FAVOLOSO CALVINO, LA MOSTRA ALLE SCUDERIE DEL QUIRINALE
Tra i tanti pregi che possiede “Favoloso Calvino”, la mostra in corso alle Scuderie del Quirinale per celebrare il centenario dalla nascita dello scrittore, quello che ho trovato il più clamoroso è il fatto di consentire un viaggio a più livelli dentro il concetto di genio. Fino a poterlo quasi toccare con mano. La (ri)scoperta visiva e tattile – sensoriale come può esserlo una mostra ben riuscita – di una mente vivacissima e multidimensionale, vorace e curiosa, elegante e innovativa, tra le migliori che sia possibile frequentare. Tutto questo mentre di sala in sala, attraverso pagine scritte, fotografie, dipinti, sculture, note e incisioni scorre il Novecento; nella sua versione migliore, quella emersa dopo la sconfitta del nazifascismo, con tutta l’aria fresca che si levò dal ’45 in avanti.
Sulla scelta dell’aggettivo da apporre a “Calvino”, favoloso, c’è poco da discutere. La fiaba, il fantastico, la favola, gli artifici e le magie – fino ai tarocchi – sono i contrassegni più evidenti di tutta una vita dedicata alla scrittura. «Fabulous Calvino: questo il titolo dell’articolo di Gore Vidal apparso sulla “New York Revivew of Books” del 30 maggio 1974, a breve distanza dall’uscita delle Città invisibili tradotte da William Weaver, che rappresenta un momento decisivo nella ricezione di Calvino in America. […] Favoloso Calvino. Calvino straordinario, certo: lo hanno decretato milioni di lettori, in Italia e nel mondo. E Calvino favolista e cultore del meraviglioso, ma anche scrittore capace di far interagire l’osservazione e la fantasia, l’attenzione alla realtà e la trasfigurazione fiabesca», scrive Mario Barenghi, curatore della mostra, nel saggio introduttivo al catalogo, disponibile con le edizioni Electa.
Tutto inizia a Santiago de las Vegas. Uno scatto del 1924 ritrae un piccolissimo Italo – visse a Cuba soltanto i primi due anni di vita – tra il padre Mario e la madre Eva Mameli. Entrambi i genitori si occupano di piante; la madre è una botanica, mentre il padre lavora come agronomo specializzato in coltivazioni tropicali, viaggiando tra il Messico e il Nordafrica. «Il sapere dei miei genitori convergeva sul regno vegetale, le sue meraviglie e virtù. Io, attratto da un’altra vegetazione, quella delle frasi scritte, voltai le spalle a quanto essi m’avrebbero potuto insegnare; ma la sapienza dell’umano mi restò ugualmente estranea», raccontò Italo Calvino nel 1980. Eppure, curiosamente, qua e là nei pannelli del percorso espositivo capita di cogliere nelle frasi di Calvino più di un riferimento a quel mondo vegetale al quale voltò le spalle, in un legame ora consapevole ora inconscio.
Ai manoscritti, alle prime edizioni e agli oggetti direttamente riconducibili all’autore, Favoloso Calvino aggiunge una quantità di opere altre, legate a Calvino per intenti dichiarati – rimandi ai suoi testi, o ispirazioni per le sue storie – o per giustapposizione sinestetica, ma mai artificiosa. Ecco così tra le oltre duecento opere esposte un magnifico arazzo cinquecentesco di fattura franco-fiamminga, l’arazzo millefiori di Pistoia, un trionfo di natura e fate, creature animali e vegetali, per sostenere con lo sguardo la scrittura del Calvino fiabesco. O le incisioni di Albercht Dürer, citate direttamente nell’Album Calvino, riferimento alla duplice rappresentazione di San Girolamo. Studioso contro eremita, ma in un «deserto per modo di dire perché spesso si vede una città che spunta in fondo al quadro, come una famosa incisione di Dürer. Ma forse questo è il vero modo in cui essere eremiti ha un senso, trovare la propria solitudine senza staccarsi troppo dalla vita degli altri, creare una distanza che può essere la vera vicinanza», scrisse Calvino nell’Album.
I ritratti che Carlo Levi fece di Calvino, dal 1959 al 1965, ogni anno mostrando un volto diverso. Miniature del Quattrocento e le fotografie di Luigi Ghirri. Tantissima arte contemporanea, dalle sculture di Fausto Melotti ai dipinti Giorgio De Chirico. In un paesaggio così fitto di suggestioni, l’orientamento può apparire complesso; e invece è sorprendentemente naturale. Lo noti nello sguardo dei visitatori, occhi che abbracciano quanto vedono, riconoscendosi, aggiungendo nuove configurazioni, scrutando e annuendo. Scene immagazzinate e ricreate, o scaturite dalla profonda e incontenibile immaginazione dello scrittore: Favoloso Calvino è un gioco di specchi tra parola e visione, e a noi spettatori sta capire chi è nata prima.
«Milioni di lettori in Italia e nel mondo», scrive Barenghi nel saggio introduttivo, ed ecco l’altro pregio di Favoloso Calvino: fa capire quanto uno scrittore possa essere sfidante, complesso, avanguardista, sperimentale, e al tempo stesso popolarissimo. Ora, davanti a tutta questa popolarità è possibile che ci sia chi nel corso del tempo abbia storto il proverbiale naso. Accade che alcuni scrittori abbiano il dono di essere comprensibili e ben ricevuti dal pubblico; incredibile. Dopodiché questa ricezione va declinata secondo canali diversi: esiste un pubblico che conosce solo e soltanto il Calvino dei Nostri antenati o delle Lezioni americane, e in effetti chi la sa lunga ha riempito il bookshop delle Scuderie con borse e gadget che citano proprio le Lezioni. Ma: prima di tutto: già va bene così, che esiste una quota di lettori che conoscano/abbiano letto Calvino; che si siano fermati al Barone rampante o alla Leggerezza, va bene, e sto. Siamo lo stesso Paese che periodicamente si lamenta di una quota di lettori tremendamente ridotta. A mostre come Favoloso Calvino, poi, sta il compito di restituire tutto il prisma, i dettagli dello spettro, la misura del genio nella sua completezza.
Pezzo ripreso da https://www.minimaetmoralia.it/wp/libri/favoloso-calvino-la-mostra-alle-scuderie-del-quirinale/
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