Il Corriere della Sera pubblica oggi un’interessante intervista al sociologo Carlo Carboni che aiuta a comprendere il significato delle ultime elezioni amministrative.
«Non chiamatela antipolitica. Il vero problema è chi non vota più»
di Paolo Conti
ROMA — «Sì, certo, c’è l’antipolitica se vogliamo attribuire questa etichetta al movimento di Grillo… Ma il dato più evidente e allarmante è la “impoliticità” dell’indifferenza degli italiani. Quando l’affluenza alle urne cala di quasi il 7% rispetto alle altre amministrative e va a votare solo il 66 e passa per cento, siamo di fronte a un voltare le spalle collettivo alla politica».
Carlo Carboni, docente di Sociologia economica all’università «Giorgio Fuà» di Ancona, è autore sia di «Èlite e classi dirigenti in Italia» (Laterza 2007), sia del recente «Il Paese che funziona-le eccellenze industriali» (Il Mulino). Da anni studia i cambiamenti del Paese con gli strumenti di un sociologo capace di seguire il binario economico e quello politico.
Dove affondano le radici di questo voto, professor Carboni?
«Certo, si tratta di elezioni amministrative. Ma il loro valore è importante per il contesto, per lo sfondo. L’Europa è in fiamme. In Francia ha appena vinto Hollande sulla scia di una forte domanda di cambiamento. Non ideologico, attenzione: si chiede che la crescita venga vista non più come una minaccia ma come un fattore che favorisce la tenuta dei conti di bilancio. Il nostro test è piccolo ma significativo».
Perché la spaventa, per usare le sue categorie, più la «impolitica» che l’antipolitica di Grillo?
«Perché la cosiddetta antipolitica, o politica antagonista che dir si voglia, fa comunque parte del gioco istituzionale. Emerge attraverso le urne. La gente vota. Prima o poi anche il Movimento 5 stelle verrà istituzionalizzato, se c’è un contenuto positivo».
La parabola della Lega…
«Esatto. Anche la Lega si presentò come un fattore antipolitico. Ora è una parte importante del sistema».
Torniamo all’«impolitica».
«Veniamo da vent’anni di crisi della politica italiana, minata da una crisi di fiducia in costante crescita tra i cittadini. Questa delegittimazione non istituzionale ma di affidabilità ha portato al risultato di ieri. L’impolitica si è nutrita anche per l’affermazione di un modello alternativo all’uomo pubblico: l’italiano che punta sul benessere personale, la sicurezza, l’agiatezza, e poi via via eccoci alla filosofia dell’iperconsumismo. Quanto di più lontano dal “cittadino politico”. In questo profilo si ritrovano pezzi importanti della società italiana. Per esempio una parte considerevole del ceto medio, che è anche ben informato su ciò che accade. C’è un po’ di snobismo, certo, ma anche una gran voglia di girare le spalle alla politica così come l’abbiamo vissuta».
Cosa vede nel voto di Grillo?
«Sicuramente una forte componente giovanile. Comunque un voto. Comunque un occupare spazi di democrazia. Cosa importantissima».
Leoluca Orlando, con la sua affermazione a Palermo, ha decretato la morte della vecchia politica. Condivide?
«Potrei condividere se davvero così fosse… Invece la vecchia politica non solo non è morta: ma è essa stessa una parte consistente dei nostri problemi duri a morire».
Cosa dovrebbe fare la politica per sottrarre spazio all’impolitica, per far tornare a far votare gli italiani?
«Lo scrivete voi tutti i giorni sui quotidiani, mi pare. Dimezzare il finanziamento pubblico ai partiti, abbassare i compensi di chi governa e amministra, sforbiciare il numero dei parlamentari. Soprattutto riformare subito i partiti. Ora sono solo oligarchie spesso personali dietro a una logora etichetta. E non parlo soltanto del Pdl, sia ben chiaro».
A proposito di Pdl, la sua sconfitta appare molto chiara.
«Credo che, in vista del 2013, tutti siano chiamati a rimettere mano ai partiti. L’asse Pdl-Lega che ha sorretto per anni il potere soprattutto settentrionale, si sta sfaldando senza rimedio. Una situazione che chiama alla rifondazione il centrodestra. Ma lo stesso discorso vale, con identica urgenza, per il centrosinistra: impossibile immaginare di poter affrontare le elezioni del 2013 con gli attuali assetti».
In quanto alla Lega?
«Mi sembra abbia perso soprattutto il suo ruolo di formazione politica legata alla protesta. Non a caso Grillo ha cercato anche lì i suoi nuovi spazi».
Lei suggerisce di sforbiciare i costi della politica. In Sardegna il referendum sull’abolizione delle quattro province più recenti si è trasformato in un plebiscito di sì. Che ne pensa?
«Un segnale molto tangibile di quanto dicevamo prima. Non andrebbe sottovalutato, direi. Tre anni fa svolsi un’indagine demoscopica in tutta Italia e la Provincia era percepita come un ente inutile, soprattutto dopo la recente proliferazione davvero senza fine».
Quale messaggio arriva ai vertici del Paese dalle elezioni, dal suo punto di vista di sociologo?
«Abbiamo vissuto e viviamo tre crisi: politica, economica, morale, recentemente riemersa. L’impolitica pone il problema di una leadership capace di infondere al Paese speranza e positività dopo la lunga sbornia di pessimismo. Ma non siamo in grado di dire fino a che punto la questione sia legata all’attuale governo Monti. Difficile dirlo».
Fonte: Corriere della
Sera 8 maggio 2012 pp.10-11.
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