13 maggio 2012

Più legna, è la guerra!


Un carissimo amico d'infanzia, Antonio Corrado, mi ha segnalato un articolo che pubblico volentieri:


 LA REPUBBLICA DEL 99%

  di  Amador Fernández-Savater

“Più legna, è la guerra!”. Il treno dei Fratelli Marx (citazione dal film “Go West!” e alla scena in cui i fratelli Marx alimentano la locomotiva del treno con il legname dei vagoni, ndt) è oggi l’immagine più esatta del capitalismo. Lanciato a capofitto in una fuga in avanti, smantella se stesso per continuare ad alimentare il fuoco della macchina. Diritti, garanzie, vite, ricchezze, risorse, cautele, legami, l’intero edificio della civiltà sociale moderna. La folle corsa del capitalismo minaccia di divorare tutto. Non vi è alcun piano complessivo né a lungo termine: basta prendere tutto il legname necessario perché la macchina continui a funzionare. Il capitalismo è diventato completamente punk:“no future”.
Qualcosa di molto profondo è rotto. Facciamo finta di niente, ma lo sappiamo. La sensazione generale è: “tutto è possibile”. Che l’Unione europea cacci la Spagna dall’euro, un corralito (una crisi alla argentina, ndt) o un’insurrezione. Qualsiasi cosa. Ma ci aggrappiamo alla possibilità più remota: che le cose rimangono le stesse, che si ritorna alla “normalità”. Il capitalismo improvvisa, ma anche i movimenti che gli si oppongono. Non c’è bussola che valga, le mappe che abbiamo ci cadono dalle mani, non sappiamo dove andiamo. E’ come se non ci resti che seguire gli avvenimenti del giorno: ieri le faccende del re (una polemica recente sulle spese della famiglia reale spagnola, ndt), oggi quella di Repsol (multinazionale spagnola, la cui filiale argentina è stata nazionalizzata dal governo della presidenta Kirchner, ndt), domani si vedrà. The time is out of joint (citazione dall’Amleto di Shakespeare, tradotto in genere con “il tempo si è spezzato”, ndt).
Protestare sembra inutile. I greci hanno già fatto più di dieci scioperi generali senza riuscire a rallentare di una briciola la velocità assurda della locomotiva, o a diminuire il suo potere terribile di devastazione. È come se i poteri si fosse deconnessi dalla società e non ci sia il modo di colpirli. Fa paura. Il ritmo di distruzione del capitalismo si è accelerato per mille dal 2008. Divora in pochi secondi conquiste che hanno richiesto decenni di lavoro e di lotte. E non sappiamo come fermarlo.
Se tutto va a fondo, almeno partecipiamo al naufragio. Un amico di Barcellona mi ha detto che la tolleranza verso la violenza di strada, durante l’ultimo sciopero generale, era enorme,: “tu taglia, io brucio”. Una risposta legittima. Cosa sarà, bruciare un cassonetto, a confronto con milioni di vite bruciate? Più legname è la guerra: tagli, repressione, menzogne. Ciò che è normale, è ovvio, è la rabbia, l’odio, la violenza. Legittimo, ma inutile. Gran testate contro il muro, ogni volta sempre più furiosi, ciechi e disperati. Ma il muro e non cede.
Loro scelgono i temi.
Loro stabiliscono i tempi.
Loro creano gli scenari.
Noi reagiamo.

Qualcuno da queste parti ha visto Michael Collins? Il film, sulla vita del leader rivoluzionario irlandese, inizia con l’insurrezione di Pasqua del 1916. L’Ira prende un edificio amministrativo, ma gli inglesi li sconfiggono. Non è la prima volta: seguendo le regole della guerra convenzionale, l’Ira ha sempre perso. Nell’organizzazione ci sono quelli che pensano che il continuo “sacrificio di sangue” aiuta la nascita della nazione irlandese: la repressione provocherà nuove adesioni causa alla causa e nuove insurrezioni. Tanto peggio tanto meglio.
Michael Collins non pensa affatto questo. In carcere riflette e propone un cambiamento strategico radicale: “da oggi agiremo come se la Repubblica d’Irlanda sia una realtà. Combatteremo l’impero britannico ignorandolo. Non seguiremo le loro regole, inventeremo le nostre”. Iniziò così una guerra di guerriglia storica, che ha fatto impazzire per anni gli inglesi e, infine, li ha costretti a negoziare il primo trattato di pace e di indipendenza con gli irlandesi
Quel che Michael Collins decide è smettere di dare testate al muro. Non vuole semplicemente aver ragione, né sacrificare qualcuno in nome di un futuro migliore. Vuoi vivere e vincere. E questo significa: creare la realtà. Il vero contrattacco è creare nuova realtà.. Perciò propone paradossalmente una finzione: facciamo “come se” la Repubblica irlandese sia un fatto.
Le finzioni sono cose serie. I rivoluzionari francesi del Settecento hanno deciso di “agire come se” non fossero più i sudditi del vecchio regime, ma cittadini in grado di pensare e di scrivere una Costituzione. I proletari dell’Ottocento secolo hanno deciso di “agire come se” non fossero i muli da lavoro che la realtà li costringeva ad essere, ma persone uguali a tutti gli altri, in grado di leggere, scrivere, parlare e auto-organizzarsi. E hanno cambiato il mondo. La finzione è una forza materiale dal momento in cui ci crediamo e ci organizziamo di conseguenza.
Non indignarsi, reagire o chiedere, ma agire come se la Repubblica del 99% sia una realtà, combattere il potere ignorandolo, non obbedire alle loro regole, ma inventare le nostre. Che cosa potrebbe significare, questo?
Immagino per prima cosa, in tutte le piazze, una dichiarazione di massa di rottura con la realtà marcia della monarchia, dell’economia e della politica. Un gesto sereno, tranquillo: “siete licenziati, noi ce ne andiamo”. Il nostro giuramento della Pallacordas (episodio chiave della rivoluzione francese di fine Settecento, ndt). Poi dovremmo trarre tutte le possibili conseguenze pratiche possibili di una cosa impossibile: la Repubblica del 99% è una realtà, cosa ne consegue? Decidere i nostri tempi, temi e scenari. Farli esistere e rispettare e durare e crescere. Abitare già un altro paese: reale e immaginario, visibile e invisibile, intermittente e continuo.
Il modo migliore per difendere qualcosa è reinventare tutto.
Non per te e i tuoi, ma per il 99% (viaggiamo tutti sullo stesso treno).
La nostra vendetta è essere felici.

*Articolo scritto per il periodico madrileno Diagonal (www.diagonalperiodico.org).
 Pubblicato da http://www.democraziakmzero.org

 

Nessun commento:

Posta un commento