18 ottobre 2023

W, WHITMAN, Rivelerò io cosa dire di me

 




[Esce oggi per Marcos y Marcos Rivelerò io cosa dire di me di Walt Whitman, una nuova versione di Calamus tradotta e curata da Diego Bertelli. In anteprima web, pubblichiamo tre poesie del libro seguite dall’introduzione di Bertelli].

 

1.

 

Sono stato a lungo prigioniero della vita che fa bella mostra di sé,

dei gesti fatti nelle case o per strada, o in compagnia,

le convenzioni e i piaceri di sempre: le cose cui tutti si adeguano, celebrate dagli scrittori;

ma ora conosco una vita che non fa bella mostra di sé, però contiene tutto il resto.

E ora, fuggendo, celebro quella vita nascosta ma essenziale,

celebro il bisogno dell’amore dei compagni.

 

2.

 

Ora che siedo da solo, pieno di pensieri e desideri, mi sembra che ci siano altri uomini, in altre terre, pieni di pensieri e desideri;

 

mi sembra di vederli laggiù, perfino di osservarli, in Germania, in Francia, in Spagna, o ancora più lontano, in Cina, in India, in Russia, mentre parlano altre lingue,

 

e mi sembra, se potessi conoscere quegli uomini, che saprei amarli come amo gli uomini delle mie stesse terre;

 

mi sembra che anche loro siano saggi, e siano belli e comprensivi, com’è chiunque altro delle mie stesse terre;

 

io lo so che potremmo essere come fratelli – so che con loro potrei essere felice.

 

3.

 

A una persona sconosciuta.

 

Persona sconosciuta, passi e non lo sai con quale desiderio io ti guardi,

devi essere colui che cercavo, o colei che cercavo,

con te devo da qualche parte aver vissuto una vita felice, mi torna tutto in mente ora che quasi ci sfioriamo, fluidi, affettuosi, candidi, adulti,

crescendo con me, sei stato un ragazzo con me, una ragazza con me,

ho mangiato con te, e dormito con te – il tuo corpo non è stato più soltanto tuo né il mio soltanto mio,

mi dai il piacere degli occhi, del volto, della carne, passandoci a fianco, tu dalla mia barba, dal petto, dalle mani, ricevilo in cambio,

ma non ti parlerò – ti penserò quando siedo da solo, o la notte quando da solo non dormo,

ti aspetterò – perché lo so, dovrò incontrarti ancora,

sarò attentissimo a non perderti.

 

*

Una nuova versione di Calamus, la sezione più emblematica di Foglie d’erba

di Diego Bertelli

 

La poesia di Walt Whitman è il canto coinvolgente di chi è riuscito a conquistare, passo dopo passo, verso dopo verso, la propria libertà; un canto vitale e potente come il corpo del suo autore. Poesia e corpo, per Whitman, sono elementi essenziali e in reciproco accordo: non c’è poesia senza corpo e non c’è corpo senza poesia. La loro unione è sancita dal linguaggio, che li definisce e identifica: l’essere umano, l’essere poeta. Una questione imprescindibile per chi, come Whitman, ha celebrato sé stesso assimilandosi agli altri fin dentro le fibre più riposte della materia, quelle di cui si compone la vita, ogni vita

 

Io celebro me stesso,

e cosa penso io sarete voi a pensarlo,

perché ogni atomo che appartiene a me allo stesso modo

appartiene a voi.

 

Inizia con questa esternazione perentoria il lungo componimento che nel 1855 apre la prima edizione di Foglie d’erba. È un attacco cui Whitman aggiungerà, in seguito, un piccolo ma sostanziale tassello: quel “canto me stesso” — poi rimodulato nel titolo definitivo — che riecheggia, più avanti nel testo, nel “canto di me che si leva dal suo letto e incontra il sole” e nel “Sono soddisfatto… Vedo, danzo, rido, canto”. Attraverso una serie di azioni insieme catartiche e sciamaniche, la poesia e il corpo di Whitman manifestano la propria vibrante armonia. Considerando il tono solenne del futuro Canto di me stesso e l’epoca in cui è scritto, Foglie d’erba contiene un incipit davvero grandioso e spiazzante. Whitman esordisce sentendo il bisogno di proclamare la propria presenza e di definirsi in comunione con gli altri, “contenendo moltitudini” di donne e uomini: è a loro che si rivolge ogniqualvolta, con lo sguardo, indaga gli immediati dintorni o supera la linea apparente dell’orizzonte e “vede” luoghi dove sorgono città, società e unioni allora impensabili.

 

La sua terra, le sue lands, i suoi amati States riverberano un profondo desiderio d’amicizia, amore e uguaglianza. Nell’utopica visione amorosa e fraterna dell’uomo e del poeta Whitman, emerge un sentimento che ha un chiaro risvolto politico:

 

Queste cose che provengono da me sono per te, o Democrazia,

per servirti mia signora!

per te, solo per te, che intono questi canti!

 

È un sentimento che torna, in modo persino più esplicito ed evocativo, in un’altra poesia formidabile, dallo sviluppo inatteso. Partendo da un’ipotesi di sovversione delle istituzioni, Whitman giunge candidamente ad affermare il desiderio di una società ideale, ispirata e fondata sull’amore:

 

Sento che mi si accusa di attentare alle istituzioni,

ma io non sono favorevole o contrario alle istituzioni,

(cosa davvero ho in comune con loro, e cosa con la loro distruzione?)

Semplicemente fonderò a Manhattan, e in ogni città di questi Stati,

nell’entroterra e sulla costa, in mezzo ai campi e alle foreste, su ogni imbarcazione piccola o grande che solca le acque,

senza edifici, senza leggi, senza governi, senza dibattiti,

l’istituzione del caro amore dei compagni.

 

Whitman è stato e continua a essere questo: un fervente rivoluzionario al servizio della vita, il cui ideale è l’amore e la cui arma è la poesia. L’uscita della prima edizione di Foglie d’erba, libro che Whitman rielabora e accresce nel corso di quasi un quarantennio, fino alla sua morte, segna una frattura definitiva nella storia della poesia americana. Accade lo stesso quando al cuore di un’opera già rivista e ampliata compare Calamus, una delle sue sezioni più belle ed emblematiche, intitolata a un umile canna palustre che cresce spontanea sul ciglio dei fossi e ai bordi degli stagni: il calamo aromatico. Il significato della pianta scelta da Whitman a sigillo della sezione è divenuto oggetto di dibattito. Immagine della naturale crescita dell’io, custode dell’esperienza di chi percorre, per la prima volta, “sentieri mai battuti”, il calamo è stato interpretato anche come una metafora del membro sessuale maschile.

 

È innegabile che l’elemento (e l’evento) omoerotico percorra tutto Calamus, fin dalla sua prima comparsa, nel 1860. Il fatto risulta ancora più evidente se leggiamo la versione proposta in questo libro. Seguendo l’edizione a cura di Fredson Bowers, pubblicata negli Stati Uniti nel 1955 con il titolo Leaves of Grass (1860). A Parallel Text, le lettrici e i lettori fanno esperienza di un testo completamente nuovo, basato sui manoscritti originali di Whitman.

 

Molto si è discusso sul fatto che l’amicizia cantata in Calamus sia l’espressione di un’omosessualità rimasta intrappolata fra autocensura e stigma sociale, in un secolo nel quale la diversità era considerata un crimine, e inserita nelle liste dei disturbi mentali. Se le poesie sono, in prima istanza, un canto intonato all’amicizia, Whitman con questa parola intende un complesso sentimento che intreccia tenerezza, amore, eros e utopia politica. Nei componimenti che il poeta non pubblicherà mai in vita, emerge fortissimo il bisogno di un contatto fisico, calamitato dal fascino che esercita il corpo maschile. Nella versione finale di Calamus un tale bisogno è spesso più sfumato, ma in queste pagine affiora in tutta la sua naturalezza, rivelando una visione dell’amore in grado di prescindere dall’orientamento e dal genere sessuali. Si prenda To A Stranger, componimento in cui è descritto un incontro, fatto per strada, con una persona sconosciuta, verso cui lo speaker in the poem viene magneticamente attratto e alla quale si rivolge così: “devi essere colui che cercavo, o colei che cercavo, / con te da qualche parte devo avere vissuto una vita felice, / mi torna tutto in mente ora che quasi ci sfioriamo, fluidi, affettuosi, candidi, adulti, / crescendo con me, sei stato un ragazzo con me, una ragazza con me”. In un testo in cui Whitman evita di indicare il genere della persona, che a sua volta può essere (e diviene!) sia un ragazzo sia una ragazza, l’aggettivo fluid, usato dal poeta nell’originale, assume un rilievo straordinario. E se il termine dovrà prima di tutto riferirsi alla fluidità dei corpi in movimento — che si avvicinano quasi sfiorandosi —, la sua presenza suona oggi profetica. Con estrema preveggenza, più di centosessanta anni fa Whitman ha detto qualcosa, per la sua epoca, di inaudito: non importa che tu sia uomo o donna, e neppure che ti senta tale; ciò che importa è che mi ami, e sia libero di amarmi come io amo te.

 

Rivelerò io cosa dire di me sarebbe dovuto essere, prima ancora che un libro, uno spettacolo teatrale. La versione italiana delle poesie di Whitman raccolte sotto questo titolo nasceva, alcuni anni addietro, per il palcoscenico. Nel 2019 Carmine Amoroso mi chiese di tradurre Calamus, una delle sezioni più celebri di Foglie d’erba. L’intenzione di Carmine era quella di utilizzare i testi trascritti da Bowers, testimoni di una forma immediatamente precedente a quella data alle stampe, per la messinscena di uno spettacolo che riportasse alla luce uno Whitman inedito, e persino più potente, quando parla di amicizia e di amore. Così ho cominciato a tradurre, confrontandomi, versione dopo versione, con Carmine, e affiancando alle trentasei poesie di Bowers le mancanti nove dell’edizione del 1860.

 

Rivelerò io cosa dire di me è dunque, oltre che una traduzione ispirata a un principio artistico, un’opera concepita per essere declamata sul palco, pensata per la voce, e sottoposta al vaglio della recitabilità, che la rende più che mai viva. Alla base di questa operazione, l’idea di Carmine e mia: che l’amicizia e l’amore debbano tornare a condividere la loro radice comune, affermando una visione dei sentimenti umani senza limite alcuno, senza alcuna distinzione.


Pezzo ripreso da  https://www.leparoleelecose.it/?p=47903

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