Al Palazzo Reale di
Milano 80 ritratti scandiscono da Matisse a Bacon la storia artistica
del Novecento
Dario Pappalardo - Il volto del ‘900
“Dimenticare I coniugi Arnolfini”. Il motto del Novecento per chi si confronta con il genere ritratto potrebbe essere questo. Gli artisti del secolo breve spazzano via la perfetta quiete e aderenza mimetica della tavola fiamminga di Jan Van Eyck, punto di riferimento per la ritrattistica di età moderna. Lì gli sposi borghesi raffigurati nell’interno domestico sono perfettamente padroni del loro status. E l’artista, con la sua opera, è lo strumento che esalta la loro condizione sociale. Nel Novecento tutto questo non sarà più così semplice. Pittura e scultura devono ormai combattere la nemica numero uno: la fotografia. Nadar e soci hanno tolto agli artisti la possibilità della realtà. Il dagherrotipo sostituisce via via la tela a olio da esporre nel sa-lotto buono. La sfida dei maestri del colore alla camera oscura è l’alimento delle avanguardie. Futuristi, cubisti, espressionisti, fauve scompongono la figura umana. Ormai introdotta la psicoanalisi –L’interpretazione dei sogni di Sigmund Freud è del 1899 – è chiaro che ritrarre il fuori – il corpo – e il dentro – la mente – sono la stessa cosa.
Con queste premesse
si può affrontare il viaggio intorno alle ottanta opere provenienti
dal Centre Pompidou di Parigi, in mostra da oggi (e fino al 9
febbraio 2014) al Palazzo Reale di Milano. Tanti sono i capolavori
assoluti.Il volto del ’900– esposizione a cura di Jean-Michel
Bouhours, promossa e prodotta per il Comune di Milano - Cultura,
Palazzo Reale da MondoMostre e Skira editore (che stanno sviluppando
un programma di iniziative comuni) – nella prima sezione, “I
misteri dell’anima”, si incarna nelle nuove figure femminili che
aprono il secolo. Hanno occhi bistrati, pose impudiche, gesti di
sensualità consapevole e mostrano i segni di un’inquietudine
profonda. Vanno in questa direzione le eroine di Matisse (Odalisca in
pantaloni rossi),di Chabaud (Yvette o il vestito a quadri), di
Marquet (Nudo sul divano), di Kupka (Rossetto),di Modigliani
(Ritratto di Dédie).Sono le sorelle maggiori, di pochi anni, delle
femme fatale del cinema, delle Louise Brooks e delle Marlene che
verranno.
Modigliani, Ritratto di Déde (1918) |
La seconda stazione
della mostra, “Autoritratti”, affronta il tema cruciale
dell’autorappresentazione dell’artista. Se fino all’età
moderna l’autoritratto è la firma apposta alla propria opera, il
segno indelebile di un passaggio – vedi Raffaello come Caravaggio,
confusi tra i loro personaggi – con il Novecento raffigurare se
stessi significa restituire un’idea di poetica e di mondo. Ecco
allora Gino Severini, che fraziona lo spazio occupato dal suo volto
nell’ottica di un futurismo maturo. Adottano lenti distorcenti
anche Maurice de Vlaminck e Robert Delaunay, ma in loro la
correttezza della figura è sostanzialmente conservata. Il fuori e il
dentro esploderanno più avanti con Francis Bacon (in mostra c’è
un autoritratto del 1971) e Zoran Music, protagonista di un self
portrait quasi in dissolvenza.
“Il volto alla prova del Formalismo”, terzo capitolo della mostra, si concentra sulla testa, come parte (ritratta) per il tutto. Il rapporto con l’arte primitiva, riscoperta all’inizio del Novecento, diventa qui più evidente, soprattutto se si guardano le sculture. È il caso della Musa addormentata di Brancusi, delle “teste” di Lipchiz, Laurens, González, Csaky, Derain.
Picasso, Ritratto di donna (1938) |
Il Surrealismo –
vedi la tappa numero quattro dell'allestimento, “Volti in sogno”
– fa anche del ritratto materiale onirico. Se per Breton «il
surreale è il vero volto della vita», la massima allora vale anche
per René Magritte: per la sua Georgette con bilboquet, che sembra il
riflesso di un fantasma gotico, e per Lo stupro, dove la figura
femminile viene “fraintesa”, scomposta: i seni sono gli occhi e
il sesso la bocca.
Tra Picasso, Giacometti, Baselitz e Dubuffet, nella sezione “Caos e disordine” non poteva che riaffiorare Francis Bacon con il suoRitratto di Michel Leiris,icona e summa della ritrattistica di secondo Novecento. A David Sylvester che gli chiede quale sia il suo approccio al ritratto, l’artista irlandese dà una risposta che sintetizza la grande rivoluzione che il genere affronta nel corso del Novecento: «Ogni forma che fai ha un’implicazione, e dunque, quando dipingi qualcuno, sai che naturalmente stai tentando di avvicinarti non solo alla sua apparenza ma anche al modo in cui questo qualcuno ti ha toccato, perché ogni forma ha un’implicazione ». A caccia di quella “implicazione”, oltre il bello, oltre quello che si vede, vanno gli artisti del Novecento.
Bacon, autoritratto (1971) |
La sesta sezione “Dopo
la fotografia” li racconta alla guerra con il mezzo che li ha
“superati”. I pittori tornano a puntare sul colore, sulla
possibilità di interpretare in una maniera personale e “unica”
il soggetto ritratto. Come fa Erró con Stravinsky o Derain con
Francisco Iturrino. Chuck Close con il suo realismo fotografico della
fotografia sembra quasi prendersi gioco. A chiudere la mostra è il
capitolo sulla “Disintegrazione del soggetto” con i film degli
anni Sessanta di Kurt Kren e Paul Sharits: qui i volti diventano
materia di studio ossessivo. L’obiettivo è lo stesso che impronta
tutto il Novecento: scoprire cosa il volto nasconda davvero.
(Da: La Repubblica del 25 settembre 2013)
Caro Franco, io sono andato a vedere questa mostra sabato scorso.
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