26 novembre 2021

LEA MELANDRI, La libertà delle donne fa paura


La libertà delle donne fa paura

Lea Melandri
25 Novembre 2021

Non resta che il grido altissimo e feroce di chi non ha più voce. Non sarebbe, in fondo, nemmeno poi tanto strano se alla marea femminista e transfemminista che occuperà impetuosa le strade di Roma sabato 27 novembre venissero a mancare perfino le parole compiute di un discorso. Sono state inventate e ripetute, re-inventate e poi ancora ripetute, via via, anno dopo anno, fin quasi a consumarsi. Troppo tempo. Tutti hanno sentito, ormai. Tanti, troppi fingono pure di aver capito. Non è così, non può essere così, perché la violenza maschile sulle donne, e quella di genere, impazzano come sempre. Ogni giorno. La realtà del dolore e della rabbia, nella nera, infinita teoria del femminicidio e del transcidio, supera ancora ogni pur nera immaginazione. E allora bisogna tornare a gridare per strada, forte, ma tornare, insieme, anche a porsi domande. Vecchie domande lasciate inaridire e nuove, intense domande. Tutte e tutti. Domande di grande portata, capaci di immergersi in profondità e allargarsi a dismisura. Come quelle, non poche e preziose, che sciorina qui Lea Melandri. Una per tutte: è solo l’umiliazione che resta sepolta tra le mura domestiche, o anche il suo opposto, il sentimento inconfessabile della propria indispensabilità all’altro, l’idea di essere portatrici di “valori” che potrebbero rigenerare il mondo, se solo fossero ascoltati?

foto tratta da https://nuso.org

“Molte saranno le donne che il 27 novembre risponderanno all’appello della rete Non Una Di Meno a riprendersi lo spazio pubblico con i corpi e con la voce“. Quando non si hanno più parole, per averle ripetute instancabilmente per anni, e quando la realtà supera l’immaginazione, non resta che “il grido altissimo e feroce di chi non ha più voce“. Questo lo slogan con cui la marea femminista e transfemminista percorrerà le strade di Roma contro la violenza maschile sulle donne e di genere.

Se sulle donne pesassero solo marginalità, discriminazione, svantaggi, la civiltà occidentale potrebbe tirare un sospiro di sollievo, dato che, almeno formalmente, un qualche riparo alle offese della storia è stato messo. Solo una profonda, inconfessata misoginia, riscontrabile per altro in ogni forma di razzismo, può spiegare perché un’emancipazione incontestabile continui ad accompagnarsi a dati altrettanto incontestabili di violenza manifesta – stupri, femminicidi, percosse – e a quel suo risvolto meno visibile, ma proprio per questo più insidioso, che è la collocazione della donna tra i soggetti sociali deboli, bisognosi di essere difesi, indirizzati, protetti dai loro stessi cattivi impulsi.

Non c’erano dubbi sul fatto che la libertà delle donne facesse crollare quelle certezze che gli uomini hanno conosciuto solo come potere, appropriazione dell’altro sesso, mascheramento della loro dipendenza e fragilità. Ma la reazione selvaggia a cui assistiamo oggi va al di là dell’immaginabile. Quattro femminicidi in quattro giorni, come è accaduto di recente, vanno ad assommarsi a una condizione di disagio, appesantimento del lavoro di cura e insicurezza lavorativa, che la pandemia ha accentuato in modo evidente. Ma la consapevolezza del fatto che la misoginia è solo la matrice di una infinità di altre discriminazioni e violenze su soggetti “non conformi” alle definizioni di genere ereditate dal dominio patriarcale, è l’elemento in più che in questa ricorrenza fa la sua comparsa tra gli altri slogan della mobilitazione nazionale del 27 novembre, ma su cui non è stato facile finora raccogliere un consenso unanime.

“L’emergenza e la crisi che ne è seguita – si legge nell’appello di NUDM – si sono scaricate su di noi, e ora siamo strette tra un piano di ripresa e resilienza che non ci contempla e una polarizzazione del dibattito pubblico che ci cancella. La deriva patriarcale, razzista e individualista attraversa il dibattito pubblico e attacca la solidarietà, la cura collettiva, l’accesso alla salute per tutt* come priorità dell’agenda politica post pandemica. Da inizio anno, in Italia, sono più di 90 i femminicidi, 20 i transcidi, il piano triennale anti-violenza istituzionale è scaduto nel 2020 e non viene ancora rinnovato. I fondi sono bloccati e della bozza non si sa ancora nulla. I centri antiviolenza non sono meri servizi, serve il pieno coinvolgimento nella definizione delle strategie di contrasto alla violenza, il riconoscimento dell’autonomia dei Centri antiviolenza e i fondi per i percorsi di fuoriuscita e autonomia”.

La violenza su persone trans, queer, Lgbtqui+, continua ad aumentare – sottolinea NUDM -, ma c’è una parte del femminismo che applaude all’affossamento del ddl Zan, insieme alle forze politiche più conservatrici. Diversamente da altri conflitti che hanno segnato nel corso degli anni il movimento delle donne, questo va a toccare un tema di fondo, quale è il rapporto tra sesso e genere, tra il peso che viene dato alla capacità biologica di procreare, come elemento distintivo dell’essere donna, e quella che vuole essere riconosciuta come “identità di genere”, o vissuto soggettivo.

Portare nello spazio pubblico la propria rabbia e ribellione a un destino imposto e sottratto al cambiamento dalla sua presunta “naturalità”, è sicuramente importante, ma l’andamento difficoltoso e contraddittorio della rivoluzione femminista indica come altrettanto necessaria la pratica con cui ha fatto il suo ingresso “imprevisto” nella storia, nella cultura e nella politica tradizionalmente intese, e cioè l’autocoscienza. Ma quanto resta di quello sguardo, portato sulla vita personale e spinto fino alle più profonde formazioni inconsce, nell’attivismo delle generazioni venute al seguito degli anni Settanta?

Scrive bell hooks nel suo ultimo libro tradotto in Italia, “Il femminismo è per tutti” ( Tamu edizioni, traduzione di Maria Nadotti): “Senza il gruppo di autocoscienza in cui le donne si misuravano con il loro stesso sessismo nei confronti di altre donne, il movimento femminista ha potuto imboccare una direzione diversa e concentrarsi sulla parità nel mondo del lavoro e sul confronto con il dominio maschile. Poiché l’impegno era sempre più rivolto a disegnare la donna come “vittima” della disuguaglianza di genere che merita risarcimenti (vuoi tramite cambiamenti nelle leggi discriminatorie o mediante politiche di discriminazione positiva), l’idea che per approdare al femminismo le donne dovessero innanzi tutto affrontare IL PROPRIO SESSISMO INTERIORIZZATO è andata fuori corso“.

In modo sempre più pressante negli ultimi anni le donne denunciano con rabbia, oppure lamentano, l’insopportabilità della loro condizione, ma poi inspiegabilmente sembrano piuttosto riluttanti a modificarla. Anche tra le donne più impegnate la sensazione è spesso di immobilità. Nelle grandi istituzioni (partiti, sindacati, ecc.) la loro presenza è tutt’altro che trascurabile, ma non si può dire lo stesso della loro visibilità. È solo per resa, costrizione, sottomissione al potere maschile, o c’è altro a cui dobbiamo guardare, qualcosa che le donne sono poco disposte ad ammettere e soprattutto ad abbandonare?

Tempo fa una lettrice, Francesca Bonini, scrivendo alla casella di 27esima ora, faceva notare che, se è necessario perseguire mete di innegabile giustezza – diritti, pari opportunità, ecc. -, non meno importante è “parlare del rimosso delle donne, di ciò che non dicono, di quello che ancora si vergognano a denunciare”E faceva l’esempio di quel “senso di colpa gigante” che ci si porta ancora dietro, tanto da “colludere così disastrosamente con la violenza, a tutti i livelli e in tutte le sue sfumature”. È solo l’umiliazione che resta sepolta tra le mura domestiche, o anche il suo opposto, il sentimento inconfessabile della propria indispensabilità all’altro, l’idea di essere portatrici di “valori” che potrebbero rigenerare il mondo, se solo fossero ascoltati?

Due coscienze femminili anticipatrici, Sibilla Aleramo e Virginia Woolf, già all’inizio del secolo scorso, sembrano aver colto la discrepanza, non sempre evidente, tra la pretesa “logica e giusta” di uguali diritti civili e politici e il desiderio intimo della donna.“Forse è atavismo muliebre. La donna – scrive Aleramo – assai meno dell’uomo si adatterà a romperla con certe tradizioni, perché la protezione gliele ha rese più dolci, più seducenti. Per lei, centro della casa, le grandi solennità rifulgevano quasi esclusivamente: per lei e per i bimbi…ch’ella debba rinunciare a tutte le prerogative antiche, sia pur conquistandone di superiori, è cosa che le mette nell’animo una invincibile mestizia, come il rimpianto vago di ciò che non è più”. È sempre Aleramo a definire le donne impegnate nel cambiamento del rapporto tra i sessi “tragicamente autonome”, perché lontane da ciò che hanno amato e in cui hanno creduto”.

Di quello sguardo, capace di interrogare gli annodamenti e le ambiguità di un dominio che si è innestato e confuso con le vicende più intime, come la sessualità e la maternità, abbiamo ancora bisogno per poter dire che i femminicidi non sono “inspiegabili” , nè tanto meno riducibili a casi di cronaca nera o di patologia individuale. Dovremmo soprattutto avere il coraggio di riconoscere che gli affetti più intimi sono attraversati da sempre dai rapporti di potere tra i sessi, che l’infanzia prolungata nelle relazioni amorose adulte è una della radici della violenza, che il potere di indispensabilità delle madri alimenta dipendenza e fragilità nei figli, che le donne curano bambini, anziani, malati ma anche uomini in perfetta salute, siano essi mariti, amanti, padri o fratelli, una dedizione considerata ancora la “naturale” estensione del loro essere madri, e non il destino che è stato loro imposto, che se il dominio e l’amore parlano la stessa lingua – “sono tua”, “sei mio”, “non posso vivere senza di te” “fammi soffrire, fammi morire, ma resta con me” (solo canzoni?) – vuol dire che non si uccide per amore ma che l’amore , così come lo abbiamo ereditato, c’entra e che è il momento di toglierlo dalla sua “misteriosità”, “magia”, “inspiegabilità”.

Pubblicato, con il titolo completo Quell’amore che uccide, è ora di levarlo dall’ambiguità su Il Riformista del 24 novembre 2021 e qui con il consenso dell’autrice. Altri articoli di Lea Melandri sono leggibili qui. Su Archivio di Lea invece è consultabile un’importante patrimonio di storia e memoria del femminismo anni Settanta. 

Articolo ripreso da  https://comune-info.net/la-liberta-delle-donne-fa-paura/

Nessun commento:

Posta un commento