TINA MODOTTI: una fotografa rivoluzionaria
Amicizie e rivoluzioni all’ombra delle palme californiane e sotto il Popocatepétl, sull’altipiano di Città del Messico. Fotografie, circoli letterari, vertigini erotiche e molta politica militante.
Luca Celada
L’avanguardia?
Ha appetiti piccanti
Tina Modotti era sbarcata a San Francisco proveniente dalla natia Udine nel 1913 dopo una traversata in bastimento in terza classe. Sola e appena diciassettenne Tina, si era imbarcata per raggiungere il padre Giuseppe che aveva accarezzato l’idea di fare il fotografo come suo fratello Pietro, ma in California finì per aprire un’officina meccanica generale.
Tina invece trova lavoro come sarta, cappellaia e operai tessile – il
mestiere già esercitato in patria sin dall’età di 12 anni. Lei, però, è anche
inesorabilmente attratta dai teatri di Little Italy sui cui palcoscenici
diventa presto una celebrità, in virtù dei ruoli interpretati in sceneggiate e
melodrammi e le opere di D’Annunzio e Pirandello che attraggono un folto
pubblico di emigrati.
La svolta per la giovane donna avviene con l’incontro con Roubaix de l’Abrie Richey; lo pseudonimo è l’artificio ostentato da un giovane poseur – Robo fra gli amici – che ama esibire uno stile bohemièn assorbito durante gli studi artistici a New York. Per Tina lascerà la moglie adolescente, trasferendosi con lei a Los Angeles. Sarà il primo di una serie di incontri folgoranti che segneranno l’intensa vita artistica e passionale di Modotti.
A Los Angeles Tina e Robo trovano una città molto più piccola e polverosa
ma anche più futurista, satura di possibilità dopo la fine della guerra e
dell’influenza spagnola. È una specie di paesone semiedificato e
«messicaneggiante», dove scorrazzano i Keystone Cops di Mack Sennett e
continuano a sbarcare futuri luminari dell’industria cinematografica in pieno
boom – come Buster Keaton, appena giunto quello stesso anno da New York.
I due giovani affittano un appartamento nel Bryson – l’elegante immobile da
poco finito su Lafayette Park, vicino al centro – dove risiedono già molti
giovani in carriera hollywoodiana. Tina vi si aggregherà presto, ottenendo le
prime scritture per piccoli ruoli in film muti. La «bellezza italica» esotica e
levantina, esercita un forte fascino negli anni de Lo Sceicco e Tina, attrice
avvenente e disinibita, trova quasi subito un ruolo da protagonista in The
Tiger’s Coat, un lungometraggio che gira nell’estate del 1920 nei teatri di
posa che diverranno di lì a poco i Paramount Studios. Interpreta una fascinosa
ingenue messicana.
Los Angeles riflette i paradossi dell’epoca. Mentre le folle premono sulle corde di velluto alle prime monumentali di Valentino e Chaplin – in città c’è il fermento politico di un emergente movimento operaio. Socialisti, comunisti e Wobblies internazionalisti del Iww (International workers of the world) organizzano comizi e scioperi. Il vicino Messico è scosso dalle fasi finali della rivoluzione. Pancho Villa spadroneggia nel nord e sconfina spesso in territorio yankees, sfuggendo all’esercito americano (e si premura di far filmare le incursioni dai cinegiornali di Hollywood).
A pochi passi dagli studios di Sennett, Tom Mix e, di lì a breve, Walt
Disney, quando il cinema aveva la sua base nel quartiere di Edendale, c’è la
fattoria dove l’anarchico Ricardo Flóres Magon tiene banco con esuli
rivoluzionari messicani (prima di venire richiuso e ucciso in prigione dalle
autorità americane). Modotti non è una delle mille starlette che arrivano
quotidianamente in città e che darebbero l’anima per metà del suo successo. Il
suo destino sta nel giro di artisti d’avanguardia che frequenta con Robo e,
senza ancora saperlo, proprio nella militanza politica che la attirerà a sud
del confine.
Lei e Robo aprono un’officina artistica vicino al centro per traferirsi poi in una casa nella Valley, allora campagna. Nell’atelier, Robo tinge batik su sete pregiate che Tina trasforma in capi d’abbigliamento per signore raffinate. Vi sono letture, incontri e salotti – un giro di cui fanno parte, fra gli altri, l’architetti Lloyd Wright e Rudolph Schindler, appena giunto da Vienna. E c’è anche Edward Weston, destinato a consacrarsi fra i maggiori innovatori della fotografia artistica. Tina ne diviene la modella preferita e, a stretto giro, l’amante. Fra i due nasce una passione vertiginosa in cui la sperimentazione (Tina inizia ad assisterlo in camera oscura, nell’arte che fu di suo zio) si unisce all’attrazione fisica.
Weston è sposato con quattro figli e ha già un passionale rapporto con Margrethe Mather, singolare figura di artista, ex prostituta bohemiènne, bisessuale e libertina, anche lei dedita alla sperimentazione formale con la fotografia. Nell’ambiente dell’avanguardia losangelese si intrecciano collaborazioni creative e rapporti poliamorosi. Se non consenzienti Robo e la moglie di Weston sono sicuramente a conoscenza di quella fra Tina e Edward. E lo è anche Mather con cui Weston produce ancora lavori di prorompente forza erotica e innovativa. Nell’aprile del ’21 il fotografo confiderà a un amico: «La mia vita è assai ricca – forse anche troppo – non solo credo di aver prodotto del buon lavoro ultimamente, ma ho anche avuto una storia squisita… le foto che credo siano fra le mie migliori, sono di una certa Tina De Richey, una dolcissima ragazza italiana…».
Nel 1923 Robo parte per Città del Messico e inizia a organizzare una mostra cui dovrebbero partecipare anche Tina, Weston e Margrethe Mather. Lui morirà di vaiolo e per Modotti, che arriverà solo due giorni dopo, si aprirà un nuovo capitolo della vita. Ciudad De Mexico la seduce: entro un anno vi si trasferisce assieme stavolta a Weston, con cui inizia una proficua collaborazione, alla quale si affianca ben presto il lavoro documentario, a sfondo sociale.
Le foto di Modotti documentano il movimento operaio e la realtà campesina
che affascina anche lo stesso Weston e in quegli anni artisti come Sergej
Ejzenštejn. Il Messico post rivoluzionario è un calderone di sperimentazione
sociale tragicamente destinata a non arrivare mai a piena fruizione, ma che
produce un enorme fermento artistico e intellettuale. Tina è subito nel giro
dei muralisti, di Orozco, Siqueiros Diego Rivera e Frieda Khalo. I nuovi
sodalizi artistici e militanti per Tina conducono anche a un nuovo travolgente
amore, quello più grande, per il giovane rivoluzionario cubano Julio Antonio
Mella, co-fondatore del partito comunista cubano che, esule in Messico, dirige
in quegli anni il quotidiano anti-Machado, Cuba Libre.
Qui l’intreccio artistico, sentimentale e politico della vita di Tina Modotti si infittisce e si offusca, prende una svolta oscura e dolorosa. Il 10 gennaio del 1929 mentre rincasa con Tina, Mella viene assassinato. Il proiettile sparato a bruciapelo porta la firma del conflitto interno sempre più stridente che dilania il comunismo internazionale. Su mandanti ed esecutori dell’omicidio non si farà mai luce. Vengono fermate alcune persone poi rilasciate. Il delitto, in un primo tempo, viene imputato dal governo messicano proprio a Modotti che verrà strenuamente difesa da Diego Rivera. E molti ravvisano in un quadro del celebre pittore – En El Arsenal – gli indizi più attendibili. In quel quadro Tina è raffigurata mentre porge una cintura di munizioni all’amato Mella. Dietro di loro incombe con cipiglio minaccioso Vittorio Vidali.
Il comunista istriano è l’ultimo uomo che segna la vita della Modotti, ma molti vedono in questo staliniano di ferro – enforcer della linea del comintern stalinista, agente del Nkvd che sarà implicato nella morte anche di Trotsky – il carnefice più plausibile di Mella. Sono illazioni fosche, sintomatiche degli opachi conflitti ideologici dell’epoca, mai dimostrate ma che non impediscono che sulla relazione fra Modotti e Vidali continui a gravare il sospetto di un rapporto strumentale, venato di plagio e di violenza. Tina resterà al suo fianco, lo seguirà a Mosca poi nella guerra di Spagna – dove l’ormai ex fotografa opera nel soccorso rosso. È l’ultimo sodalizio che durerà fino alla fine della sua straordinaria vita. Tina Modotti morirà nel gennaio 1942, in un taxi, nell’amato Messico dov’era tornata, per un presunto infarto.
Il manifesto – 25 agosto 2018
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