RIFLESSIONI E PRATICHE IN “FARE FEMMINISMO” DI GIULIA SIVIERO
Giulia Siviero presenta oggi Fare femminismo alle 19 presso la libreria Tuba, a Roma. Dialogano con lei Maria Edgarda (Eddi) Marcucci e Cristina Petrucci.
di Federica Merenda
Fare femminismo (Nottetempo, 2024) di Giulia Siviero è un arsenale di pratiche. O, se si vuole, un piccolo compendio di storia dell’arte politica femminista che unisce spazi – fisici, prima che luoghi del pensiero – e tempi di lotte che si intrecciano dalla Francia del ‘700 di Olympe de Gouges all’Argentina contemporanea di Ni Una Menos.
Dalle madres di Plaza de Mayo che portano in piazza le fotografie dei figli e delle figlie di altre per rivendicare una maternità politica generativa che da dolore intimo si fa lotta collettiva per tutte le persone oppresse, alle Rote Zora che nella Germania Ovest sabotano le serrature delle case degli stupratori, alle Suffraggette che in Inghilterra bruciano i campi da golf per fare apparire la scritta “Voto alle donne”, al separatismo di Rivolta femminile, al transfemminismo intersezionale di oggi, la lotta femminista è una ed è molteplice.
Nello spirito della tradizione italiana che vuole ricostruire genealogie femminili e femministe, Giulia Siviero raccoglie esperienze incarnate di pratica politica dalle strade, dalle case e dagli spazi sociali di angoli diversi del mondo rinunciando a una scansione diacronica o sincronica degli episodi che colleziona: spazio e tempo non ci dividono perché a unirci fortemente sono i desideri, la rabbia, le rivendicazioni trasversali a gruppi tra loro anche molto diversi nella composizione e nelle provenienze e, soprattutto, un’immaginazione politica vivace che è stata in grado di creare simboli e strumenti potentissimi con quello che c’era.
E cosa c’era? C’erano i tubi di gomma degli acquari, utilizzati per l’estrazione mestruale e l’autogestione dell’aborto. C’erano le pipette per inumidire il tacchino, perfette per l’inseminazione fai-da-te. C’era e c’è ancora il corpo, soprattutto il corpo: il corpo che si espone e che diventa arma potentissima di attacco in Nigeria, mostrato nudo in un contesto in cui la potenza riproduttiva femminile è da coprire o da nascondere, o arma di difesa in Corea del Sud, dove le operarie di una fabbrica occupata si denudano per spiazzare le forze di sicurezza; il corpo che si sottrae, nello sciopero del sesso proclamato dalle donne colombiane di Barbacoas che nel 2011 chiedono strade e ambulanze che arrivino in tempo.
Andando in giro per il mondo e per gli ultimi secoli a raccogliere pratiche collettive, Siviero ci ricorda che la storia del femminismo non è solo quella delle sue singole madri, paladine dei diritti e imprescindibili punti di riferimento teorici da Mary Wollstonecraft a Simone de Beauvoir, alle filosofe del femminismo italiano e francese degli anni ’70, delle cui riflessioni pure è intessuta la sua stessa narrazione.
In esergo a ogni capitolo a introdurre il bollettino di guerra della rivoluzione femminista che si compie ormai da almeno qualche centinaio di anni dappertutto ci sono infatti le parole di Christa Wolf, Hélène Cixous, Robin Morgan, Virginia Woolf, Angélica Liddell, Itziar Ziga, Emily Dickinson a ricordarci che teorie e pratiche non sono in contrapposizione e che la distinzione tra pensiero e prassi è una dicotomia che non appartiene al femminismo.
Se però finalmente, come notato da Rosi Braidotti in una recente intervista, i testi di filosofia e teoria politica femminista riempiono intere biblioteche e preziosissimi archivi di storie, teorie e pratiche dei movimenti custoditi da associazioni e case delle donne preservano la memoria di ciò che è stato e può ancora essere, un testo divulgativo e agile come quello di Siviero serve a chiunque voglia fare femminismo oggi, particolarmente in un momento in cui le vite delle donne e di tutte le soggettività non conformi al modello patriarcale subiscono violenze e oppressioni che necessitano di risposte forti ed efficaci che ci richiedono di utilizzare tutta la creatività di cui siamo capaci.
In Italia, il contesto odierno è quello caldissimo segnato da attacchi diretti all’autodeterminazione sessuale e riproduttiva tramite una promozione degli ostacoli all’esercizio dell’aborto e, da ultimo, da un tentativo di svuotamento e risignificazione dei consultori – grande conquista delle lotte dei movimenti degli anni ’70 –, ma anche quello di una presa di coscienza collettiva della sistematicità della violenza di genere e della forza di un movimento transfemminista, Non Una di Meno, che il 25 novembre scorso ha portato in piazza a Roma più di mezzo milione di persone e che ha appena proclamato nei territori di tutto il paese un “Maggio transfemminista” di lotte e resistenza.
In questa congiuntura Siviero si inserisce con un testo che è marcatamente femminista non solo nei contenuti, ma nella forma e nel metodo: l’autrice parte da narrazioni contestuali ed incarnate, non aspira a ricondurre ad un’unità astratta la diversità delle esperienze e non rinuncia a mostrare le contraddizioni e le conflittualità presenti in un movimento rivendicatamente plurale e in continuo mutamento, come tutte le cose vive.
La consapevolezza delle diversità dei femminismi, parola che nel titolo del volume l’autrice sceglie però di fare comparire al singolare, non deve spingere – ci sembra di leggere nel suo sforzo narrativo – ad un’astensione dal dialogo tra generazioni e posizionamenti o alla cristallizzazione di impenetrabili tabù, come talvolta è accaduto nel dibattuto recente: le femministe parlano, urlano, piangono, si arrabbiano e battono i pugni, discutono anche animatissimamente, come ci viene ricordato dalle tante litigiose, gioiose e feconde assemblee raccontate.
Raccogliere testimonianze di esperienze vissute da attiviste anche molto diverse tra loro e magari da noi che leggiamo le loro storie oggi, ma tra cui e con cui si generano echi reciprochi e profonde risonanze: questa è la pratica messa in atto da Siviero, che alla fine della sua prefazione dichiara di credere che “la strada percorsa non prescrive, non si sovrappone, non cancella, ma indica e orienta. La memoria si fa dunque rimemorazione, funzione creativa che guida il pensiero di chi ha a cuore la libertà non rispetto a ciò che è stato, ma verso ciò che sarà”.
Fare femminismo è un libro aperto, che non ha pretese di esaustività: di pratiche femministe ce ne sono state moltissime altre che non sono presenti in queste centottanta pagine di racconti. Non ci sono quelle l’autrice ha dovuto escludere per un necessario processo di selezione, non ci sono quelle di cui non si è mai tenuto traccia per le generazioni successive, non ci sono quelle che si sono perse nella trasmissione orale o che non sono state ripescate grazie al lavoro di chi scava negli archivi per portare alla luce episodi dimenticati di una storia che per tanto tempo – ma in Italia sempre meno, anche grazie al grande lavoro della Società Italiana delle Storiche – è stata history e non anche herstory. Non ci sono le pratiche che ancora devono farsi. In questo senso, il testo pubblicato da Nottetempo costituisce l’incipit di un libro da continuare a scrivere insieme.
Le pagine di Siviero intanto si prestano a letture di gruppo, a essere utilizzate come materiale per laboratori e discussioni collettive e impiegate come spunto per creare occasioni in cui chiedere a chi c’era in altri momenti incandescenti del farsi del femminismo “Raccontateci di più”. Ma anche come stimolo per chiederci oggi: Che cos’altro possiamo inventarci?
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