Prima di parlare dei veri comunisti dovete pulirvi la bocca; dopo dovete studiare bene la loro storia; soltanto alla fine potrete dire qualcosa di vero ed onesto. (fv)
La rosa insepolta
Il 15 gennaio 1919 veniva assassinata Rosa Luxemburg- Neanche del suo cadavere si ebbe pietà. Assassinata il 15 gennaio del 1919 dai soldati dei Freikorps (che appoggiavano il governo del socialdemocratico Friedrich Ebert) insieme al compagno di lotte Karl Liebknecht, che con lei aveva fondato il Partito Comunista Tedesco, Rosa Luxemburg fu gettata in un canale, e non ebbe neppure diritto ad una tomba, se non per breve tempo.
Una donna emancipata da una cultura forte, una ebrea polacca, che già nel sangue possedeva un destino di esclusione e rivolta, un'economista non ortodossa, una comunista che amava giustizia e libertà perché credeva fermamente nella bellezza mai più ripetibile della vita, non poteva sperare in un destino che non fosse tragico fino alla fine. Quando, dopo più di quattro mesi, il suo corpo fu ritrovato, venne sepolta nel cimitero di Friedrichsfelde, a Berlino. Ma nel 1935 i nazisti dispersero i suoi resti, radendo al suolo anche la sua tomba.
Il suo corpo non fu mai più trovato. Ma se non c'è un luogo dove sedersi a parlarle, c'è la sua forza che rimane più radicata, nella pietà che lei stessa aveva spogliato della retorica per renderla alla giustizia.
Tra le sue opere, fondamentali per una storia critica del capitalismo e del militarismo, è rimasta tuttavia più nota una lettera, che nel dicembre del 1917 scrisse dal carcere all'amica Sonia, femminista di origini russe, moglie di Karl Liebknecht. Una strana lettera di Natale che contiene una delle sintesi più potenti dell'immagine della disumanità. Negli occhi muti e innocenti di un animale straziato dalla fatica, reso servo in un paese straniero (un animale slavo in terra nemica) e nell'indifferenza del soldato che lo vede soffrire, nello sguardo impotente di chi chiede perché senza poter sperare in nessuna risposta, è la guerra. Queste parole di Rosa Luxemburg sono la lapide che nessun nazista, nessun padrone, nessun militare potranno mai distruggere:
"[…] È un anno che Karl [Liebknecht] è costretto in prigione a Luckau. In questo mese ci ho pensato spesso; giusto un anno fa eravate da me a Vr.[onke], mi regalaste un bell’albero di Natale… Quest’anno me lo sono fatto acquistare ma me ne è stato portato uno misero, gli mancano i rami… niente a che vedere con quello dell’anno scorso; non so come potrò appendervi le otto candele che mi sono procurata. E il mio terzo Natale in gattabuia, mi raccomando non prendetela tragicamente. lo sono calma e allegra come al solito.
Ieri sono rimasta sveglia a lungo – attualmente non riesco mai ad addormentarmi prima dell’1 di notte, ma sono costretta ad andare a letto alle 10 perché spengono la luce — e nell’oscurità ho sognato diverse cose. Ieri, quindi mi dicevo: e strano che io viva sempre in una felice ebbrezza senza ragioni particolari. Per esempio, sono distesa qui, in questa cella oscura, materasso duro come la pietra, mentre mi circonda l’abituale pace da cimitero che regna nell’edificio; c’è da credersi in una tomba, mentre attraverso il vetro, sul soffitto, si disegna il riflesso della lanterna che arde tutta la notte davanti alla prigione. Ogni tanto si sente il rumore davvero assordante di un treno che passa in lontananza oppure, molto vicino, sotto le mie finestre colpi di tosse della sentinella che, calzata dei suoi pesanti stivali lentamente fa qualche passo per sgranchirsi le gambe.
Sotto i suoi piedi lo scricchiolio della sabbia è così disperato che, nella notte umida e buia, si avverte il vuoto e l’assenza di prospettive di vita. E io giaccio sola e in silenzio, avviluppata dai tanti veli neri delle tenebre, dalla noia dell’inverno che tiene prigionieri; eppure il mio cuore batte, scosso da una gioia interiore sconosciuta incomprensibile, come se, attraversassi un prato fiorito inondato di sole. E nel buio sorrido alla vita, come se conoscessi qualche magico segreto che smentirà tutto quanto c’è di cattivo e triste ed esplodo in un mondo di luce e di felicità. E al tempo stesso, mi interrogo sulla ragione di questa felicità; non ne trovo affatto e non osso impedirmi di sorridere ancora di me. Credo che questo segreto non sia altro che la vita stessa; la notte profonda è così bella e morbida come velluto purché la si sappia guardare bene. E anche lo scricchiolio della sabbia umida sotto i passi pesanti e lenti della sentinella risuona della canzone della vita, una piccola e bella canzone: purché la si sappia ascoltare bene. In questi momenti io penso a voi e mi piacerebbe tanto trasmettervi questa chiave magica, affinché percepiate sempre e in qualsiasi situazione il lato bello e gioioso della vita, affinché anche voi viviate nell’ebbrezza e camminiate come in un prato iridescente. Lungi da me l’idea di proporvi ascetismo, felicità immaginarie. Vi auguro tutte le gioie dei sensi. Semplicemente, vorrei darvi in più la mia inesauribile serenità interiore, affinché non siate più inquieta e affrontiate la vita avvolta da un mantello trapunto di stelle che vi protegga da tutto ciò che c’e di meschino, volgare e angosciante.
Avete raccolto nel parco di Steglitz un bel mazzolino di bacche nere e viola—porpora. Le bacche nere potrebbero essere di sambuco — le sue bacche pendono in pesanti fitti grappoli tra grandi fasci di foglie piumate, le conoscete certamente — oppure più verosimilmente di ligustro, esili ed eleganti pannocchie di bacche, dritte e con piccole foglie verdi, strette e abbastanza lunghe. Le bacche viola-porpora nascoste sotto delle foglioline potrebbero essere del nespolo nano; in realtà sono rosse, ma in questa fase della stagione, già un po’ ammaccate e troppo mature, prendono spesso dei toni di un viola—rossastro; le foglioline assomigliano a quelle del mirto, piccole, lanceolate, la faccia superiore verde scuro, simile a cuoio, quella inferiore ruvida.
Sonioucha, conoscete la poesia di Platen “Forca fatale”? Potreste portarmela o inviarmela? Karl un giorno ha detto d’averla letta a casa. Le poesie di George sono belle; ora so da dove e stato tratto il verso: “E sotto il fruscio del grano erubescente…” che voi recitate di solito quando passeggiamo nei campi. Quando capita, potreste ricopiarmi il racconto “Amadis”?‘ Mi piace tanto questo poema – naturalmente grazie al lied di Hugo Wolf – ma non l’ho qui con me. State leggendo ancora La leggenda di Lessing? Io ho ripreso la storia del materialismo di Lange, per me sempre suggestiva e rinfrancante. Mi piacerebbe tanto che un giorno la leggeste.
Ah! mia piccola Sonia, qui ho provato un dolore acuto. Nel cortile in cui passeggio arrivano ogni giorno dei veicoli di sacchi con vecchie divise da soldato e camicie spesso macchiate di sangue…
Vengono scaricate qui prima di dividerle nelle celle in cui le prigioniere le rammendano, poi le ricaricano sulla vettura per portarle all’esercito.
Qualche giorno fa arrivò uno di questi veicoli tirati non da cavalli, ma da bufali. Era la prima volta che vedevo questi animali da vicino. La loro struttura è più robusta e più ampia di quella dei nostri buoi, hanno il cranio piatto e corna incurvate verso il basso; la loro testa tutta nera con i grandi occhi dolci assomiglia più a quella dei montoni nostrani. Sono originari della Romania e costituiscono bottino di guerra… I soldati che conducono il carretto raccontano che è stato molto difficile catturare questi animali che vivono allo stato brado e più difficile ancora aggiogarli per trainare pesi. Queste bestie abituate a vivere in libertà sono state orrendamente maltrattate fino al punto da capire che hanno perso la guerra: l’espressione vae victis si applica anche a questi animali… Un centinaio di queste bestie si troveranno ora perfino a Breslavia. Quelle che erano abituate ai rigogliosi pascoli della Romania, oltre ai colpi ricevono per nutrimento solo foraggio di pessima qualità e in quantità del tutto insufficiente. Le fanno lavorare senza riposo, facendo loro trainare ogni sorta di carretto e con questo ritmo non durano a lungo. Qualche giorno fa, quindi, uno di questi veicoli carico di sacchi entrò nel cortile. Il carico era così pesante e c’erano tanti sacchi pieni che i bufali non riuscivano a superare la soglia del portone. Il soldato che li accompagnava, un tipo brutale, iniziò a colpirli così violentemente col manico del suo frustino che la guardiana della prigione indignata gli chiese se non avesse pietà delle bestie. E di noialtri, chi ha dunque pietà? rispose, con un sorriso cattivo sulle labbra, ricominciando a colpire con forza… Alla fine, le bestie fecero uno sforzo e riuscirono a superare l’ostacolo, ma una di queste sanguinava… Sonichka, lo spessore della pelle dei bufali e proverbiale, eppure era lacerata.
Mentre si scaricava il veicolo, le bestie restavano immobili, sfinite, e uno dei bufali, quello che sanguinava, guardava dritto davanti a sé e, sul muso scuro dagli occhi neri e dolci, aveva un’aria da bimbo in lacrime.
Era esattamente l’espressione di un bambino che viene punito duramente e non sa per quale motivo né perché, che non sa come scappare dalla sofferenza e dalla forza bruta… Ero, davanti a lui, l’animale mi guardava, le lacrime colavano dai miei occhi, erano le sue lacrime. Davanti al dolore di un fratello caro è impossibile non essere scossi dai più dolorosi singhiozzi come lo ero io nella mia impotenza davanti a questa muta sofferenza. Quanto erano lontani i pascoli della Romania, quei pascoli verdi, rigogliosi e liberi, quanto erano inaccessibili, perduti per sempre. Come tutto laggiù — il sole sorgente, le belle grida degli uccelli o il richiamo melodioso dei pastori —, come tutto era diverso. E questa orribile città straniera, la stalla opprimente, il fieno disgustoso e ammuffito misto a paglia putrida, questi uomini sconosciuti e terribili e i colpi, il sangue colante dalla piaga aperta… Oh! mio povero bufalo, povero amato fratello, siamo qui entrambi così impotenti, così inebetiti e il dolore, l’impotenza, la nostalgia fanno di noi un solo essere.
Nel frattempo, le prigioniere si affannavano attorno al carro scaricandolo dai pesanti fardelli, portandoli nell’edificio Quanto al soldato, con le mani ficcate nelle tasche dei pantaloni iniziò a percorrere il cortile a grandi passi, un sorriso sulle labbra, fischiando un ritornello popolare. E davanti ai miei occhi vidi passare la guerra allo stato puro…
Scrivete presto, vi abbraccio, Sonichka.
Vostra Rosa.
Sonioucha, mia cara, state calma e allegra nonostante tutto. La vita è così, e occorre prenderla con coraggio, senza soffrire e con il sorriso… nonostante tutto. Buon Natale.
Rosa
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