La grande bruttezza e il Quirinale
Enzo ScandurraUn mio amico mi raccontava come lui sapeva riconoscere che era vicino alla soluzione di un problema matematico dall’eleganza con cui via via si semplificavano le espressioni e come, al contrario, quando questa eleganza veniva meno, avesse la certezza che la strada intrapresa era quella sbagliata. La bellezza non sappiamo definirla ma sappiamo però riconoscerla quando ci appare. Le scene cui assistiamo, impotenti e frustrati, del balletto politico, amplificato oscenamente dai talk show che si propongono di commentarlo, è quanto mai brutto, nelle parole, nei visi deformati degli oratori, nelle loro ironiche e tristi battute, nella scialberia delle loro espressioni, nella falsa retorica dei loro commenti…
Ma la Politica dov’è? Non era questa, secondo Machiavelli, che doveva dare l’esempio di un’educazione civica, di convivenza e perfino, aggiungo, di bellezza? Difficile pensare, e soprattutto sperare, che da questo consesso di mediocrità, messo in scena nelle elezioni quirinalizie, possa venire, in un futuro ormai prossimo, una soluzione ai ben più gravi problemi, come la crisi ecologica planetaria, l’insorgere delle guerre in varie parti del mondo, le crescenti diseguaglianze, la fame e la povertà nella quale versano milioni di persone.
Spettacolo mostruoso, ha definito Paolo Favilli (il manifesto, 25 gennaio) quello messo in scena dal ceto politico in occasione delle elezioni presidenziali; mostruoso, che significa, secondo il Dizionario, anche: infamante, vergognoso, spregevole, abbietto e via dicendo. E su questo non ci sono dubbi, tanto per la destra che la sinistra.
Aggiungerei anche noioso, triste, depresso, che non muove, a sentirlo, alcuna passione, alcun entusiasmo, come un brutto film visto troppe volte e di cui si conosce già la trama.
La scena politica attuale vede all’opera solo grandi manovrieri e faccendieri: per tramare, tendere tranelli, umiliare candidature già di per sé impresentabili, ricavare tornaconti, comparire sulla scena (di guerra?).
Una scena cara ad Hobbes che riteneva che l’uomo, nascendo nella paura, cresce sviluppando l’istinto aggressivo, l’orgoglio, la vanità e la disposizione innata al combattimento e alla prevaricazione.
Dostoevskij, nell’Idiota, fa dire al principe Myskin che sarà la bellezza a salvarci. Anche se poi, interrogato da Nastas’ja Filippovna su che cos’è la bellezza, risponde di non saperlo: “devo pensarci”.
La bellezza non sappiamo definirla ma sappiamo però riconoscerla quando ci appare. Le scene cui assistiamo, impotenti e frustrati, del balletto politico, amplificato oscenamente dai talk show che si propongono di commentarlo, è quanto mai brutto, nelle parole, nei visi deformati degli oratori, nelle loro ironiche e tristi battute, nella scialberia delle loro espressioni, nella falsa retorica dei loro commenti.
Tra i requisiti che dovrebbe possedere il futuro Presidente della Repubblica, manca quello della bellezza. Non certo estetica, di quella possiamo farne a meno; ma quella del linguaggio, della scelta delle parole adeguate, l’eloquenza e la raffinatezza della mediazione, e perfino dello spirito col quale affrontare questa severa avventura.
Un mio amico – matematico- mi raccontava come lui sapeva riconoscere che era vicino alla soluzione di un problema matematico dalla eleganza con cui via via si semplificavano le espressioni e come, al contrario, quando questa eleganza veniva meno, avesse la certezza che la strada intrapresa era quella sbagliata.
Vale per la matematica, vale per la scienza, anch’essa dominata dalla bellezza, così come sembra assente nella politica.
Se adottassimo lo stesso criterio del matematico, dovremmo riconoscere che ci stiamo sempre più allontanando da un nobile finale; quale che esso sia, non mancherà di deluderci.
Eppure ognuno di noi ricorda come nei momenti più alti di questa, ci sono state dichiarazioni e discorsi dei politici che ci hanno anche commosso per l’eloquenza e la semplicità del linguaggio che arrivava al cuore di molti italiani.
E qui conviene citare una frase di Leopardi tratta dallo Zibaldone: “O sieno cose antiche o non antiche, il fatto sta che quelle convenivano all’uomo e queste no, e che allora si viveva anche morendo, e ora si muore vivendo”. Discorsi morenti andrebbero definiti quelli pronunciati in questa occasione della elezione del Capo dello Stato perché privi di passione, di coraggio, di entusiasmi, di rispetto per l’avversario. Perché appiattiti sull’inganno, sulla furbizia, sull’intrigo.
Un metro, una cifra, quello della bellezza, con cui dovremmo valutare i gesti e le parole del nostro ceto politico diventato troppo furbo e scaltro da aver dimenticato la nostra più alta e nobile tradizione culturale: quella della bellezza della nostra Lingua. Salvini propone di presentarsi come il king maker (che in realtà significa artefice del successo altrui), ovvero colui che dà le carte, che conduce i giochi; ma quali? Resuscitare le anime morte della politica? Sostiene che esse hanno dei meriti, quali? Quelli di aver coperto con insuccesso clamoroso, e qualche volta con vergogna, alte cariche istituzionali?
Nelle loro dichiarazioni i politici sembrano esprimersi tutti nello stesso modo, incomprensibile ai più, facendo a gara per non distinguersi, in mediocrità, l’uno dall’altro.
Anche qui vale il monito di Leopardi: “anche l’imitare è una tendenza naturale, ma ella giova quando ci porta a somigliare coi grandi e cogli ottimi. Ma chi cerca di somigliare a tutti? Quando saremo tutti uguali, lascio stare che bellezza che varietà troveremo nel mondo, ma domando io che utile ce ne verrà?”. Per la Politica, rinunciare alla bellezza significa rinunciare alla salvezza.
Articolo ripreso da https://comune-info.net/la-grande-bruttezza-e-il-quirinale/ pubblicato anche su il manifesto
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