Paul Klee
Federico Francucci - Ancora su D'Arrigo
[Pochi giorni fa Le parole e le cose ha
proposto un saggio di Flavio Santi che formulava una tesi molto netta
sul valore dell'opera di Stefano D'Arrigo. Il saggio era uscito
originariamente all'interno di un dossier su D'Arrigo pubblicato nel
2007 dalla rivista «Atelier», con saggi, fra gli altri, di Gabriele
Frasca, Giancarlo Alfano, Andrea Cortellessa. La curatela e
l'introduzione, che di seguito si offre, erano mie. Il pezzo contiene
molte cose che oggi non scriverei, ma nella sostanza lo condivido ancora
pienamente. Era allora, come è oggi, in amichevole ma radicale dissenso
col testo di Flavio (F. Francucci)]
Nel momento di chiuderla, ringraziando
coloro che vi hanno partecipato, spero soprattutto che questa raccolta
di saggi si posizioni a distanza di sicurezza da intenti meramente
celebrativi e sistemazioni neutralizzanti. Si è deciso di parlare di
D’Arrigo a partire non da una valutazione concorde di qualche suo
assoluto valore, ma da un’attitudine empirica e sperimentale: verificare
se l’opera darrighiana, a trentuno e ventuno anni rispettivamente
dall’uscita di Horcynus Orca e Cima delle nobildonne,
dunque in una cornice storico-culturale assai diversa da allora, e in
particolare dal clima in cui il primo romanzo fu concepito (gli anni
Cinquanta, non gloriosissimi per nuove fioriture della prosa italiana),
possa servire ai lettori, come meccanismo da riattivare inserendovisi,
per capire, rimaneggiandone gli effetti depositati sulle pagine,
qualcosa che stava accadendo quarant’anni fa e che, sia pure
diversamente, continua ad accadere tuttora. Nessuno spazio, allora, al
“caso” editoriale, o alle leggende sull’autore (nel 1984 Emilio Giordano
aveva già ascritto l’aneddotica, di cui poco importa l’autenticità, al
cosiddetto “mito dell’artista”); né a ricerche puramente erudite, che
sono in parte state fatte e saranno fatte in altre sedi. Allo stesso
modo non è sembrato opportuno ingolfarsi nell’angusto schema mentale
delle classifiche di scrittori più grandi e più piccoli, o di romanzi
del secolo (nota tipologia quest’ultima, che, diceva Luigi Baldacci nel
1975, conta un nuovo esemplare ogni settimana: quindi lasciamo perdere).
Si è cercato di mettere in questione meno l’“importanza” che la
portanza, per così dire, dell’opera: da quali flussi, da quali correnti,
e in che maniera, essa riesca a farsi sostenere, reggendone l’urto e
utilizzandoli per la propria riuscita. Il problema, qui a bella posta
formulato in termini vaghissimi, perché le sue diverse specificazioni
comportano già un indirizzo di risposta, ha da subito diviso i critici
nelle canoniche, e già giovannee, fazioni di caldi, freddi, e tiepidi (e
si conosce l’avversione di Giovanni per questi ultimi). Prima del
necessario chiarimento, forse è bene elencare alcune implicazioni che,
data l’estrema complessità dell’opus in oggetto, e gli svariati domini
che esso intercetta, rendono molto difficile formulare un giudizio
ponderato.
http://www.leparoleelecose.it/
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