29 gennaio 2022

AMADEO BORDIGA CONTRO LA MASSONERIA

 




1922-2022: Amadeo Bordiga e la Massoneria

Cento anni fa Amadeo Bordiga, allora principale esponente (la figura del segretario generale non esisteva ancora) del Partito comunista d'Italia,  scrive un articolo per la stampa dell'Internazionale comunista in cui precisa il suo punto di vista sulla Massoneria. Il problema non era secondario, visto che sia in Italia che in Francia numerosi erano i militanti anche con funzioni dirigenti che erano stati massoni al tempo della loro militanza nei partiti socialisti e qualcuno continuava ad esserlo soprattutto nel partito comunista francese. Bordiga si era fatto conoscere prima nella giovanile del PSI e poi nel partito grazie anche alla battaglia condotta contro la Massoneria che allora svolgeva un ruolo egemone negli ambienti radicali e socialisti. Proprio a causa della presenza dei massoni nel partito Bordiga era entrato in aperta polemica con la direzione della sezione di Napoli del PSI e stretto rapporti molto intensi con Benito Mussolini, esponente di punta della componente rivoluzionaria del partito e implacabile sostenitore della tesi dell'incompatibilità fra l'appartenenza al Psi e alla massoneria. Tesi fondata sulla convinzione ferrea che fosse necessario nella battaglia rivoluzionaria per l'abbattimento del potere borghese e l'instaurazione della dittatura proletaria distruggere la Massoneria in quanto principale pilastro politico e culturale della democrazia in Italia. Per Mussolini e Bordiga la Massoneria era il veicolo attraverso cui le idee democratiche penetravano nella classe operaia e questo la rendeva il nemico principale che andava abbattuto ad ogni costo. E d'altronde l'influenza delle tesi mussoliniane sul “complotto massonico” emerge ben chiara anche nello scritto del 1922 che riportiamo in appendice. Nonostante la divaricazione dei loro percorsi dall'ottobre 1914, entrambi rimasero fedeli tutta la vita a questo convincimento. Mussolini mettendo la Massoneria fuori legge nel 1925, Bordiga continuando fino alla fine della sua vita (1970) nei suoi scritti e discorsi a ribadire la coerenza marxista delle sue posizioni antimassoniche e a giudicare corrette le posizioni mussoliniane. Sempre e comunque per entrambi in nome di un odio viscerale contro la democrazia vista come strumento della borghesia. Non è dato sapere quanto, almeno per Bordiga, giocò in questo sua avversione profonda verso l'istituzione massonica il fatto che la sua famiglia sia nel ramo paterno che in quello materno avesse legami profondi con la Massoneria che risalivano addirittura alla partecipazione alle attività della Carboneria. I bordigologi ci perdonino, ma da nipotini di Freud in questa vera e propria fobia antimassonica di Bordiga, un pochino ci pare di intravvedere anche l'uccisione rituale della figura paterna. Non a caso il giovane Amadeo iniziò a manifestare questa sua avversione prima ancora di iscriversi al Psi, ai tempi dell'Università e dunque agli inizi della sua vita autonoma da adulto. D'altronde fu lo stesso Bordiga a ricordare in svariate occasioni come avesse preso la decisione d iscriversi al Psi in aperta reazione al fatto che alcuni amici del padre, come lui massoni, lo avessero contattato per proporgli di entrare in Loggia..

(G.A. vento largo)

Amadeo Bordiga

Il movimento operaio italiano e la massoneria



La questione della massoneria ha, nel movimento operaio italiano, tutta una storia. La massoneria è stata estremamente influente in Italia. Raggruppando tutte le diverse società segrete di tendenza liberale borghese che avevano giocato un ruolo storico considerevole durante le lotte per l’indipendenza e l’unità nazionali, essa seppe occupare un posto di prim’ordine tra i politicanti e tra l’élite della classe dominante. La massoneria aveva in Italia delle tradizioni d’azione rivoluzionaria cospirativa, e persino di dedizione. Era la portabandiera dell’ideologia anticlericale, che aveva caratterizzato la formazione dello stato borghese unitario contro la resistenza del Vaticano e dell’ultracattolica Austria-Ungheria.

Allorché incominciò a delinearsi un movimento rivoluzionario della classe operaia, la borghesia di sinistra seppe sfruttare contro tale movimento quelle tradizioni che potevano conferirle una certa popolarità, e la massoneria divenne il perno di una campagna volta a distogliere la classe operaia dai suoi obiettivi socialisti e dalla lotta di classe. Dopo la fase della dura reazione del 1898 vi fu il periodo della politica democratica dell’estrema sinistra parlamentare, che comprendeva in un “blocco popolare” i radicali (democratici borghesi), i repubblicani e i socialisti. La politica del blocco anticlericale, basata sulla demagogia e sui luoghi comuni del libero pensiero, veniva portata avanti non soltanto in parlamento ma anche nei comuni, ed era sostenuta da tutta una serie di associazioni e circoli anticlericali che volevano controllare la propaganda e l’agitazione proletaria.

La massoneria dirigeva tutto questo lavoro dal suo centro occulto. Quella fu anche l’epoca caratteristica del “giolittismo”, cioè della politica abilmente controrivoluzionaria della collaborazione di classe. Giolitti era massone; e lo era anche il re democratico – che si è ora rivelato fascista.

Fu allora che il riformismo intensificò la propria azione e trascinò il movimento operaio sulla strada più pericolosa. Esso sostenne i ministeri borghesi e costituì dei blocchi elettorali, e Bissolati – socialista – si recò al Quirinale.

Nel partito socialista si produsse una reazione contro questa degenerazione. La nostra tendenza di sinistra si scontrò con il problema della massoneria. Il lavoro delle logge massoniche, che non soltanto mantenevano sotto la propria influenza i nostri intellettuali e i nostri capi ma che avevano anche organizzato una sapiente propaganda nella classe operaia attirando a sé tutti i militanti del movimento sindacale, era riuscito ad influenzare l’opinione e l’organizzazione del partito.

Il congresso socialista di Reggio Emilia (luglio 1912), che sancì la scissione con Bissolati e coi riformisti, fautori della collaborazione ministeriale e della guerra di Tripolitania, adottò una risoluzione di principio contro i massoni, ma l’influenza massonica era tale, anche in seno alla sinistra, che la questione venne rimandata ad un referendum. L’accanita propaganda dei massoni fece fallire il referendum grazie ad una maggioranza di astensioni.

Fu soltanto al congresso successivo, nel 1914 ad Ancona, che grazie agli sforzi dell’estrema sinistra e della gioventù socialista si ottenne, dopo un dibattito assai movimentato, una risoluzione sull’incompatibilità della massoneria con il socialismo. Bisogna aggiungere che anche alcuni riformisti erano contrari alla massoneria, e che alcuni membri della sinistra vi aderivano. Ma questi casi personali non cambiano molto la portata dell’influenza e dell’“infiltrazione” massonica nel partito. Fu in larga misura grazie a quella risoluzione, in seguito alla quale diversi massoni ci abbandonarono (altri, che nascondevano la loro affiliazione, vennero espulsi), che il nostro atteggiamento rispetto alla guerra mondiale poté essere tanto felicemente diverso da quello della maggioranza dei partiti della vecchia Internazionale.

Un episodio eclatante della campagna antimassonica si verificò a Napoli, dove un piccolo gruppo di compagni rivoluzionari, del quale io facevo parte, sostennero una lunghissima lotta contro gli elementi massoni e “bloccardi” che esercitavano un controllo totale e scandaloso sul partito. La corruzione aveva raggiunto un livello inimmaginabile, e gli avvenimenti successivi ne hanno portato le tracce: il nostro partito ha pubblicato un piccolissimo opuscolo che racconta l’edificante storia di questi fatti. A Napoli i politicanti riformisti e i candidati di professione erano massoni; e lo erano anche i militanti più noti e i capi dei raggruppamenti sindacalisti rivoluzionari.

La politica del partito e delle organizzazioni operaie veniva decisa in anticipo nelle logge massoniche, che spendevano a tal fine non poco denaro, fornito dai loro affiliati borghesi. Lo scandalo fu più grande che altrove, ma il metodo era generale e veniva applicato nei confronti di tutto il movimento operaio italiano.

* * *

Ecco perché il comunista italiano, che si ricorda come tale questione abbia potuto facilmente essere risolta prima della guerra, quando non avevamo ancora né un’Internazionale rivoluzionaria né dei partiti comunisti, si meraviglia nel sentire ancora chiedere perché non si potrebbe essere nello stesso tempo massone e buon militante comunista. Tanta incomprensione dimostra ancora oggi che il problema deve essere risolto in linea di principio. In Francia la questione massonica ha per lo meno la stessa importanza che in Italia. Basti ricordare del periodo “combista”,2 in cui l’isteria anticlericale borghese raggiunse il suo apogeo. Un altro fatto, che il movimento massonico sfruttò dovunque, e in Italia non meno che altrove, fu l’esecuzione di Francisco Ferrer.

Ferrer era anarchico: l’anarchico spagnolo Malato mi dichiarò in un’intervista del 1913 di aver abbandonato la massoneria perché essa, che aveva sfruttato dappertutto il cadavere di Ferrer, in Spagna non aveva fatto nulla per salvarlo. Ma la grande manifestazione parigina che ebbe luogo nella serata stessa del giorno dell’esecuzione era diretta da Édouard Vaillant, che arringò la folla dall’alto della scalinata della Sorbona vestito delle insegne ufficiali dell’ordine massonico, cosa che, secondo il complicatissimo rituale massonico, avviene unicamente in situazioni del tutto eccezionali.

La questione della massoneria giunge a mostrarci quale utilità positiva vi sia sempre nel mettere della precisione nei nostri metodi di lotta. La pigrizia caratteristica dell’opportunismo riformista ci ha ficcato in testa, dopo d’allora, l’argomento secondo cui tutti i mezzi sono buoni ammesso che si sia socialisti, e che si deve penetrare anche nelle logge massoniche per militarvi. Vediamo invece che, in quell’ambiente dominato dagli elementi borghesi, erano i socialisti ad essere influenzati e deformati nella loro ideologia di classe.

Ma che cos’è il socialismo? Il socialismo all’epoca delle nostre lotte contro la massoneria si stava trasformando in un ideale beneducato, in grado di mostrarsi nella buona società e nei saloni alla moda. Diventava una variante del democratismo borghese, pacifista, umanitario, amico della civiltà e del progresso, detentore del monopolio della scienza che illuminava l’umanità ignorante e della filantropia che consolava le sue sofferenze. Il socialismo si era dimenticato di essere nato dalla più formidabile critica che si era opposta alla democrazia borghese e al cumulo di ipocrisia e di menzogne sul quale essa è stata costruita grazie all’ingenuità di coloro che stanno alla base e alla furbizia di quelli che occupano il vertice. Potemmo ristabilire, per noi stessi e per il proletariato, queste verità feconde nella dottrina e nella propaganda grazie allo slancio iconoclasta con cui facevamo penetrare la luce nelle ombre discrete del tempio del Grande Architetto.

La polemica ci forniva delle armi contro il riformismo evoluzionista, la collaborazione di classe e il falso umanitarismo borghese, che dovevano dar vita al nazionalismo più sanguinario. In questa evoluzione la sinistra borghese democratica e massonica non fu affatto da meno della destra cattolica e reazionaria, in Francia più che altrove.

C’era anche il vantaggio di far rispettare energicamente la disciplina del partito proletario e di salvaguardarne l’organizzazione contro la penetrazione delle influenze borghesi. Che cos’è la disciplina politica? La sua caratteristica fondamentale risiede nell’unità. Non si possono avere “due” discipline. Il membro del partito, che deve essere pronto in ogni momento a ricevere la parola

d’ordine del suo partito, non può impegnarsi – e per di più segretamente – ad eseguire un ordine diverso, attinente agli stessi problemi, che provenga dalla massoneria o da altre organizzazioni del genere.

La prova di questa incompatibilità, che è tanto teorica quanto pratica, ci è stata fornita da numerosi fatti; basti dire che, quando il partito stabilì una tattica elettorale intransigente, i suoi membri massoni, che erano tenuti a sostenere il blocco di sinistra, furono spinti a infrangerne la disciplina. Così si producevano i più spiacevoli conflitti.

L’epurazione del partito dagli elementi che concepivano il socialismo e la sua disciplina in maniera tanto ridicola e sorprendente si rivelò, in Italia, di un’immensa utilità. Gli operai rimasero con noi. Gli arrivisti e i parassiti del movimento proletario ci abbandonarono in gran numero. Una simile operazione non può che essere ricca di buoni risultati. Nascondersi il male sarebbe un crimine, per un partito che vuole essere comunista. I nostri amici francesi debbono porre la questione in tutta la sua ampiezza, svilupparne l’aspetto ideologico e attuare coraggiosamente l’epurazione che si impone: benché sia tardi per farlo, questa campagna antimassonica deve essere intrapresa, in conformità con le risoluzioni dell’Internazionale, alla luce del sole di fronte al proletariato francese, al quale la menzogna democratica stringe dolcemente il collo per strangolarlo.



[Amadeo] Bordiga, “Le mouvement ouvrier italien et la Franc-Maçonerien” (sic), La Correspondance Internationale, a. II, n. 97, 16 dicembre 1922, pp. 740-741; traduzione dal francese di Paolo Casciola



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