Ballata della terra che non sente
(ad Anna Segre)
Il mare non conosce perdono, né bellezza.
L’orizzonte nega solo la fuga, più duro della roccia scheggiata.
La foglia dell’olivo si è confusa con l’agave,
dal tempo dell’occhio abbassato di chi aveva paura.
La morte non ti concede l’amore come capitale.
Chi l’amministra sa che il giudice è fatto dalla norma,
per poter dire di esistere.
Quando canti, ti torna il respiro, e io lo so
che tu canti per chi non aveva la scelta del pane,
per chi era stato derubato di tutto -
del sole, del pianto, dello sguardo, dell’aria.
La morte non ti concede il silenzio per scelta.
Chi la vuole sa che chi parte vorrebbe tornare,
ma il ritorno è un’altra partenza.
Quando parli, il respiro ritorna fatica, e io lo odio
il peso che ti è passato nel sangue, dal giorno
dell’amore senza amore, della negazione di quel rosso
che le donne disperdono per volontà di vita.
La morte non si chiude in un carcere, o in un campo.
Chi la decide è un illuso, che non sa
quale voce potente possieda il respiro finale.
Quando penso ai tuoi occhi, alla mano aperta
che legge, che dice, che suona, che ti stringe all’ascolto,
sento in bocca il sapore del sale e del vento
che ha guidato l’esilio allo scarto, alla grazia di chi non ha nome.
La morte non la ascolta la terra, né il mare. L’ascolta il respiro.
Chi ne ha fatto memoria lo sa. Noi ne siamo custodi,
per il nome che abbiamo, per marchio.
Francesca Tuscano
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