"Collage" di Salvatore Cangelosi (Istituto Poligrafico Europeo editore)
Da questo libro, ancora fresco di stampa, in anteprima pubblico un brano dell'intervista che S. Cangelosi ha fatto a Santo Lombino.(fv)
Quando hai iniziato a studiare il fenomeno delle migrazioni, ad occupati delle vite degli altri
La storia non è breve. La prima migrazione di cui mi sono interessato è quella interna all'Italia, dal sud al nord, negli anni sessanta. Era, e non solo per me, uno dei problemi più grandi della società italiana, e ne parlavano i libri di Rocco Scotellaro e di Danilo Dolci, oltre che settimanali, quotidiani, mensili. Leggevo allora "Dimensioni" rivista promossa dai Salesiani, che affrontava la "questione meridionale" in atto. I giornali prodotti dai gruppi che facevano riferimento al movimento operaio e studentesco degli anni successivi al '68, di cui ero avidissimo lettore, ne trattavano abbondantemente. Ricordo una pagina intera de "La classe" o "Potere operaio" intitolata "11 milioni di emigrati". Ritagliai gli articoli, riprodussi i grafici con le cifre del fenomeno, ci organizzai una mostra che fu poi prestata ai "compagni" di un paese vicino: come tutte o quasi le cose prestate, quei pannelli non tornarono indietro. Ma anche il mio paese era spopolato dall'esodo, e quasi tutti i miei compagni delle scuole elementari erano partiti per varie destinazioni. Come redattore di un ciclostilato locale, intitolato "Test" prendendo a prestito il nome di un quindicinale giovanile illustrato che veniva dalla Toscana (mi pare redatto da Sandra Bonsanti e Gianni Toti), pubblicai nel 1969 la testimonianza di un mio concittadino che era stato tra il 1961 e il 1963 in Germania a lavorare come carpentiere con altri giovani che avevano seguito in paese un corso organizzato o finanziato dalla Comunità Europea. Scrissi a mano sulla matrice del ciclostile il titolo dell'articolo, "Emigrare", che conservo ancora. Negli anni successivi mio padre andò per un breve periodo come muratore a lavorare negli Stati Uniti, nel New Jersey, dove si era formata nel tempo una grossa colonia di oriundi da Bolognetta, il mio paese. Centinaia di famiglie si erano trasferite in quella zona e mantenevano solidi legami con le famiglie di origine. Anche la mia famiglia, e quella d mia moglie, aveva stretti parenti in quello stato, cosicchè nel 1977 andai in viaggio di nozze a trovarli. Nel frattempo emigrai anch'io, mi impiegai come ferroviere in Calabria, dove ho fatto l'assistente di stazione a Lamezia terme Centrale, e pio vinsi il concorso per insegnare nella scuola media in Lombardia, dove rimasi sei anni. Nel 1984 con gli amici del "Centro iniziative culturali" di Bolognetta, che avevo contribuito a far nascere dopo la crisi della sinistra rivoluzionaria, organizzammo la prima festa degli emigrati, con inevitabile mostra fotografica e altrettanto inevitabile dibattito pubblico. Nel 1987, alla seconda festa degli emigrati, ricevemmo cento compaesani arrivati con un aereo dagli Stati Uniti. Non c'era Tommaso Bordonaro, che si fece vivo l'anno successivo con i suoi quaderni...
Così arriviamo al caso "Bordonaro", tu sei stato l'artefice di quella clamorosa scoperta.
Nell'estate del 1988 venne in paese dagli Stati Uniti il pensionato Tommaso Bordonaro, che era emigrato nel 1947 da Bolognetta nel New Jersey. Pare che abbia chiesto in paese a chi poteva rivolgersi per poter pubblicare un suo libro, e gli fu indicato il mio nome. Bordonaro venne a trovarmi in compagnia di un suo amico e mi chiese se potessi leggere tre quaderni da lui scritti, da lui intitolati "La storia di tutta la mia vita da quando io rigordo ch'ero un bambino". Nel caso li ritenessi degni di essere pubblicati, mi chiedeva se potessi informarmi sui costi della stampa.
La lettura del memoriale fu per me una vera illuminazione. Avevo militato nei movimenti operai e studenteschi, mi ero formato alla scuola di don Lorenzo Milani e della "Lettera ad una professoressa", seguivo gli insegnamenti di Tullio De Mauro e della linguistica democratica, avevo imparato da Francesco Carbone, grande e poliedrico intellettuale mio conterraneo, ad apprezzare la "scrittura povera" di pastori e contadini, avevo partecipato l'anno prima a Rovereto (Trento) ad un convegno sulle scritture popolari, ero quindi in qualche modo munito delle kantiane "lenti" che mi permettevano di capire cosa avevo davanti. Per me il racconto di Bordonaro, oltre che un documento linguistico, era, come ho scritto più volte, una "sonda" che mi permetteva di sentire empaticamente come vivevano e pensavano i contadini della mia terra nei sessanta anni precedenti. Di quei sentimenti e di questi comportamenti i libri o i miei genitori poco mi avevano comunicato.
Quei racconti di Bordonaro mi interessavano anche per capire come negli anni settanta la rivoluzione che noi giovani cercavamo non avesse vinto, come era diversa la visione del mondo ed i comportamenti della popolazione del mio paese e penso di tutto il meridione rispetto alla "coscienza di classe" del proletariato industriale dell'Italia centro-settentrionale. Apprezzai Bordonaro per la sua semplicità e per la sua autenticità, per il suo amore per la memoria, per il suo senso del dovere, per il suo "eroismo della quotidianità", come disse Franco Lo Piparo durante un incontro pubblico che organizzai sul libro di Bordonaro.
Per gli aspetti pratici, mi informai e telefonai al contadino-emigrato-scrittore per fargli sapere quanto sarebbe costato stampare in un libro i suoi tre quaderni autobiografici. Per lui il costo era troppo alto, così gli chiesi l'autorizzazione a inviarlo al Premio nazionale per il miglior scritto inedito, inventato a Pieve Santo Stefano, in quel di Arezzo, dal giornalista e scrittore Saverio Tutino. Il resto è storia nota...
Bella storia con l'intreccio tra passione, umanità d'animo ed esperienza di vita. Santo è sempre un maestro per tanti di noi
RispondiEliminaE' sempre un piacere sentirti raccontare delle tue ricerche, dei tuoi studi. Sei un patrimonio per tutti noi. Complimenti sempre!
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