essere cavalcato. Poi, ovviamente, essendo soprattutto una poderosa macchina elettorale, corre il rischio di bucare laddove ci sono le giunture tra la macchina politica e le altre macchine di potere che ci sono in Sicilia.
Immagino si riferisca all'indagine che lo vede imputato di concorso esterno in associazione mafiosa e voto di scambio. Lei che idea si è fatto di questa inchiesta che tra poco andrà a conclusione?
Sull'inchiesta non ho nessuna idea. Penso invece che sia normale che un potentato politico di questa natura e in una città come Catania, venga sfiorato o appena sfiorato oppure che entri pesantemente in relazione con apparati criminali. Ma se Lombardo è colpevole o innocente non sono in grado di dirlo perché per fortuna non faccio il giudice. Rappresenta però un evidente problema politico.
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