Renato Guttuso,
Occupazione delle terre incolte in Sicilia,1949 - 50, olio su tela cm. 270x330, Dresdsa, Gëmaldgalerie
Occupazione delle terre incolte in Sicilia,1949 - 50, olio su tela cm. 270x330, Dresdsa, Gëmaldgalerie
Giovedì 3 maggio 2012, alle ore 16.30, nell’aula magna dello Steri di Palermo, si presenta il libro Placido Rizzotto e altri caduti per la
libertà contro la mafia, a cura di Michele Figurelli, Linda Pantano e
Vincenza Sgrò, edito dall’Istituto
Gramsci siciliano. Ci pare opportuno segnalare la bella recensione che ne ha fatto ieri Piero Violante sull’edizione palermitana de La Repubblica.
I martiri del feudo.
Quei sindacalisti uccisi due
volte.
Ai
carabinieri e alla polizia, ma anche ai giudici, non piaceva l'idea che un
sindacalista o un dirigente politico o peggio un contadino fosse ammazzato per
motivi politici.A partire dal '44, ma sino agli anni Ottanta, cercavano altre
piste. Il gallismo siciliano faceva allusione ad un sempre impellente
"cherchez la femme" come movente del delitto; e in mancanza di quest'oggetto
pruriginoso si ripiegava sui rancori che, si sa, sono perenni; o su questioni
di interesse. Insomma, tutto fuorché la politica.
Anche se i
morti ammazzati dinanzi le porte di casa o nelle stradelle di campagna erano
uomini che appartenevano alle organizzazioni operaie e spendevano letteralmente
la vita per l'affermazione dei diritti dei contadini a partire dai decreti
Gullo del '44, seguiti dalla riforma agraria che bene o male, en retard, portò
la Sicilia fuori dall' Ancien regime. Era il 1950. Non piaceva ai carabinieri e
alla polizia che quei morti ammazzati fossero poi gente per bene. Nei loro
rapporti affermavano che erano dei poco di buono e che la loro condotta era al
limite del codice penale.
Mettete il
caso di Andrea Raia, assassinato a Casteldaccia, il 5 agosto 1944. "La
voce comunista", il 12 agosto scrive che «il compagno Raia è stato
assassinato perché organizzatore comunista e perché membro attivo e
intelligente del comitato di controllo ai granai del popolo».
Per i
carabinieri - così ci ricorda Salvo Riela, avvocato per decenni del Comitato di
solidarietà democratica già istituito nel 1948 con Varvaro, Taormina e Nino
Sorgi, - Raia era «irascibile, linguacciuto minaccioso se pure non pericoloso,
alticcio, un noto donnaiolo, con una moglie che non era stata "parca"
di favori a persone sconosciute (sic) di Casteldaccia». Così si legge nel
rapporto dei carabinieri del 10 settembre del '44.
E il profilo
che i carabinieri scrivono cerca di contrastare le asserzioni della "Voce
Comunista" e soprattutto di invalidare «la propaganda comunista voluta
dagli speculatori politici». Per i carabinieri Raia era un criminale e un
contrabbandiere anche se poi nello steso rapporto si afferma che era
popolarissimo e stimato a Casteldaccia e che al suo funerale partecipò tutto un
popolo come non mai.
Questo si
legge negli atti che Riela ha voluto donare all'Istituto Gramsci siciliano
insieme agli atti processuali che ripetendo lo stesso schema interpretativo
riguardano gli assassini di Nicasio Curcio (Ficarazzi, 1945), Agostino
D'Alessandria (Ficarazzi, 1945), le vittime della strage di Portella della
Ginestra (1 maggio 1947), Giuseppe Casarrubea (Partinico, 1947), Vincenzo Lo
Iacono (Partinico, 1947). Calogero Caiola (San Giuseppe Jato, 1947), Pietro
Macchiarella (Villabate, 1947), l'attentato alla sezione del Pci dell'Uditore
(Palermo 1947), Michelangelo Salvia e Leonardo Salvia (Partinico, 1947),
Giuseppe Maniaci (Terrasini, 1947), Placido Rizzotto (Corleone, 1948),
Salvatore Carnevale (Sciara, 1955), Vincenzo Leto (Campofiorito, 1956),
Vincenzo Di Salvo (Licata, 1958).
Nel volume
edito dall'Istituto Gramsci siciliano Placido Rizzotto e altri caduti per la
libertà contro la mafia, a cura di Michele Figurelli, Linda Pantano e Vincenza
Sgrò, con una presentazione di Salvatore Nicosia - sarà presentato nell'aula
magna dello Steri, giovedì alle 16,30 - Salvo Riela scrive che dalle carte
processuali emerge inadeguatezza investigativa e culturale, funzionale ad una
lettura che trova concorde la magistratura. Minimizzando le forze dell'ordinee
assolvendo i giudici, si garantiva la permanenza di un blocco sociale violento
e reazionario e la crescita della mafia come ente privato di protezione. Dal
'44 agli anni Sessanta gli omicidi di sindacalisti e politici superano i
cinquanta. Una mattanza che diviene collettiva a Portella della Ginestra.
Quegli spari ci hanno per sempre abbrunito il Primo maggio.
L'assassinio
di La Torre, poi, alla vigilia del Primo maggio di trent'anni addietro, sembra
obbedire negli esecutori ad una logica perversa che ribadisce la negazione del
Primo maggio come una festa identitaria. Di questa violenta sottrazione e delle
sue conseguenze non ne siamo ancora venuti a capo. Non solo, ma a distanza di
65 anni non è divenuto un valore condiviso il fatto che le vittime della
resistenza contadina siciliana debbano essere considerati martiri rimossi della
costruzione della democrazia italiana. Nel libro del "Gramsci", oltre
al saggio di Riela, Vincenza Sgrò illustra la consistenza delle carte
conservate sull'argomento dall'istituto; mentre Michele Figurelli commenta
documenti che attestano l'attiva solidarietà locale e nazionale attorno alle
vittime di Portella. Tra gli allegati del volume, molti documenti come il primo
disegno di legge dell'Assemblea regionale presentato dagli onorevoli Feliciano
Rossitto ed altri, il 20 aprile 1966, finalizzato alla "concessione di un
assegno vitalizio alle famiglie di dirigenti sindacali e politici uccisi dalla
mafia nella lotta per il lavoro, la libertà e il progresso in Sicilia". Il
disegno di legge contiene il primo lacunoso elenco dei morti della guerra
contadina. Ne nomina 45 e vi manca il nome di Carnevale.
In sede di
approvazione l'elenco fu tolto e fu nominata una commissione per meglio
redigere l'elenco stesso. Ma la legge venne impugnata e bocciata dalla Corte
costituzionale. Bisogna arrivare al '99 perché venga emanata una legge,
attualmente in vigore, in materia di "interventi contro la mafia e di
misure di solidarietà in favore delle vittime della mafia e dei loro familiari"
La legge contiene un elenco dei nominativi dei morti tra il '44 e il '66 e ne
conta 54.
Ma come
scrive Riela «pare doveroso rilevare che, a tutt'oggi, l'idea della completezza
nell'attribuzione della qualifica di "vittima" è una presunzione
piuttosto che il risultato di un accertamento che possa ritenersi definitivo».
PIERO VIOLANTE , La
Repubblica 1 maggio 2012 — ed. Palermo, pagina 10.
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