19 gennaio 2022

G. VIALE CONTRO LE ILLUSIONI

 


Si illudono di tornare come prima

Guido Viale
11 Gennaio 2022

A due anni dallo scoppio della pandemia i governi di tutto il mondo, a cominciare da quello guidato da Draghi, si muovono come non si fosse capito che era, ed è ancora, destinata a durare. Al primo posto si dovevano mettere la scuola e la moltiplicazione dei presidi sanitari territoriali. Nello stesso tempo occorreva avviare investimenti massicci sulle fonti rinnovabili e per la conversione ecologica. “Il covid ha offerto l’occasione di una prova generale di un’effettiva conversione verso un assetto sociale e produttivo che un futuro non lontano renderà ineludibile – scrive Guido Viale – Molte delle attività che si cerca in tutti i modi di tener in piedi per sostenere il Pil non sono in grado di reggere l’impatto della crisi climatica a cui andiamo incontro…”. Invece governi e grandi imprese, insomma quelli che sono in alto, continuano ad agire – o a far finta di agire – come se tutto potesse riprendere come prima

Èormai un’armata Brancaleone quella che dovrebbe traghettarci nella transizione ecologica. Il Governo Draghi? Forse è il peggiore di tutti quelli che l’hanno preceduto, se non altro perché di fronte alle aspettative che ne hanno promosso e accompagnato il varo, il tonfo è ancora più evidente. Come se a due anni dallo scoppio della pandemia che Draghi era stato chiamato a combattere – e ad attenuarne le conseguenze – non si fosse ancora capito che essa è destinata a durare a lungo, forse per sempre, anche se con alti e bassi dovuti al continuo ripresentarsi di nuove varianti (anche per il nulla di fatto per arginarla a livello mondiale) o alla sempre più probabile comparsa di altri virus.

La pandemia avrebbe potuto e dovuto insegnare che per convivere con essa non servono né misure estemporanee, né l’attesa messianica di sconfiggerla con dei vaccini, peraltro improvvisati – e per questo rischiosi – e dimostratisi tutt’altro che efficaci, a meno della loro non prevista e non programmata ripetizione a scadenze sempre più strette. Il fatto è che per conviverci bisognava e bisogna imparare e abituarsi il più in fretta possibile a uno stile di vita diverso, a produrre beni e servizi differenti, a ri-orientare tutte le nostre istituzioni. Innanzitutto, a mettere al centro le future generazioni. Se sono loro (la NextGenerationEU, che finora ha fatto da alibi a uno sperpero irresponsabile dei fondi del PNRR) i destinatari di quei denari, l’obiettivo doveva essere non farle vivere in stand by a tempo indeterminato. Al primo posto si doveva mettere la scuola e l’istruzione: requisire spazi pubblici e privati per avere più aule a disposizione (in attesa di costruirne di nuove); distribuire borse di studio e strumenti didattici, anche informatici; assumere insegnanti (che ci sono) e garantir loro un trattamento dignitoso; utilizzare i bus turistici – in gran parte inutilizzati – per portare a scuola in sicurezza gli studenti (e non solo), precostituendo gestione e struttura di un servizio pubblico di trasporto locale che funzioni anche quando sarà diventato difficile o impossibile continuare ad usare l’auto (sia convenzionale che elettrica) come si fa oggi. E poi, moltiplicazione dei presidi sanitari territoriali, interventi tempestivi sui contagiati prima che un ritardo li trascini in ospedale; assunzione dei (pochi) medici e infermieri ancora disponibili, allargando immediatamente le maglie della loro formazione. E poi, ancora, investimenti massicci e rapidi solo su fonti rinnovabili e sulla necessaria infrastruttura, ma anche contenimento dei consumi energetici superflui: era ovvio che il mercato dei fossili si sarebbe rivelato sempre più turbolento (come peraltro quello delle materie prime, o dei microchip e chissà di che altro…).

Ma si doveva anche prevedere che ci sarebbero stati meno viaggi aerei, meno turismo internazionale, meno fiere, mostre ed eventi in presenza, con la necessità urgente di offrire, a chi era impegnato nelle tante attività connesse, delle alternative di impiego, di riqualificazione, di conversione produttiva. E questo, in molti altri settori, per prevenire le crisi aziendali con progetti di riconversione, senza “inventarli” all’ultimo minuto. Per non parlare delle armi…

Il covid ha offerto l’occasione di una prova generale di un’effettiva conversione verso un assetto sociale e produttivo che un futuro non lontano renderà ineludibile; perché molte delle attività che si cerca in tutti i modi di tener in piedi per sostenere il PIL (stella polare di tutti i provvedimenti di questo governo, ma anche di quelli di gran parte del resto del mondo) non sono in grado di reggere l’impatto della crisi climatica a cui andiamo incontro.

Questa opportunità non è stata né percepita né colta come tale dalle forze politiche in campo – ecologisti e verdi compresi – e meno che mai da Draghi che, proprio perché osannato (finora) sia in patria che a livello internazionale, rappresenta visivamente tutti i limiti e i difetti dell’establishment globale.

È cinquant’anni che si parla di una crisi climatica sempre più vicina e sempre più grave quanto più si persevera nell’ignorarla: a parole o di fatto. Ma il ceto politico e imprenditoriale che governa il mondo non si è mai veramente interrogato sugli scenari futuri che quella crisi avrebbe portato con sé, confidando, al più, nella geoingegneria per combatterla, come oggi confida nei vaccini per “disfarsi” dell’”inconveniente” covid, senza mai vedervi una prima, anche se parziale, manifestazione del disastro incombente. Continua ad agire – o a far finta di agire – come se tutto potesse continuare (anzi, riprendere) come prima. Mentre il covid continua a infierire senza che nemmeno i medici-scienziati, quelli che lo commentano giorno per giorno in Tv e sui giornali, sentano il bisogno di andare al di là delle speranze, sempre più flebili e problematiche, riposte in un vaccino a cui viene affidato il compito di farci riprendere il trantran di sempre.


Comments

  1. Guido says

    “Non troveremo mai un fine per la nazione né una nostra personale soddisfazione nel mero
    perseguimento del benessere economico, nell’ammassare senza fine beni terreni.
    Non possiamo misurare lo spirito nazionale sulla base dell’indice Dow-Jones, nè i successi del paese
    sulla base del Prodotto Interno Lordo.
    Il PIL comprende anche l’inquinamento dell’aria e la pubblicità delle sigarette, e le ambulanze per
    sgombrare le nostre autostrade dalle carneficine dei fine-settimana.
    Il PIL mette nel conto le serrature speciali per le nostre porte di casa, e le prigioni per coloro che
    cercano di forzarle. Comprende programmi televisivi che valorizzano la violenza per vendere
    prodotti violenti ai nostri bambini. Cresce con la produzione di napalm, missili e testate nucleari,
    comprende anche la ricerca per migliorare la disseminazione della peste bubbonica, si accresce con
    gli equipaggiamenti che la polizia usa per sedare le rivolte, e non fa che aumentare quando sulle
    loro ceneri si ricostruiscono i bassifondi popolari.
    Il PIL non tiene conto della salute delle nostre famiglie, della qualità della loro educazione o della
    gioia dei loro momenti di svago. Non comprende la bellezza della nostra poesia o la solidità dei
    valori familiari, l’intelligenza del nostro dibattere o l’onestà dei nostri pubblici dipendenti. Non tiene
    conto né della giustizia nei nostri tribunali, né dell’equità nei rapporti fra di noi.
    Il PIL non misura né la nostra arguzia né il nostro coraggio, né la nostra saggezza né la nostra
    conoscenza, né la nostra compassione né la devozione al nostro paese. Misura tutto, in breve,
    eccetto ciò che rende la vita veramente degna di essere vissuta.”
    (Robert Kennedy, 1968)


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