11 novembre 2021

IVANA MARGARESE RACCONTA MARIA FUXA E LA REAL CASA DEI MATTI

 

ph. di Tania Spadafora


Oggi, per gentile concessione delle autrici, riprendo dal più bel blog letterario siciliano questo magnifico documento: 

Voce dei senza voce: Maria Fuxa e la Real Casa dei matti

A CURA DI IVANA MARGARESE

IMMAGINI FOTOGRAFICHE DI TANIA SPADAFORA


     Ogni luogo raccoglie e conserva storie che restano sopite in attesa di essere risvegliate.

A Palermo c’è un singolare edificio  costruito tra i giardini della Vignicella: l’ospedale psichiatrico Pietro Pisani, conosciuto anche come Real casa dei matti.
Fondata dallo stesso barone Piero Pisani nel 1824, la Real Casa dei Matti è stata tra le prime strutture a essere dedicata esclusivamente ai soggetti con patologie psichiatriche e a curare con terapie inclusive, molto innovative per l’epoca, tanto da essere riconosciuta come uno dei migliori istituti psichiatrici d’Europa.
Furono infatti abolite le pratiche di segregazione, incatenamento e bastonature per lasciare spazio all’osservazione e all’ascolto dei pazienti, ai trattamenti con musicoterapia, alle passeggiate, ai lavori manuali e alla cura degli orti. Fondamentali erano per la cura il lavoro e l’esercizio fisico: le attività agricole e i giochi mettevano in moto il corpo, educando all’attenzione e all’interazione e gratificando gli stessi pazienti.
I progressi di ciascuno erano inoltre annotati in un registro, in modo da tracciare un percorso terapeutico, cosa abbastanza inusuale rispetto a quanto previsto dagli istituti sanitari di quel periodo. Tra le prime misure da adottare dopo l’ammissione al ricovero c’era quella di separare i malati dai propri familiari e amici, poiché si presumeva che una delle cause del disagio psichico si annidasse negli stessi ambienti familiari e sociali. Queste terapie maggiormente attente alle condizioni dei malati non eludevano il fatto che in questo luogo si raccoglievano vicende di sofferenza e disagio.
Il regolamento tuttavia postulava, tra gli altri, una norma di comportamento preziosa: con i pazienti occorreva franchezza e sincerità; solo con comportamenti schietti e non simulati se ne conquistava la fiducia e, conseguentemente, si poteva entrare nel loro mondo.



Tra le storie legate a questa struttura c’è  quella della poetessa Maria Ermegilda Fuxa, che in questo luogo vive per più di cinquant’anni e scopre la sua vocazione poetica:

Quando ti accorgi di avere ben poca voce per urlare e distruggere le spesse mura della sofferenza, l’unica cosa che ti resta da fare per sopraffare la mostruosa ombra della solitudine e dell’incomprensione è aggrapparti. Io mi sono aggrappata… alla poesia… La poesia mi ha salvato la vita”.

Maria Fuxa nasce ad Alia, piccolo centro dell’entroterra in provincia di Palermo, il 12 dicembre del 1913, insieme alla sorella gemella, Nicoletta Ermelinda. Le vite delle due sorelle sono inevitabilmente intrecciate.
Assai presto la famiglia sceglie di trasferirsi a Palermo e il piccolo paese di montagna resterà così soltanto un ricordo dolce di “festose campane, / fremiti furtivi, attese / trepide nel silenzio della sera”.
Entrambe le sorelle si diplomano all’Istituto magistrale De Cosmi. Maria è riservata e ama il silenzio. Passa lunghe ore nel raccoglimento della sua stanza, in cui ogni piccola cosa tuttavia pare animarsi e avere qualcosa da raccontare:

Così il tavolino e la sedia narrano del bosco in cui erano nati, cresciuti… quando erano tronchi e rami di albero, dei lunghi viaggi e delle mille persone incontrate…”

Nicoletta invece è estroversa e spigliata e sarà causa della drammatica esperienza di rifiuto che altererà lo stato psicologico di Maria conducendola in manicomio con diagnosi di schizofrenia e depressione.
Il fidanzato lascia Maria per sposare Nicoletta e questo crea nella donna uno stato profondo di solitudine e sofferenza. Questo tradimento la conduce a un tentativo di suicidio: si lascia cadere dal balcone del quarto piano dell’abitazione familiare. Rimane miracolosamente illesa ma con la conseguenza di un ricovero in clinica psichiatrica, il primo di una lunga e terminale serie.
Scrive nella sua autobiografia dal titolo 
Nel silenzio di una crisalide racconta, di sentirsi “a brandelli”. Emarginata dal mondo in cui vive. Affetti, amore, dignità, responsabilità le sono stati tolti ingiustamente.
A questa vicenda è dedicata la poesia
 Amuri miu luntanu, contenuta nella sua prima raccolta di poesie “Voce dei senza voce”, pubblicata nel 1980 da Editrice Asla Palermo.

Quantu è duci u primu amuri / ca nun si po’ scurdari mai…/ Tu eri tutta la me vita, / tu eri tutta la me gioia. / Ma tu, amuri miu, amuri beddu, / ca na soru snaturata mi traristi./ Di lu cori la paci mi livasti, / soru scillirata, senza sangu na li vini. // Nun riri cchiù sta vucca mia, / mòriri mi sentu araciu araciu, / comu na cannila sbattuta di lu ventu. / Luntanu ti purtasti l’amuri miu / e strùggiri mi sentu st’afflittu cori . // Si putissi aviri l’ali / di stu locu marilittu / ca si chiama manicomiu / iu circassi di vulari; / pi munti e vallati / pi terra e pi celu, / st’amuri miu iu circassi… / «Unni si, amuri miu» / grirassi cu tuttu lu me cori, / «amuri granni, ma amuri trarituri! » / Quantu è duci u primu amuri, / ca nun si po’ scurdari mai.
(Quanto è dolce il primo amore / che non si può dimenticare … / Tu eri tutta la mia vita, / Tu eri tutta la mia gioia. / Ma tu, amore mio, amore bello, / con una sorella snaturata mi hai tradita. / Mi hai tolto la pace dal cuore, / sorella scellerata, senza sangue nelle vene. // La mia bocca non ride più, / mi sento morire piano piano, / come una candela sbattuta dal vento. / Ti sei portata lontano il mio amore / e sento struggere il mio afflitto cuore. // Se potessi avere le ali / da questo luogo maledetto / che si chiama manicomio / io proverei a volare; / per i monti e le vallate / per la terra e per il cielo, / ti cercherei amore mio … / «Dove sei, amore mio» / lo griderei con tutto il mio cuore, / «amore grande, ma amore traditore!» / Quanto è dolce il primo amore, / che non  si può mai dimenticare.)

Alla figura di Maria Fuxa la poetessa Maria Teresa Lentini ha dedicato il libro La voce della crisalide. Sulla vita della poetessa Maria E. Fuxa ed altre cronache, edito da Mohicani Edizioni nel 2019. A lei ho rivolto alcune domande per tracciare meglio questa storia.



Comincio col chiederti del libro e del titolo” La voce della crisalide”. Da cosa ho origine questo testo e come sei arrivata a scegliere questa immagine ?

Nella raccolta di poesie “Paesaggi dell’anima”, ASLA – 1990, è inserita un’autobiografia dove Maria E. Fuxa, parlando di sé in terza persona con il nome di Ester, racconta alcune sue esperienze e vicissitudini dall’infanzia sino in età adulta. Questa autobiografia ha titolo “Nel silenzio di una crisalide ovvero biografia di un’anima”, perciò ho, sin da subito, pensato a Maria come ad una crisalide che seppur nel chiuso del suo bozzolo, come poteva esserlo il manicomio, ha saputo piano piano dispiegare le ali, diventare farfalla, attraverso la poesia, e spiccare il volo. Da ciò l’immagine della crisalide nell’intento di divenire farfalla; il disegno è stato realizzato da mia figlia, Marta Bongiovanni, anzi il volto di donna è proprio un suo autoritratto.

Ti chiedo chi è per te Maria Fuxa e come la racconteresti in poche parole.

Non è semplice raccontare di Maria in due parole giacché la personalità di ogni individuo è data dal prodotto e dalla complessità di molteplici fattori (biologici, socioculturali, storici ecc…) in personalità già di per sé “fragili”, sensibili e delicate, come quella di Maria, il cui vissuto è stato interrotto dalla malattia mentale e da tutto ciò che ne consegue, nonché da vicissitudini personali estreme, diventa piuttosto difficile. Ma se proprio dovessi definire Maria in due parole direi che: Maria è stata voce dei senza voce e voce di se stessa, alla ricerca della propria e dell’altrui identità e dignità personale.

Ti chiederei adesso invece di descrivermi la sorella Nicoletta. Che idea ti sei fatta di questa donna e di questa relazione tra sorelle?

Nicoletta Ermelinda altro non era se non “l’alter ego” di Maria Ermegilda che, nel suo vivido immaginario, s’immedesima nella sorella gemella che rappresenta tutto ciò che lei avrebbe voluto essere. Come Nicoletta (chiamata familiarmente Lina), anche Maria, avrebbe voluto essere spigliata, loquace, attraente ma soprattutto intraprendente. Era invece introversa, malinconica e tormentata dai fantasmi della sua stessa mente che sin dall’infanzia l’assillavano; Maria era, sì graziosa e determinata, ma bloccata dentro la fragilità e l’insicurezza. Entrambe intelligentissime saranno sempre messe a confronto e a disagio dalla famiglia, dai compagni e persino dagli stessi insegnanti. Il loro rapporto sarà caratterizzato da una sorta di amore/odio che si protrarrà nel tempo, a maggior ragione quando la sorella ed il fidanzato perpetrano il “tradimento”…

Il dolore provato da Maria è un dolore grandissimo, un tradimento da parte della sorella e del fidanzato. Tuttavia mi domando quanto peso abbia avuto in questo legittimo smarrimento anche la questione culturale. Cosa rimaneva da fare a una donna pubblicamente rifiutata per la sorella? Che strumenti erano possibili a quel tempo per dare fiducia e sostegno alle vulnerabilità di coloro che per temperamento o vicende personali si trovavano a essere difformi dalla norma?

In una personalità psicologicamente complessa come quella di Maria, il tradimento non è altro che il “rotto della cuffia” o quella goccia che il vaso già colmo non può contenere… La mentalità del tempo sicuramente non ha giocato in suo favore ma c’è da dire che, in qualche modo, ai più o meglio agli intimi di famiglia, la cosa non destò grande meraviglia e fu data per scontata, dacché l’estrema fragilità di Maria giocò a suo sfavore mentre, in qualche modo, i due giovani “avventati” amanti prima e sposi dopo, furono giustificati. Maria, ancora una volta tacciata di follia, tenta il gesto estremo del suicidio. Dopo questi tristi fatti, e la morte quasi simultanea di entrambi genitori, Maria che gia in passato era stata ricoverata in diverse cliniche private, viene fatta definitivamente internare presso l’ospedale psichiatrico “Pietro Pisani”.

Tu stessa sei nata in un piccolo paese siciliano in provincia di Palermo, Lercara Friddi. Qual è il tuo rapporto con la Sicilia ?

Sono nata a Lercara Friddi, a due passi da Alia, paese natio di Maria, attraverso i racconti dei miei genitori, suoi contemporanei, ho appreso gli stili di vita dell’epoca, la quotidianità e le rare eccezioni che potevano accadere nei paesini del primo entroterra siciliano… Ero innamorata di quello di cui mi parlavano i miei genitori a partire dai “cunti”, dalle credenze popolari, dagli avvenimenti che seguirono gli accadimenti dell’Unità d’Italia e la caduta dei Borbone (di cui la Sicilia fu terra di importanti scenari e la cui eco ancora ai primi del ‘900 si faceva sentire), del brigantaggio, del miraggio della terra, dei baroni e gabellotti e le prime emigrazioni verso l’America…
Pur abitando da quasi 50 anni in Piemonte mi sento di appartenere fortemente alla Sicilia ed ai territori che hanno dato i natali ai miei antenati. Sono siciliana nella schiettezza della parola, nella resilienza, nel modo altruistico di fare e di pormi. Sono siciliana anche in cucina ed ho insegnato ai miei figli l’amore per questa nostra magnifica, seppur tribolata, terra e le sue antiche tradizioni.

Infine ti chiedo di un altro luogo, la Real casa dei matti, posto di elezione della scrittura di Maria Fuxa, a cui il suo nome è rimasto legato ( hanno recentemente chiamato col suo nome un giardino dell’edificio ).

La Real Casa de’ Matti, delle cui origini ampiamente parlo nel mio libro “La voce della crisalide – sulla vita della poetessa Maria E. Fuxa ed altre cronache” è stata per il suo tempo, un vera e propria “benevola” rivoluzione caldamente voluta dalla regina Maria Carolina, nei primi anni dell’800, durante un soggiorno a Palermo. Dato che i cosiddetti matti o folli venivano reclusi insieme ai colerosi e agli appestati, in lazzaretti quali il San Giovanni dei Lebbrosi, per i malati di mente essere accolti, rifocillati e chiamati per nome proprio e non con il nome della malattia, fu una benedizione. Chiaramente tutto ciò non avvenne in un giorno, ci vollero parecchi decenni ed una mente illuminata come quella del barone Pietro Pisani, poliedrico uomo di cultura e padre di una bambina “anormale” per quei tempi, probabilmente affetta da sindrome di Down. Il Pisani accolse i malati come aveva accolto la propria figlia, non come un castigo di Dio bensì come persone sofferenti nella mente e bisognose di cure. Chiaramente, Maria E. Fuxa non conobbe il barone Pisani ma con la nascita del “Nuovo Manicomio” di via Pindemonte, vennero messi in atto molte delle direttive del Pisani, come l’Ergoterapia ovvero la terapia dell’attività. Gli internati divennero così autori di lavori manuali come la coltivazione di piccoli orti, di cucito e di laboratori artistici e teatrali. Con l’evolversi della scienza e della sperimentazione vennero introdotte anche terapie farmacologiche e, ahimè, terapie cruente come l’elettroshock o il coma insulinico e metodi di contenzione come le cinghie e le camicie di forza…
Recentemente è stato dedicato un giardino a Maria Fuxa, dove lei e le altre donne del suo reparto solevano passeggiare e sostare al sole. Il manicomio di Palermo è stato luogo di dolore dove sani e “insani” rimasero reclusi per decenni se non fino alla morte. Un luogo che possiede una sua fascinazione, con elementi architettonici di grande pregio entro le cui mura Maria ha dato alla luce le sue poesie più autentiche, divenendo portavoce di coloro che non avevano voce.



Testo e immagini tratte da https://www.vocidallisola.it/2021/11/08/voce-dei-senza-voce-maria-fuxa-e-la-real-casa-dei-matti/




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