Depero
Gramsci e Trockij
Gramsci, Marinetti e il futurismo
Giorgio Amico
L'interesse di Gramsci per il futurismo ha radici profonde. Già nel maggio 1913, ancora studente, interviene sul Corriere Universitario di Torino in difesa dei futuristi violentemente attaccati dalla rivista bolognese San Giorgio, organo di gruppi cattolici integralisti e reazionari.
Per Gramsci il fenomeno futurista si comprende solo inserendolo nel contesto della rivoluzione formale operata in quegli anni dalle avanguardie artistiche europee. Non di bizzarrie si tratta, ma di un radicalismo formale ricercato e consapevole, della volontà decisa di rifondare il discorso artistico nell'ottica di una modernità vissuta come rivoluzionaria. La teoria paroliberistica di Marinetti è della stessa natura degli esperimenti di Picasso. Ardita intuizione che la dice lunga sulle capacità di lettura critica del giovanissimo intellettuale già allora impegnato in uno sforzo di comprensione di quella Torino operaia, città-fabbrica, simbolo della modernità e del macchinismo che tanto affascina i futuristi Depero, Farfa, Fillia.
Torino, esempio paradigmatico di moderna metropoli in formazione, nodo di contraddizioni, dove il rapporto uomo-macchina è l'asse attorno a cui si stanno riorganizzando tempi e spazi di lavoro e di vita. Gramsci sottolinea con acutezza il rapporto vitale dei futuristi con lo specifico della città industriale, luogo del mutamento permanente, di una radicale de-costruzione del presente . E' nella metropoli che si realizza il processo di distruzione del passato in un'ottica di incessante rinnovamento. E' lì che devono operare i rivoluzionari: su questa visione strategica ordinovisti e futuristi sono in assoluta sintonia.
L'attenzione di Gramsci per il fenomeno futurista, che non verrà mai meno neppure nelle avverse condizioni del carcere e dell'isolamento politico, costituisce un'ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, della capacità del leader ordinovista di cogliere la complessità della situazione italiana e di intuire l'importanza non secondaria della questione “culturale” nella battaglia per l'egemonia, ma soprattutto della centralità del tema delle alleanze, raccogliendo e reindirizzando in senso autenticamente rivoluzionario la violenta (ma confusa e contraddittoria) carica antiborghese delle avanguardie intellettuali dannunziane e futuriste.
Dall'osservatorio privilegiato della Torino città-fabbrica, Gramsci capisce che non confrontarsi con i futuristi significa abbandonarli al richiamo forte dell'attivismo fascista che a gran voce rivendica la rappresentanza in chiave antisistema della modernità e della gioventù. Da qui il tentativo operato dall'Ordine Nuovo di inserirsi nei contrasti manifestatisi a Torino fra futuristi e fascisti, agganciandosi a chi, come Fillia e Farfa, sul versante futurista si proponeva apertamente di collegare le iniziative artistico-culturali con la vita quotidiana delle masse operaie a partire proprio dalla fabbrica e dal rapporto uomo-macchina.
E' in questo contesto che va collocato l'articolo sull'Ordine Nuovo del gennaio 1921, e la creazione, sempre nello stesso mese, dell'Istituto di Cultura Proletaria (Proletkultur) con lo scopo dichiarato di rendere i “produttori” protagonisti anche della battaglia di rinnovamento rivoluzionario dell'arte e della cultura, con il compito inedito di contribuire alla creazione una intellettualità di massa di “tipo nuovo” di cui la modernità macchinista della metropoli ha creato i presupposti.
Un progetto, quello gramsciano, che trova autorevoli sponde nel gruppo dirigente dell'Internazionale comunista ed in particolare in quel Lunacarskij, che ben conosceva (anche per frequentazione diretta avendo soggiornato a lungo in Italia fra il 1905 e il 1912) Filippo Tommaso Marinetti e il movimento futurista.
Un tentativo di avvicinamento che si concretizza nella partecipazione organizzata nella primavera del 1922 di una folta delegazione di operai ordinovisti alla esposizione futurista torinese, accolti e guidati dallo stesso Marinetti che, come riportato con rilievo da L'Ordine Nuovo, “si prodigò largamente a spiegare il significato pittorico dei singoli quadri e il valore del futurismo in genere”.
Ancora più significativa (siamo a pochi mesi dalla marcia su Roma) l'iniziativa nel giugno 1922 dell'Istituto di Cultura Proletaria di editare e diffondere in ambiente operaio un libretto di poesie dal titolo “1+1+1=1 Dinamite, versi liberi”.
L'iniziativa, pensata come momento di raccolta di fondi a favore delle vittime della violenza squadrista, veniva presentata su L'Ordine Nuovo come autenticamente futurista: “Gli autori dei versi liberi contenuti in questa Dinamite sono giovani pervasi da quello spirito innovatore che va sotto il nome di... futurismo... e che è nella sua vera essenza eminentemente rivoluzionario”. Fra i collaboratori dell'iniziativa spicca il nome di Luigi Colombo, più conosciuto come Fillia, esponente di primo piano del futurismo torinese e stretto collaboratore di Marinetti. Suoi sono ben cinque degli undici poemi che compongono la raccolta.
Tentativi che non avranno seguito, per il precipitare della situazione con la marcia su Roma, ma anche per l'immediato intervento censorio della direzione bordighista del Pcd'I che sul quotidiano del partito, Il Comunista, condanna drasticamente le tendenze avanguardistiche e le aperture ai futuristi della Federazione giovanile e del Proletkult ordinovista.
(Estratto da: Giorgio Amico, Futurismo a Savona. Omaggio a Stelio Rescio, Savona 2009)
L'interesse di Gramsci per il futurismo ha radici profonde. Già nel maggio 1913, ancora studente, interviene sul Corriere Universitario di Torino in difesa dei futuristi violentemente attaccati dalla rivista bolognese San Giorgio, organo di gruppi cattolici integralisti e reazionari.
Per Gramsci il fenomeno futurista si comprende solo inserendolo nel contesto della rivoluzione formale operata in quegli anni dalle avanguardie artistiche europee. Non di bizzarrie si tratta, ma di un radicalismo formale ricercato e consapevole, della volontà decisa di rifondare il discorso artistico nell'ottica di una modernità vissuta come rivoluzionaria. La teoria paroliberistica di Marinetti è della stessa natura degli esperimenti di Picasso. Ardita intuizione che la dice lunga sulle capacità di lettura critica del giovanissimo intellettuale già allora impegnato in uno sforzo di comprensione di quella Torino operaia, città-fabbrica, simbolo della modernità e del macchinismo che tanto affascina i futuristi Depero, Farfa, Fillia.
Torino, esempio paradigmatico di moderna metropoli in formazione, nodo di contraddizioni, dove il rapporto uomo-macchina è l'asse attorno a cui si stanno riorganizzando tempi e spazi di lavoro e di vita. Gramsci sottolinea con acutezza il rapporto vitale dei futuristi con lo specifico della città industriale, luogo del mutamento permanente, di una radicale de-costruzione del presente . E' nella metropoli che si realizza il processo di distruzione del passato in un'ottica di incessante rinnovamento. E' lì che devono operare i rivoluzionari: su questa visione strategica ordinovisti e futuristi sono in assoluta sintonia.
L'attenzione di Gramsci per il fenomeno futurista, che non verrà mai meno neppure nelle avverse condizioni del carcere e dell'isolamento politico, costituisce un'ulteriore conferma, se mai ce ne fosse bisogno, della capacità del leader ordinovista di cogliere la complessità della situazione italiana e di intuire l'importanza non secondaria della questione “culturale” nella battaglia per l'egemonia, ma soprattutto della centralità del tema delle alleanze, raccogliendo e reindirizzando in senso autenticamente rivoluzionario la violenta (ma confusa e contraddittoria) carica antiborghese delle avanguardie intellettuali dannunziane e futuriste.
Dall'osservatorio privilegiato della Torino città-fabbrica, Gramsci capisce che non confrontarsi con i futuristi significa abbandonarli al richiamo forte dell'attivismo fascista che a gran voce rivendica la rappresentanza in chiave antisistema della modernità e della gioventù. Da qui il tentativo operato dall'Ordine Nuovo di inserirsi nei contrasti manifestatisi a Torino fra futuristi e fascisti, agganciandosi a chi, come Fillia e Farfa, sul versante futurista si proponeva apertamente di collegare le iniziative artistico-culturali con la vita quotidiana delle masse operaie a partire proprio dalla fabbrica e dal rapporto uomo-macchina.
E' in questo contesto che va collocato l'articolo sull'Ordine Nuovo del gennaio 1921, e la creazione, sempre nello stesso mese, dell'Istituto di Cultura Proletaria (Proletkultur) con lo scopo dichiarato di rendere i “produttori” protagonisti anche della battaglia di rinnovamento rivoluzionario dell'arte e della cultura, con il compito inedito di contribuire alla creazione una intellettualità di massa di “tipo nuovo” di cui la modernità macchinista della metropoli ha creato i presupposti.
Un progetto, quello gramsciano, che trova autorevoli sponde nel gruppo dirigente dell'Internazionale comunista ed in particolare in quel Lunacarskij, che ben conosceva (anche per frequentazione diretta avendo soggiornato a lungo in Italia fra il 1905 e il 1912) Filippo Tommaso Marinetti e il movimento futurista.
Un tentativo di avvicinamento che si concretizza nella partecipazione organizzata nella primavera del 1922 di una folta delegazione di operai ordinovisti alla esposizione futurista torinese, accolti e guidati dallo stesso Marinetti che, come riportato con rilievo da L'Ordine Nuovo, “si prodigò largamente a spiegare il significato pittorico dei singoli quadri e il valore del futurismo in genere”.
Ancora più significativa (siamo a pochi mesi dalla marcia su Roma) l'iniziativa nel giugno 1922 dell'Istituto di Cultura Proletaria di editare e diffondere in ambiente operaio un libretto di poesie dal titolo “1+1+1=1 Dinamite, versi liberi”.
L'iniziativa, pensata come momento di raccolta di fondi a favore delle vittime della violenza squadrista, veniva presentata su L'Ordine Nuovo come autenticamente futurista: “Gli autori dei versi liberi contenuti in questa Dinamite sono giovani pervasi da quello spirito innovatore che va sotto il nome di... futurismo... e che è nella sua vera essenza eminentemente rivoluzionario”. Fra i collaboratori dell'iniziativa spicca il nome di Luigi Colombo, più conosciuto come Fillia, esponente di primo piano del futurismo torinese e stretto collaboratore di Marinetti. Suoi sono ben cinque degli undici poemi che compongono la raccolta.
Tentativi che non avranno seguito, per il precipitare della situazione con la marcia su Roma, ma anche per l'immediato intervento censorio della direzione bordighista del Pcd'I che sul quotidiano del partito, Il Comunista, condanna drasticamente le tendenze avanguardistiche e le aperture ai futuristi della Federazione giovanile e del Proletkult ordinovista.
(Estratto da: Giorgio Amico, Futurismo a Savona. Omaggio a Stelio Rescio, Savona 2009)
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