Appunti per ricostruire la storia del fallimento della sinistra italiana. (fv)
Giorgio Amico
L'agile mangusta. Democrazia proletaria e gli anni Ottanta
«Democrazia Proletaria fu la più eretica delle formazioni politiche della nuova sinistra nate negli anni Settanta. Mise insieme, con un’impostazione culturale spesso in rottura con la tradizione della sinistra comunista, migliaia di donne e uomini arrivati alla politica dalle lotte del Sessantotto e i giovani affacciatisi all’impegno militante con i nuovi movimenti degli anni Ottanta. La sua originalità si desume sin dal soprannome che ne diede il leader Mario Capanna: l’agile mangusta che doveva muoversi con sveltezza per colpire il cobra della Democrazia Cristiana e del padronato, uno strumento leggero e coerente più efficace del pesante e immobile pachiderma del Partito Comunista Italiano».
Inizia così la presentazione di “L'agile mangusta. Democrazia Proletria e gli anni Ottanta” di Alfio Nicotra, già dirigente di DP e poi di Rifondazione comunista e ora funzionario presso la Camera dei deputati. In realtà di “eresia” in DP ce ne fu ben poca, almeno di non definire così l'eclettismo confusionario che caratterizzò fin dagli inizi il partito e questo già dal parto travagliato, non privo di aspetti grotteschi, frutto della fusione fra la minoranza del PdUP e la maggioranza di Avanguardia Operaia. Ne derivò una organizzazione che univa da un lato gli aspetti massimalistici e movimentistici della sinistra extraparlamentare post 68 e dall'altra l'ambiguità opportunista verso il PCI tipica degli ingraiani mai pentiti del vecchio PdUP. Il risultato fu più che un partito, dotato di una coerente e organica visione strategica, una sorta di movimento dei movimenti appassionatamente dedito a quella che una volta veniva chiamata politique politicienne. Elemento questo che portò con sé in dote nella appena costituito Partito della Rifondazione comunista contribuendo così a costituire quel mix di togliattismo manovriero, burocratismo tardo stalinista e massimalismo parolaio che ha contraddistinto questo partito nell'intero suo percorso dai fasti bertinottiani all'attuale stato groppuscolare.
Comunque, titolo demenziale a parte, preso da una frase tipica di un personaggio folkloristico come Mario Capanna e del suo modo “immaginifico” di far politica che pure proprio per questo tanto affascinò una generazione di giovani sprovveduti passati direttamente dal servir Messa ad uno stalinismo tanto caricaturale quanto manesco, il volume di Nicotra ha un suo interesse. Ricostruisce infatti con grande cura la politica parlamentare di DP, elemento finora trascurato dai pochissimi che si sono occupati della storia di questa organizzazione. Una ricostruzione dall'interno, visto che Nicotra di quella stagione fu uno dei protagonisti ma che, a dispetto dell'immagine di forza antisistema che l'autore intende offrire del partito, evidenzia come anche in Parlamento DP, proprio per la sua inconsistenza teorica, si dimostrò del tutto incapace di seguire una sua linea strategica e finì, come i “cugini” del PdUP, in balia degli eventi, prigioniera di un tatticismo manovriero tipico di un ceto politico sempre più scafato e autoreferenziale.
Insomma “l'agile mangusta” che doveva rivoluzionare con la sua imprevedibilità il Palazzo finì per trovarsi ingabbiata in una sorta di teatrino della politica che di “proletario” e antisistema manteneva ben poco. A dimostrazione che dai tempi della sinistra post-risorgimentale ai pentastellati di oggi, passando per il massimalismo socialista dei Bombacci e dei Mussolini, l'antiparlamentarismo piazzaiolo di chi vuole “aprire il Parlamento come una scatoletta di tonno”, rappresenta con il trasformisno una costante tipica della politica italiana.
Alfio
Nicotra
L'agile mangusta. Democrazia Proletaria e gli anni
Ottanta.
Edizioni Alegre, 2021.
16 euro
Giorgio Amico
Partito Socialista, stalinismo e Nuova sinistra
Luciano Della Mea, Raniero Panzieri e Pietro Nenni
Il Congresso di Venezia del 6-10 febbraio 1957 segna il successo di Nenni sulle altre componenti del partito, anche se la sua corrente non aveva raggiunto la maggioranza dei delegati. Una delle conseguenze sarà l'estromissione dalla Direzione di Raniero Panzieri, a cui viene comunque concessa la condirezione (assieme a Nenni) della rivista teorica del partito, Mondo operaio. Incarico che egli svolgerà dal marzo 1957 al dicembre 1958.
Pur se Panzieri è apertamente contrario alla linea della nuova segreteria del partito, e da qui la sua estromissione dalla Direzione, Mondo operaio non si muoverà in termini di corrente, ma cercherà di dare voce a quanto comunque ancora di innovativo e vivo esiste nel partito. Un tentativo destinato al fallimento, come dimostra la brevissima durata della direzione panzeriana.
Secondo Della Mea la vera svolta di Nenni non va collocata nel tanto celebrato incontro di Pralognan con Saragat che in parte ricuce lo strappo del 1947, quanto nelle tesi sviluppate nel saggio”Luci e ombre del Congresso di Mosca”, apparso sul numero 3 del marzo 1956 di Mondo operaio e in particolare nella scelta senza se e senza ma della via pacifica, democratica e parlamentare al socialismo. Scrive Della Mea:
«Su questa via Nenni cercò di convogliare la intera più recente esperienza del PSI: tanto quella del congresso di Milano del 1953 che, partendo dall'unità col PCI, aveva dettato la prospettiva della “alternativa socialista”; quanto quella del Congresso di Torino del 1955 che, continuando a far leva sull'unità d'azione fra PCI e PSI, dava dell'alternativa un'indicazione non più equivocamente socialista, ma democratica, da realizzare attraverso l'apertura a sinistra e il dialogo coi cattolici».
Una scelta che, sempre secondo Della Mea, suscitò un diffuso smarrimento nella base soprattutto operaia del partito, acuendone – va aggiunto – il profondo senso di inferiorità nutrito verso il PCI. In particolare pesò il fatto che l'incontro di Pralogan fosse stata una iniziativa del tutto personale di Nenni, non discussa in Direzione. Tanto da provocare le rimostranze aperte di Lussu. Il congresso di Venezia aveva però dimostrato anche la irresolutezza e la mancanza di una linea veramente alternativa da parte di una sinistra socialista che non aveva saputo sfruttare il mancato successo pieno di Nenni.
Quanto a Panzieri, la sua posizione è esplicitata nell'articolo “Appunti per un esame del movimento operaio”, apparso sul n. 1/1957 di Mondo operaio, proprio alla vigilia del Congresso. Secondo Della Mea è da lì che parte sia l'esperienza panzeriana di indirizzo di Mondo operaio del 1957-58 che quella successiva dei Quaderni rossi.
Per Panzieri occorreva un “processo di rinnovamento” dell'intero movimento operaio, attraverso un ritorno ai “termini originari” del metodo marxista. Non sarà dunque per caso che proprio il primo numero di Quaderni rossi si apra con un lungo saggio di Panzieri sull'uso capitalistico delle macchine che fin dalle prime battute fa esplicito riferimento al metodo usato da Marx nel primo libro del Capitale. Rifacendosi ai temi, allora molto discussi, sviluppati dal XX Congresso del PCUS, per Panzieri un vero processo di rinnovamento del movimento operaio italiano poteva passare solo attraverso una rottura senza ambiguità con le teorie e le pratiche staliniane. Da qui i contatti con Livio Maitan e l'atteggiamento di apertura verso il movimento trotskista e la sua organizzazione italiana i GCR che tuttavia, nonostante quanto in più occasioni dichiarato da Romano Alquati, non si trasformò mai in una aperta adesione. Ma di questo si tratterà in altra occasione.
Articolo ripreso da VENTO LARGO
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