IL NOSTRO LEGAME CON LA NATURA
di Ivana Margarese
Quando
gioco col mio gatto,
chissà se
sono io che mi sto divertendo con lui,
o lui con me.
Michel de Montaigne
Indagare non soltanto l’uomo ma piuttosto la vita in tutte le sue forme costituisce un processo profondo e complesso nel corso dell’evoluzione mentale ed è a questo tema che si rivolge il saggio Biofilia del biologo americano Edward O. Wilson, pubblicato nel 1984 dalla Harvard University Press ed edito in Italia nel 2021 da Piano B edizioni.
Il termine “biophilia” può essere tradotto letteralmente come “amore per la vita” e per gli organismi viventi.
Wilson intende indicare la tendenza innata degli esseri umani a concentrare l’interesse sui processi vitali e il loro legame ancestrale con la natura. L’umanità, sottolinea, non risulta di certo esaltata dal fatto di percepirsi al di sopra degli altri organismi viventi, quanto piuttosto dal fatto che una comprensione più approfondita di ogni essere vivente possa comportare l’esaltazione del concetto stesso di vita. La tesi da lui sostenuta è che proprio da tale propensione dipenda la nostra unica reale possibilità di sopravvivenza sulla terra.
La questione posta da Wilson ha radici antiche. Tra le molteplici considerazioni si trova anche il contributo lungimirante di Michel de Montaigne che nei suoi Saggi, in pieno periodo umanistico, mette efficacemente l’accento sulla vanagloria della presunzione umana:
È possibile immaginare qualcosa di tanto ridicolo quanto il fatto che questa creatura miserabile e infelice, che non è neppur signora di se stessa, esposta alle offese di tutte le cose, si dica padrona e regina dell’universo, del quale non è in suo potere conoscere la più piccola parte, e tanto meno comandarla? […]
La presunzione è la nostra malattia naturale e originale. Tra tutte le creature l’uomo è la più fragile e la più soggetta alle calamità; nello stesso tempo è la più orgogliosa. Egli si sente e si vede situato qui, tra la melma e lo sterco del mondo, legato e inchiodato alla parte peggiore, più morta e stagnante dell’universo, all’ultimo livello del creato, il più lontano dalla volta celeste, con gli animali della peggior condizione; e va con l’immaginazione a piantarsi al di sopra del cerchio della luna; a mettere il cielo sotto i propri piedi. Con la vanità di questa stessa immaginazione egli si rende eguale a Dio, si attribuisce qualità divine, da se stesso si elegge e si separa dalla calca delle altre creature, taglia le parti degli animali, suoi fratelli e compagni, e distribuisce loro la porzione di facoltà e di forze che a lui sembra opportuna. Come fa a conoscere, con lo sforzo della sua intelligenza, i moti interni e segreti degli animali? Attraverso quale confronto tra noi e loro deduce la stupidità che attribuisce ad essi?
L’ipotesi biofilia fa riferimento al bisogno fisico, psicologico ed emotivo di venire in contatto con gli altri esseri viventi, di osservarli, apprezzarne le forme e ricrearle, in un processo reciproco di adattamento vitale e culturale.
In questa ricerca il piacere della conoscenza si lega a esigenze etiche ma anche a sentimenti estetici: quanto maggiore è la conoscenza tanto più profondo è anche il mistero. Wilson cita lo stesso Darwin che nel 1832 facendo per la prima volta esperienza della foresta tropicale scrive: “meraviglia, stupore e devozione sublime, riempiono ed elevano la mente”.
Il metodo proposto dall’autore sprona a non dare nulla per scontato e ad approfondire anche temi che possono a un approccio superficiale non apparire come spazi degni di indagine:
“Fintanto che un ramo della scienza offre un’abbondanza di problemi, esso resterà vivo: una mancanza di problemi preannuncia l’estinzione, o la fine di uno sviluppo indipendente”.
Questa affermazione del matematico David Hilbert può servire da corrimano per comprendere l’ispirazione della sfida teorica di Edward O. Wilson e i tanti spunti di riflessione da lui offerti sulla ricerca scientifica e sulla sue possibili direzioni.
Il lettore scopre come considerazioni valide in ambito prettamente scientifico abbiano validità anche in altri campi, come le scienze umane, l’arte, la filosofia, la letteratura. Ciò che emerge è un richiamo costante all’osservazione vigile di ciò che ci circonda e al contempo all’ammirazione della bellezza del mondo in cui viviamo.
Gli scienziati più stimati, scrive Wilson, sono quelli che superano lo schiamazzare di richieste da parte dell’Io e di posizioni ideologiche e scelgono di far progredire il sapere anche a costo di perdere la propria reputazione scientifica.
È certo che quanto viene detto non valga solo per la scienza ma sia piuttosto una esigenza che emerge fortemente in ogni ambito del sapere. Ampliare il proprio orizzonte, mettere insieme analisi e sintesi, metodo e immaginazione e collaborare tra i saperi è un compito di fondamentale importanza nella nostra cura alla stessa vita.
Wilson rileva la tendenza degli esseri umani a circondarsi di elementi vitali e estetici, a interessarsi a ciò che è complesso e imprevedibile e a trattare “i loro più terribili marchingegni come cose vive o almeno a ornarli di emblemi, fregi floreali e altri elementi decorativi conformi alla percezione peculiarmente umana della vita autentica”.
L’uomo concentrato sul suo desiderio di espansione si industria per colonizzare lo spazio, per rendere vivibili luoghi diversi dalla terra e come Amleto seppur rinchiuso in un guscio di noce si sente re dello spazio infinito, ma dimentica la lezione sofoclea e socratica del conosci te stesso:
C’è una cosa almeno di cui sono certo, qualcosa che propongo come raccomandazione concreta: sulla Terra, non meno che nello spazio, il tappeto erboso, le piante in vaso, i pappagalli in gabbia, i cuccioli e il serpente di gomma non possono bastare.
La diversità delle specie è una delle più importanti risorse della terra ed è anche una delle più inutilizzate. Esistono più di 75.000 specie da coltivare commestibili il cui potenziale non è stato ancora approfondito. Altri prodotti naturali che possono avere risultati sorprendenti in ambito farmaceutico e medico. Invece centinaia di specie continuano a scomparire ogni anno e con loro una storia secolare e tutti i benefici che avrebbero potuto offrire.
Crediamo di avere il controllo del mondo ma non lo abbiamo compreso, poiché non teniamo a mente come la realizzazione della libertà personale non possa prescindere dalla conservazione dell’habitat che condividiamo. La trasformazione che viene proposta in questo saggio è una trasformazione etica che consideri la flora e la fauna di un luogo patrimonio nazionale al pari dell’ arte, della lingua “e di quella stupefacente miscela di conquiste e di farse che da sempre contraddistingue la nostra specie”.
Illusione e vanità fanno parte, come già per Montaigne, anche per Wilson dei comportamenti umani, contrassegnati dalla “grande cecità” di cui parla Amitav Ghosh.
Wilson trova rifugio nelle parole di Marco Aurelio, saggio imperatore stoico, e nel suo appello alla consapevolezza e alla vigilanza dinanzi ai cambiamenti:
Le persone a cui gli uomini vogliono piacere, gli oggetti che concupiscono, i mezzi a cui ricorrono – riflettete sul carattere di tutto ciò! Ben presto il Tempo nasconderà tutto quanto! Quante cose non ha già nascosto!
IVANA MARGARESE
Articolo ripreso da https://www.zestletteraturasostenibile.com/biofilia-il-nostro-legame-con-la-natura-edward-wilson/
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