CLASSIFICAZIONE E CATEGORIE DEI DEPORTATI
Affinché i dirigenti dei campi di concentramento potessero individuare a prima vista la categoria deportato secondo la nazionalità, ragioni politiche, razza e religione, i prigionieri dovevano portare, oltre al numero di matricola (rilasciato al momento della registrazione all'ingresso del campo), un triangolo di stoffa colorata sulla giubba e nei pantaloni.
TRIANGOLO ROSSO: indicava i prigionieri politici, nei confronti dei quali era stato emesso un mandato di arresto per motivi di sicurezza (Schutzhaft), per cui sui registri, questi deportati
erano indicati come Schutz haftling.
TRIANGOLO VERDE: designava i criminali comuni (Berufsverbrecher - BV) vale a dire una serie di detenuti di origine tedesca fra i quali spesso venivano scelti i capiblocco (kapò) e i sorveglianti delle squadre di lavoro, incaricati di mantenere l'ordine e fare funzionare il lager.
TRIANGOLO NERO: Il nero veniva attribuito agli asociali (Asoziale - Aso) un gruppo non precisato di internati in cui erano compresi le prostitute, i senza fissa dimora e, all’inizio, anche gli
zingari.
TRIANGOLO BLU: Il blu veniva attribuito agli immigrati, agli apolidi e ai rifugiati all'estero della guerra Repubblicana di Spagna .
TRIANGOLO VIOLA: Il viola era attribuito agli studiosi delle Sacre scritture (Testimoni di Geova) o ai religiosi in genere, fatta eccezione per i sacerdoti polacchi .
TRIANGOLO ROSA: Il rosa marchiava coloro che erano accusati di omosessualità.
TRIANGOLO MARRONE: Questo colore era attribuito alla popolazione di origine Zingara, Rom e Sinti .
STELLA GIALLA : indicava gli ebrei, la categoria più numerosa rinchiusa nei campi di concentramento. Portavano un contrassegno a sei punte, formato da due triangoli sovrapposti:
talvolta un triangolo colorato (nero, rosso ecc.) per indicare la distinzione per categorie generali, e uno giallo per l'appartenenza alla religione ebraica. Per esempio una stella formata da un triangolo giallo e uno rosso, designava un ebreo arrestato anche come politico (Jiidischer politischer Schutz haftling).
I detenuti soggetti a misure di sicurezza, una volta scontata la pena, venivano internati nel lager e contraddistinti con un triangolo verde rovesciato, vale a dire appoggiato sulla base.
Dentro ogni triangolo, una lettera maiuscola designava la nazionalità (esempio P per Polonia, F Francia, I Italia ecc. Ne erano esclusi i prigionieri tedeschi. Coloro che erano stati catturati in seguito al decreto «Notte e Nebbia» (Nacht und Nebel - decreto in base al quale chiunque fosse sospettato di attività antitedesche poteva essere arrestato e inviato in un KL senza alcun riscontro burocratico). In tal modo l'individuo spariva senza lasciare traccia come se fosse stato inghiottito
nelle notte e nella nebbia, portavano sulla casacca anche le lettere NN, con bande rosse e una croce sulla schiena, mentre i sospettati di fuga venivano segnalati con cerchi rossi e bianchi
concentrici, simili a un bersaglio, sul petto e sulla schiena. Coloro che venivano assegnati alla Compagnia penale avevano un cerchio di stoffa nero sulla blusa, mentre i pochi prigionieri da
rieducare venivano designati con la lettera E, posta prima del numero.
Una categoria a parte era rappresentata dai prigionieri di guerra russi, che portavano le loro divise, con un contrassegno a strisce dipinto a olio e la sigla SU (Sowiet Union).
La divisione in classi imposta dall'alto suggeriva e accentuava una determinata immagine dell'altro, sicché ogni detenuto con il triangolo nero finiva con l'essere considerato effettivamente
un essere asociale, inetto, codardo e sporco, ogni criminale una persona pericolosa, brutale e violenta, ogni testimone di Geova, un individuo zelante nel lavoro, ordinato e dalle inflessibili
convinzioni religiose. Insomma, benché imposto dalle SS, nella maggioranza dei casi il sistema classificatorio induceva
a una passiva interiorizzazione dei valori (o disvalori) che ne derivavano. Le cause erano diverse: le etichette usate per classificare le persone corrispondevano a molti degli stereotipi in voga nella società anche prima della guerra e dell'avvento dei totalitarismi (era una minoranza a considerarle insensate); inoltre la pressione persecutoria e violenta che si abbatteva sugli internati dall'alba al tramonto, ma che entrava anche nei sonni e nei sogni, e la composizione cosmopolita delle squadre di lavoro o dei Blocchi, riduceva la possibilità di comunicazione tra le persone e gli atti di solidarietà. Infine il senso di impotenza collettiva, induceva i più a una tacita accettazione del presente, unico tempo di vita nel campo. Esistevano tuttavia forme di coesione tra detenuti ma, spesso, erano antecedenti all'ingresso nel lager.
Quanto agli ebrei, che costituiranno in alcuni lager la maggioranza degli internati, era una categoria istituita dalle SS e resa omogenea dall'antisemitismo del nazismo. Tra di essi c'erano sostenitori della destra e della sinistra, uomini e donne di nazionalità diverse. Per essi non valeva nemmeno la comunanza religiosa; il marchio razzista e l'orrore che si abbatteva sulle loro vite in modo assai più violento che sugli altri detenuti rendeva impossibile ai più la formazione di qualsiasi senso di identità che non fosse quella della famiglia. Essi vivevano nel punto più basso della degradazione materiale, costretti più degli altri alla lotta per la sopravvivenza, per la conquista del cibo, e di spazi fisici.
Ringrazio particolarmente Francesca Tuscano che mi ha fatto scoprire questo importante Museo torinese che deve tanto all'opera di Primo Levi
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