Una questione aperta: per il centesimo anniversario della nascita di Beppe Fenoglio
di Giorgio Mascitelli
Se
c’è una cosa che non si dovrebbe fare, è parlare degli scrittori
che si amano nei loro anniversari, come mi accingo a fare a proposito
di Beppe Fenoglio, ma l’occasione è troppo ghiotta per poter
tacere ( e io sono un ghiottone e non sono neanche molto originale,
lo so) perché penso che il maggiore scrittore italiano della
Resistenza proprio in questi tempi cominci a parlarci pienamente.
Eppure la sua visione politica della Resistenza è sicuramente
lontana da quella che con tutti i limiti del mio senno di postero
nutro io, valutando la sua visione di monarchico badogliano come
distante da quella necessità di rottura radicale con l’Italia
compromessa col fascismo per inaugurare un vero rinnovamento. Certo
Fenoglio non è un autore, e probabilmente non era un uomo, che
poneva in primo piano la politica, ma l’evidente sollievo con cui
Johnny approda ai partigiani azzurri e l’altrettanti evidente
fastidio, se non disprezzo, nei confronti dei garibaldini sono un
dato ineliminabile del suo romanzo principale e della sua opera. Si
sa che di problemi di questo genere si era occupato a suo tempo
Engels, quando nell’esprimere il suo apprezzamento per il
monarchico e reazionario Balzac, spiegava che la rappresentazione
delle forze della società nei suoi romanzi era fortemente realistica
e indipendente dalle sue posizioni politiche, tuttavia la forza
estetica della narrativa resistenziale di Fenoglio non è certo nella
sua descrizione mimetica, anche se non mancano elementi di notevole
impatto realistico, quanto nella capacità di proiettare su un piano
allo stesso tempo epico e antiretorico una dimensione esistenziale,
basata su un rifiuto morale del fascismo. Potrei allora sostenere
che esiste probabilmente qualcosa come un valore estetico di
un’opera disgiunto da valutazioni storiche e politiche.
E
tuttavia valore estetico è una formula vaga che bisogna precisare
meglio: per esempio potrei dire che la lingua di Fenoglio mi piace
moltissimo e lo trovo una delle migliori prose italiane nell’ambito
del Novecento. Ecco una formulazione del genere suggerisce già
qualche sostanza all’affermazione, soprattutto perché comporta il
presupposto che i valori stilistici e linguistici del testo sono
separati dalla sua valutazione storica e politica. Eppure per me non
esiste un’astratta bellezza linguistica, un ideale assoluto
rondesco per così dire, la bellezza della lingua letteraria è
sempre una bellezza funzionale al tipo di narrazione, prendiamo
allora un esempio di Fenoglio:
“La nuova scarica dei fascisti arrivò corretta, ma tanto che rasò gli alberi sulla cima. I partigiani rispondevano più con un fuoco che pareva diretto più all’eventualità che alla sostanza e località dei fascisti, frettoloso e bisbetico, come mirante soltanto a svuotare le giberne. Era chiaro che i fascisti non stavano subendo perdite più di quanto ne infliggessero ai partigiani, ma tutti gli uomini erano posseduti dalla libidine del fuoco e dal suo sostegno morale.” ( da Il partigiano Johnny, p.176, Einaudi, 1994).
Si
tratta di un passo che descrive uno scontro in cui però il tiro da
entrambe le parti è impreciso: questo evento è rappresentato da un
misto di termini tecnici ( ‘corretto’ riferito a una salva che
non colpisce nessuno, che però giunge nel quadrante di tiro giusto
dalla posizione in cui si trovano i fascisti), da metafore
psicologiche ( il fuoco dei partigiani è ‘bisbetico’) e da
perifrasi che a prima vista possono sembrare ironiche ( e vi è
senz’altro una sfumatura di questo genere), ma che in assenza di un
assetto retorico complessivo tendente all’ironia sono stranianti.
Infatti se il fuoco mirante più all’eventualità che alla sostanza
dei fascisti sta per ‘sparare alla cieca’ e la frase potrebbe
chiudersi con un abbassamento comico, il periodo successivo con la
sua constatazione retoricamente neutra e superflua degli effetti
nulli del reciproco sparacchiamento, mantiene questo passo in un
registro insolito, né comico né eroico né eroicomico, che va a
sottolineare gli aspetti psicologici, il parossismo, e quelli morali,
la virtus necessaria a sostenere l’orgasmo della battaglia che nel
contempo, tuttavia, spinge ad aprire il fuoco con imprecisione,
dell’esperienza del combattimento. Quando Fenoglio parla di
‘sostegno morale’, non allude alla dimensione morale alta del
combattimento che sarebbe epica, al “ quo
moriture ruis maioraque viribus audes?/ fallit te incautum pietas
tua”
( ‘ dove ti precipiti a morire osando cose superiori alle tue
forze?/ il tuo amore di figlio ti inganna, imprudente.’ Aen.X,
812-813) con cui Enea incalza, descrive e comprende il coraggioso
gesto del figlio di Mezenzio intervenuto a salvare il padre, e nello
stesso tempo ne decreta la morte prossima, ma a una postura morale
funzionale alla combattività, di minore profondità e finezza
spirituali ma di maggiore dimensione praticamente collettiva.
Sebbene
nel Partigiano
Johnny si
possano rintracciare facilmente esempi ancora più belli dello stile
di Fenoglio in certi periodi vertiginosi che mescolano sintassi e
lessico inglese e italiano, il gergo militare, parole inventate dallo
scrittore e reminiscenze dell’epica classica, questo esempio di
lingua più standard illumina bene il fatto che la scelta stilistica
di Fenoglio determina un livello fondamentale di lettura in cui
l’argomento è non il significato storicopolitico della Resistenza,
ma la sua dimensione di esperienza esistenziale che non può essere
tematizzata né all’interno della storiografia né della
psicologia. Paradossalmente e direi ironicamente per l’antiideologico
Fenoglio, è proprio il lettore ideologico, a patto che non sia
dominato dai pregiudizi, che può accorgersi meglio di questo valore
della sua scrittura. Infatti l’alterità del giudizio ideologico
rende più facile percepire quello spazio che la scrittura di
Fenoglio occupa, dove la Resistenza non è un problema
storicopolitico né, tanto meno, un monumento da additare alle
giovani generazioni, ma un vissuto che non è solo individuale ma
anche collettivo e per questa via, si sarebbe detto sui libri di
scuola di una volta, universale. Ma se il vissuto diventa
potenzialmente universale, significa che c’è un’elaborazione
simbolica che distingue i testi di Fenoglio dalla memorialistica.
Si
può capire meglio quest’ultima osservazione, se si nota che nella
narrativa di Fenoglio c’è anche una vena quasi sapienziale dove
l’esperienza sembra condensarsi in brevi giudizi, sentenze o
apoftegmi che definiscono una situazione o una vicenda o un
personaggio. Per citare l’esempio più celebre basterà ricordare
l’inizio de I
ventitre giorni della città di Alba:
“Alba la presero in duemila il 10 ottobre e la persero in duecento il 2 novembre dell’anno 1944” ( Una questione privata I ventitre giorni della città di Alba, Einaudi, 1990, p.159)
In
questo inizio folgorante, in cui si riassume già l’esito della
vicenda e dunque il finale del racconto perché evidentemente il
lettore implicito di Fenoglio conosce già per i fatti suoi la storia
dell’occupazione partigiana di Alba, si condensa non solo il
giudizio su un’azione poco giustificata dal punto di vista militare
agli occhi dell’esperto partigiano Johnny e anche un’allergia a
un certo tono celebrativo resistenziale, ma una regola antropologica
che esula dal contesto specifico dell’episodio e della Resistenza
in generale per diventare legge umana che possiamo cogliere in tante
situazioni di natura diversa, nelle quali al momento della difficoltà
restano sempre i soliti duecento quando fino a un attimo prima si era
in duemila e forse più. La narrazione nel racconto, improntata a
un’ironia realistica in cui si mettono in luce tutte le
incongruenze dei liberatori, non nega una dimensione epica, ma
la delimita appunto a quella finale della battaglia in cui si arriva
al nucleo epico autentico ossia, al di fuori di ogni orpello
letterario e celebrativo, l’esperienza individuale di fronte al
momento del pericolo e la scoperta della verità morale della
sconfitta, che è invece superamento della condizione individuale. Ne
è un esempio, nel racconto appena citato, il momento in cui nella
giornata del contrattacco fascista i quattro giovani partigiani che
dovrebbero essere di guardia non si accorgono del passaggio del fiume
da parte del nemico, vengono sorpresi dai repubblichini in un
cascinale mentre stanno giocando a poker e vengono freddati. Qui la
giovanile idiozia diventa in un attimo innalzamento epico non
diversamente da Eurialo che si ferma un istante di troppo a depredare
i latini uccisi nel sonno nel loro accampamento e a rubare
l’elmo che lo tradirà, invece di essere leggero nella fuga come il
più esperto compagno. Qui però si può notare una peculiarità di
Fenoglio e cioè che il polo realistico non ha una funzione antiepica
di abbassamento comico, ma al contrario è per così dire
propedeutico all’esperienza esistenziale che si traduce nel momento
epico, che non significa mai astratto eroismo, ma confronto con la
morte in tutte le sue sfaccettature. Questo però significa che
Fenoglio ha letto Virgilio e gli altri classici come rielaboratori di
esperienze effettive, quasi come specialisti del rendere in termini
letterariamente credibili la situazione umana che si produce dentro
l’azione bellica, e non come monumenti scolastici del passato. E
questo dettaglio spiega la peculiare e vincente posizione di Fenoglio
nella letteratura resistenziale: da un lato egli supera la
memorialistica, anche di alta qualità letteraria, con la
consapevolezza che la natura letteraria dei suoi testi crea una fitta
rete di rimandi e confronti che contribuiscono a definire
l’esperienza della guerra partigiana nei suoi aspetti meno
immediati ed esistenziali in maniera più assoluta, dall’altro il
richiamo realistico all’esperienza vissuta impedisce non solo il
quadretto celebrativo, ma anche la proiezione della vicenda in uno
spazio epico astratto.
Ricordando la tesi di Benjamin della caduta
del valore dell’esperienza nella modernità e nel Novecento in
particolare ( svolta nel saggio Considerazioni
sull’opera di Nikolai Leskov contenuta
in traduzione italiana in Angelus
Novus,
Einaudi, 1982), si potrebbe affermare che l’opera di Fenoglio si
colloca al di qua di questa crisi. Certo se ‘l’esperienza che
passa di bocca in bocca è la fonte a cui hanno attinto i
narratori[…] i più grandi sono proprio quelli la cui scrittura si
distingue meno dalla voce degli infiniti narratori anonimi” (
Benjamin op.cit. p.248), la voce di Fenoglio è inconfondibile, ma
questa voce non solo nasce dall’esperienza ma presuppone un mondo
che comunica di bocca in bocca l’esperienza degli anni in montagna,
un mondo di discorsi corali, entro il quale lo scrittore di Alba
modula e fa emergere la propria voce. Il piccolo mondo delle Langhe
rende possibile questa centralità dell’esperienza perché non vi è
mai l’anonimato della condizione metropolitana tipica della
modernità, ma allo stesso tempo questo piccolo mondo è il centro
dell’epopea e in un certo senso (precisamente nel senso di
sineddoche) della storia. E’ grazie a questo radicamento che
un’operazione letteraria come quella di Fenoglio risulta credibile
e riuscita nel contesto novecentesco.
Oggettivamente questa
caratteristica rende Fenoglio un caso quasi unico, non solo nella
realtà italiana. Se tuttavia dovessi indicare uno scrittore, che in
libreria metterei sullo stesso scaffale di Fenoglio, prescindendo da
quelli i cui apporti nella sua opera sono stati messi in luce dalla
critica, indicherei senz’altro il Babel de L’armata
a cavallo. Non
si tratta solo di quel misto di rappresentazione realistica,
antiretorica e ironica di una grande epopea storica, ma anche
dell’avere dietro la coralità di un mondo, anche qui in prevalenza
contadino, la cui sostanza linguistica si riverbera nelle pagine del
racconto. Per quanto in Fenoglio ci siano anche altre dimensioni
importanti come quella individuale, esistenziale e in alcuni punti
perfino lirica, lo accumuna a Babel proprio questa natura di
scrittore dell’esperienza e dunque della storia bella e terribile
del Novecento, colta proprio prima di diventare storia. E’ insomma
una scrittura sempreverde che preciserà sempre di più questa sua
caratteristica man mano che gli anni passeranno.
Articolo ripreso da https://www.nazioneindiana.com/2022/01/09/
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