LA MEMORIA DI LEONARDO SCIASCIA
di Giuseppe Giglio
In pochi altri casi (davvero pochi), come nel suo, l'uomo e lo scrittore sono stati, sono, meravigliosamente coincidenti: in un'instancabile, ostinata, gioiosa ricerca di verità e d'amore, nel vivere e nello scrivere. O meglio, e pirandellianamente, nel vivere scrivendo e nello scrivere vivendo. Delle verità della vita, e dell'amore per l'uomo, ben oltre il tempo che gli è toccato in sorte: a lui, a Leonardo Sciascia, che era già un classico da vivo, con le sue storie che dal tempo narrato si affacciavano, e si affacciano, sulle menzogne e sulle inquietudini, sulle ferite e sugli inganni di sempre, quelli cioè che appartengono all'umana natura. Uno scrittore è memoria, ripeteva Leonardo: ovvero la memoria individuale che tenendosi in esercizio si salda alla memoria collettiva, alla Memoria. E il ricordare, per lui vigile e volontario, si faceva proficua ossessione, lanterna preziosa: ad illuminare da dentro il mistero del vivere, la sua bellezza, la sua miseria.
C'è ancora molto da dire su questo Sciascia che ha in sé tutti gli altri (il polemista, il moralista, il palombaro dei mali italiani, il difensore della giustizia giusta, del diritto, della ragione). Su questo Sciascia che nel 1961, scrivendo di Simenon, tirava in ballo Gogol e Cechov (tutti e tre amatissimi): "Gogol e Cechov: lo scrittore che vede e lo scrittore che ama. E il vedere gli uomini e l'amarli si possono considerare come qualità peculiari di Simenon: qualità che permettono allo scrittore di giungere alle verità dell'uomo come a Maigret permettono di giungere alla soluzione di un caso. [...]. Maigret vede: vede perché ama. Non c’è personaggio, nella letteratura contemporanea, che ami la vita e gli uomini quanto Maigret. Non c’è, dopo Cechov, scrittore che ami così profondamente, così minutamente, così religiosamente la vita e gli uomini come Georges Simenon". Parlava di Simenon, Sciascia: del suo vedere e amare la vita e gli uomini così come sono. E le pagine - da Il giorno della civetta a Todo modo, da La scomparsa di Majorana a Il cavaliere e la morte, fino a Una Storia semplice -, le pagine che egli, Leonardo, ci avrebbe lasciato inverano il sospetto che lo Sciascia di allora, tra le righe, dicesse anche di sé. Quello stesso Sciascia che nel riprendere un pensiero di Giuseppe Antonio Borgese (che gli era molto caro), in un suo libro (Per un ritratto dello scrittore da giovane) allo stesso Borgese dedicato, ne aveva intanto dato lui stesso luminoso esempio, col suo vivere e col suo scrivere. Ed eccolo quel pensiero, che era anche un desiderio: «aspiro, per quando sia morto, ad una lode: che in nessuna mia pagina è fatta propaganda per un sentimento abietto e malvagio».
Mi piace ricordarlo così, oggi, Leonardo, nel giorno della sua morte. Sapendo bene che lui sempre rinasce, che continua a cercare e trovare lettori in tutto il mondo. E in questo che è ancora l'anno del centenario della nascita, Adelphi manda in libreria (esce il 26 novembre) uno dei libri più belli e intimi di questo gigante della letteratura europea: quel "Fuoco all'anima" che costituisce l'altro suo diario in pubblico, dopo "Nero su nero". E intanto leggiamolo, o rileggiamolo, Sciascia: perché ci dice chi siamo.
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