ANCORA I MIEI MOSTRI
Marco Polo era un bugiardo. Un impostore.
Se fossi stata sua contemporanea e avessi avuto la fortuna di leggere o farmi leggere le memorie dei suoi incredibili (appunto) viaggi, non escludo affatto che avrei potuto dubitare anch'io - e fortemente - della veridicità di quei racconti.
Non stupisce per nulla che, stando a quanto riferisce Jacopo da Acqui, più d'uno abbia invitato Polo a fare editing sui suoi testi, sollecitandolo ad espungere quanto non fosse strettamente rispondente al vero.
Dev'esser stato frustrante per Polo non esser creduto. E pensare che, come lui stesso andava dicendo, era riuscito a descrivere meno delle metà delle meraviglie e stranezze viste e incontrate davvero.
Diversa sorte ebbero invece i racconti di frate Odorico e le storie di sir John Mandeville, frutto evidentissimo di fantasie sfrenate - diremmo e diciamo oggi -, ma che all'epoca passarono per rendiconti realistici di avventure vere, per il sol fatto che descrivevano animali e creature noti, attingendo alla letteratura cavalleresca, alle enciclopedie ma anche a tanti testi letterari e (pseudo) scientifici che avevano creato ormai un substrato culturale assodato e condiviso, direi riconoscibile.
Molte delle cose viste e riferite da Polo erano invece ignote, non si sapeva nemmeno come chiamarle, non avevano alcun referente culturale nel gentile pubblico degli uditori, lettori e tanto meno dei trascrittori, traduttori e, cosa che qui m'interessa maggiormente, degli illustratori.
Manoscritti de "Il Milione" se ne produssero innumerevoli, ma solo uno fu illustrato e, oltretutto, con incantevoli miniature.
Si tratta di un codice realizzato per Giovanni Senza Paura, duca di Borgogna all'inizio del XV secolo, il "Livre de Merveille", mirabilmente decorato dalle miniature realizzate dalla rinomata bottega parigina del maestro di Boucicaut (identificato di frequente con Jacques Coëne, grandissimo miniaturista originario di Bruges e antecedente di uno come Jan van Eyck).
Ora, le splendide illustrazioni del manoscritto di Polo stabiliscono un paradosso curiosissimo ma altrettanto comprensibile: sono numerose le evidenti discrasie tra quanto narrato da Polo e quanto si può vedere invece illustrato nelle miniature, che manifestano infatti la netta tendenza a "correggere" il testo, "traducendolo" in immagini di animali e mostri immaginari ma più credibili - perché riconoscibili - rispetto alle ignote bestie orientali, completamente sconosciute e pertanto inimmaginabili e non credibili.
Ed ecco che il vero - e non creduto vero - rinoceronte di Sumatra di Marco Polo diventa l'inesistente - e invece pacificamente creduto reale - unicorno del miniaturista Boucicaut.
A nulla vale la descrizione di Polo, che dice che vide bestie con "pelo di bufali e e piedi come leonfanti" e dal grosso corno nero, oltre che dotate di una spinosissima lingua, precisando che la creature in questione "è molto laida bestia a vedere".
E a tale mistificazione del vero a favore del credibile non valse da deterrente nemmeno quanto specificato da Polo stesso nel suo scritto e cioè che quella bestia - il suo rinoceronte - non fosse da confondere con l'altra - l'unicorno - che evidentemente Polo stesso conosceva per averla vista in rappresentazioni pittoriche, come i suo increduli contemporanei.
Boucicaut e la sua bottega di miniaturisti non si fecero fuorviare dalla verità di Marco Polo , ritenendo che la loro fosse quella più vera, senza dubbio.
Ed è così che la descrizione del regno indiano di Eli, "paradiso di leoni e di altre bestie feroci", si trasforma in uno splendido e del tutto fantasioso disegno dove un paesaggio costellato di picchi rocciosi, viene popolato dai miniaturisti di uno zoo conosciuto e creduto.
Ecco comparire allora l'orso, il cinghiale, il leone, la volpe, il cigno. E, sopratutto, l'unicorno rampante, la più rara (eh, sì) tra le fiere selvagge e anche la più allegorica, essendo diffusa e consolidata la leggendaria credenza che vedeva questa fiera creatura, mostruosamente bella e sfuggente, passibile di cattura solo qualora indotta ad addormentarsi in grembo ad una fanciulla vergine e, come tale, evolutasi via via in simbolo di Cristo, credenza ribadita poi ancora a lungo, basti pensare alla bella descrizione che ne fa Brunetto Latini, che appunto precisa: "quando l'unicorno vede la fanciulla, la sua natura gli dae che, incontanente ch'egli la vede, si ne va da lei, e pone giuso tutta la sua fierezza".
Un candido cavallino dal grazioso cornetto ritorto, non il bestione scuro e laido di Polo.
Marco Polo non è colpevole, ha visto i suoi mostri e li ha narrati.
Ha fatto tutto il possibile per non cedere all’immaginazione, oggi lo sappiamo. Anche se quella lingua spinosa è solo una storiella cinese...
Ma non si può condannare nemmeno il bravo miniaturista che, al posto delle bestie vere, disegna mirabilia e mostri mai visti da Polo, ma che lui credette veri come anche i lettori che desideravano ritrovarli in quelle pagine.
Veri mostri, mostri noti, riconoscibili.
Mostri del cuore, amati mostri.
Arianna Bonino
Bellissimo articolo!
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