Questa mattina voglio ricordare Pio la Torre, assassinato a Palermo 40 anni fa, con le parole di Enrico Berlinguer. Ho conosciuto entrambi, avendo militato nello stesso partito che non esiste più da tempo
Ogni giorno che passa mi appare
sempre più chiaro che sono stati i primi ad essere stati traditi e
dimenticati. (fv)
L' ULTIMO SALUTO DI ENRICO BERLINGUER
A PIO LA TORRE
Siamo
qui a rivolgere l’ultimo saluto al compagno Pio La Torre ed al
compagno Rosario Di Salvo, dopo che per ben due giorni sono sfilati
davanti alle loro salme migliaia e migliaia di cittadini: militanti
comunisti, uomini e donne semplici, bambini, intere famiglie.
Ma
non solo qui a Palermo, e non solo in Sicilia, si è pianto per i
nostri due cari compagni. Nelle fabbriche, nelle piazze, in tutti i
centri del Paese la notizia dell’infame delitto ha sollevato
un’ondata di commozione e di sdegno.
E tutte le autorità dello
Stato – a cominciare dal Presidente della Repubblica, che oggi è
qui con noi, insieme ai rappresentanti del Parlamento, del Governo,
della Regione, dei Partiti, delle Organizzazioni sindacali e di
massa, della Stampa — hanno reso omaggio a Pio La Torre e Rosario
Di Salvo, al loro coraggio, alla loro esemplare milizia politica
tutta dedicata alla lotta per la giustizia.
Pio La Torre e Rosario
Di Salvo: un prestigioso dirigente e un appassionato militante del
nostro Partito, quasi uniti da un comune destino! Erano tornati
ambedue da poco tempo in una trincea di prima linea, qual è quella
contro il terrorismo politico mafioso che da anni insanguina la terra
di Sicilia.
Rosario Di Salvo da qualche anno aveva lasciato il
lavoro di autista nell’apparato tecnico del Partito e si era
dedicato con successo ad una attività (ragioniere in una
cooperativa) che gli consentiva di fare fronte un po’ meglio alle
necessità della famiglia: la moglie e tre bambine.
Ma ecco che
questo compagno, proprio quando Pio La Torre è rientrato a Palermo
con l’incarico di segretario regionale del PCI, abbandona la sua
occupazione e chiede di tornare a fare l’attività di Partito.
«
Guadagnerò di meno, dice, ma questa è la mia vita. Mia moglie ora
fa dei ricami in casa. Ce la faremo lo stesso ». Ecco chi era Di
Salvo: un compagno mosso da una profonda irresistibile passione
politica, da uno spirito di assoluta fedeltà al Partito, di cui
vedeva la ripresa di iniziativa e di slancio, con una soddisfazione
che lo ripagava delle pene e dei rischi che egli valutava bene, come
dimostra il fatto che egli ha estratto la sua ‘pistola ed ha
sparato cinque colpi, che forse hanno ferito uno degli
assassini.
Anche Pio La Torre aveva compiuto la scelta di un
ritorno, ben sapendo che si trattava della scelta di un posto di
lotta e di lavoro pieno di difficoltà e di pericoli.
Era tornato
a Palermo da otto mesi, come segretario regionale, su sua
richiesta.
Pio La Torre era nato nel 1927 in una famiglia di
piccoli contadini dell’agro palermitano, a Mezzomonreale, a poche
centinaia di metri in linea d’aria dal luogo dove poi ha trovato la
morte.
Nel 1945 si iscrive alla FGCI, di cui diventa dirigente.
Poco dopo, come responsabile di organizzazione della Federazione di
Palermo, partecipa alle lotte dei contadini del Corleonese dove già
impera, giovanissimo, il mafioso Liggio.
Era quello il periodo nel
quale il nostro Partito in Sicilia era diretto dal compagno Girolamo
Li Causi, il primo dirigente politico che alzò la bandiera della
lotta contro la mafia andando a sfidarne i capi a Villalba, dove fu
ferito.
Nel corso di una manifestazione per la terra dei contadini
di Bisacquino nel marzo 1950, La Torre viene arrestato e resta in
carcere per un anno e mezzo .
È di quel periodo una sua bella
lettera al compagno Paolo Bufalini, allora segretario della
Federazione di Palermo, che l’«Unità» ha pubblicato
ieri.
Scriveva il giovane La Torre: « In questi ultimi anni il
popolo siciliano ha dato prova di sapersi battere generosamente per
conquistarsi un regime di libertà, di progresso e di pace. Ha dato
la vita di alcuni dei suoi figli migliori nella lotta contro la mafia
che si opponeva allo sviluppo delle organizzazioni democratiche dei
comuni della nostra isola: da Miraglia, a Li Puma, a Rizzotto, a
Cangelosi ».
Quella prima tragica lista, che La Torre ricordava
nel febbraio 1951, si è poi terribilmente allungata, e oggi la
conclude l’ultima vittima, proprio lui, La Torre, caduto per quegli
stessi principi che allora annunciava, alla vigilia del 35°
anniversario della strage di Portella delle Ginestre.
Lo stesso
compagno Bufalini, in una lettera dell’ottobre 1954 alla Direzione
del Partito, nella quale si proponeva di inviare La Torre alla Scuola
Centrale del Partito, ricorda lo sforzo del nostro compagno scomparso
per legare le sezioni cittadine del Partito alle masse popolari dei
quartieri, facendo delle sezioni stesse il centro di un movimento
popolare largo contro il tugurio, per la casa e per la libertà: «Il
compagno La Torre si giovò in questo lavoro della sua profonda
conoscenza delle condizioni materiali e di vita e dell’animo del
popolo palermitano. Il movimento ci fu, fu un movimento profondo, di
base, portò al costituirsi di larghe alleanze, anche al vertice
».
In queste parole lontane ormai quasi trent’anni, c’è
l’indicazione di una concezione del partito e di uno stile di
lavoro che sono gli stessi che ritroviamo nell’impegno di questi
ultimi otto mesi.
Nel 1952 il compagno La Torre, convinto che
fosse necessario liberare il movimento sindacale — come egli
affermava — da elementi di burocratismo e di corporativismo, chiese
di passare al lavoro nel sindacato c divenne segretario della Camera
del lavoro palermitana. Nello stesso anno fu eletto deputato
all’Assemblea Regionale Siciliana.
Successivamente La Torre fu
segretario regionale della CGIL, e dal 1962 — in un momento anche
allora difficile — segretario regionale del Partito, incarico
mantenuto fino al 1967, quando divenne segretario della Federazione
di Palermo.
Nel 1969 il compagno La Torre — che dal IX Congresso
era membro del Comitato Centrale e dall’XI membro della Direzione —
fu chiamato a Roma dove ricoprì gli incarichi di responsabile della
Sezione agraria e poi della Sezione meridionale.
Ma, come diceva
di se stesso un altro amatissimo compagno recentemente scomparso,
Feliciano Rossitto, La Torre era « un siciliano all’estero », e
proprio nel senso migliore: nei suoi incarichi di carattere
nazionale, infatti, egli mai perse il contatto con quella realtà
siciliana di cui conosceva le ingiustizie profonde e del cui popolo
si sentiva parte.
Nel 1972 La Torre è eletto deputato nazionale e
inizia qui la sua intensa attività che con particolare passione e
acuta intelligenza egli svolgerà nel lungo e complesso lavoro della
Commissione parlamentare antimafia, della quale poi sarà relatore di
minoranza.
Al XV Congresso del Partito, nel 1979, Pio La Torre fu
eletto membro della Segreteria. E qui, ancora una volta, egli seppe
dimostrare grandi doti di iniziativa, di inventiva, di tempestività,
di senso pratico.
Ricordo un episodio assai significativo.
Appena
ebbe notizia del terremoto in Campania ed in Basilicata, Pio La Torre
corse al suo ufficio in Via delle Botteghe Oscure, chiuso per il
giorno festivo.
Di lì, senza esitazioni e indugi, cominciò a
tempestare di telefonate le Federazioni e i Comitati Regionali
dell’Emilia, della Toscana, di mezza Italia, dando indicazioni
perché immediatamente, la notte stessa, partissero i primi soccorsi
alle popolazioni terremotate.
E fu così che il giorno dopo,
all’alba, nei paesi del terremoto dove ancora non si era sentita la
minima presenza delle autorità pubbliche (e tutti ricordiamo la
vigorosa denuncia che di ciò fece il Presidente della Repubblica),
arrivarono i camions delle Sezioni e Federazioni del PCI e della FGCI
e delle Amministrazioni di Sinistra.
Al centro del Partito, egli
ha lavorato bene, guadagnandosi la stima e l’affetto dei compagni,
affermandosi con crescente prestigio nel Parlamento, tra le altre
forze politiche, tra gli avversari.
Nella Segreteria e
nell’Ufficio di segreteria del Partito, è stato un uomo prezioso.
Dotato di una giusta visione politica generale, sempre più
arricchitosi — nel corso di oltre trent’anni di ininterrotta
faticosa milizia politica — di sensibilità e interessi culturali
vari ed ampi, Pio La Torre, nella sua attività di dirigente
nazionale del Partito, si avvantaggiava di una sua lunga esperienza,
di base e periferica, di lotta e di organizzazione. Si avvantaggiava
dell’esperienza e affinata capacità di uno che non si limita a
fare sfoggio delle parole « masse », « partecipazione », « lotta
», « costruzione », ma conosce bene le masse dei lavoratori, le
masse popolari, e prime fra tutte quelle della sua terra, della sua
Sicilia, e del Mezzogiorno; di uno che sa per diretta esperienza che
cosa sia la vita dei contadini, dei lavoratori, che cosa sia il
movimento delle masse, da quali semplici e profonde ragioni
scaturisca, come lo si susciti, lo si organizzi e lo si diriga: tutte
cose imparate dalla gavetta, nella ascesa dagli incarichi più
modesti fino a quelli massimi, nel sindacato e nel partito: da
costruttore di leghe di braccianti e di minatori, di cooperative di
contadini senza terra, a costruttore di sezioni del partito, nel più
remoto villaggio di Sicilia, o nella città di Palermo, nei suoi
mandamenti, nelle sue borgate; a costruttore e dirigente di
federazioni del partito.
Per tutto questo, e per altre doti, La
Torre a Roma non si limita a contribuire alla elaborazione di una
linea politica, e ad esporla in modo limpido, con semplicità e
concretezza — come si può constatare rileggendo i suoi articoli —,
ma sa muovere le leve che servono a mobilitare e dirigere il Partito,
in campagne e battaglie specifiche, determinate; con l’obiettivo di
condurle ad una conclusione positiva, nell’interesse delle masse
lavoratrici e del Paese; ad un successo pur limitato e parziale, ma
che sia una nuova conquista, da cui muovere per altre battaglie, per
nuovi progressi. Vi erano in La Torre — così maturatosi —
ampiezza di vedute e attivismo.
Ecco perché dispiaceva, al centro
nazionale del Partito, privarsi della presenza — operosa, generosa,
cordiale — di La Torre. E a Roma egli era ben ambientato, con la
sua famiglia, con gli amici.
Tuttavia egli chiese, con tenacia e
forza di volontà, di tornare in Sicilia, nella sua terra: dove aveva
visto nel corso degli anni la situazione aggravarsi sempre di più;
dove vedeva i compagni chiamati a far fronte a compiti e battaglie
sempre più difficili ed aspre, ad esporsi a tutti i rischi. Altro
che «proconsole» inviato da Roma in Sicilia — come qualcuno, per
la verità isolato, nel grande coro di commossi ed alti
riconoscimenti dati dalla stampa a Pio La Torre, ha scritto! Un
autentico siciliano, palermitano profondo è stato Pio La Torre, che
è voluto tornare nella sua terra per combattervi di persona e in
prima fila la lotta di redenzione del suo popolo, sfidando,
consapevole, ogni pericolo, e morendo!
Appena tornato La Torre in
Sicilia, hanno subito preso nuovo spicco i cardini della politica del
PCI nell’Isola, e, dall’Isola, dalla sua specifica condizione e
posizione, in tutta l’Italia.
La lotta per la pace, la
distensione, il disarmo; per la cooperazione dell’Italia con
l’Africa settentrionale e con il mondo arabo; per una giusta
soluzione della tragica questione medio-orientale, minacciosa ed
esplosiva; per fare del Mediterraneo un mare di pace; perché la
Sicilia faccia da ponte tra due sponde, tra due canali, nel segno
della pace, della cooperazione, del progresso, della cultura e della
civiltà — nella linea della sua migliore tradizione e storica
funzione.
La lotta contro la violenza mafiosa, fattasi sempre più
barbara, caratterizzata dai modi nuovi, odierni, della speculazione,
dallo sfruttamento, dalla seminazione di distruzione e di morte: al
primo posto, la droga. Caratterizzata dal dilagare di assassini
feroci. E caratterizzata da un tratto nuovo, di estrema gravità:
l’aggressione diretta, l’eliminazione fisica, feroce, di uomini
investiti di pubbliche funzioni e di uomini politici che dimostrano
coerente fermezza nell’adempimento dei loro doveri e nel
perseguire, seriamente e concretamente, un disegno di risanamento e
rinnovamento politico, sociale, civile.
Infine, come fondamento e
coronamento di tutte le battaglie, il promovimento e la costruzione
di una nuova unità del popolo siciliano, attraverso collaborazioni e
intese di tutte le sue forze popolari, di sinistra e democratiche più
avanzate, di tutte le sue forze oneste, sane, che aspirano alla pace
ed al progresso, che vogliono il rinnovamento.
Di tutte le forze
che veramente vogliono che si metta fine alle ingiustizie sociali, ai
crimini mafiosi, allo spargimento di sangue, agli agguati vili ed ai
barbari assassini, ai facili scandalosi arricchimenti, ai sistemi del
privilegio delle clientele e della corruttela, alla collusione della
mafia con il potere politico che produce omertà e fa da scudo
all’attività criminale; che si metta fine alla disoccupazione e
inoccupazione e prima di tutto a quella giovanile; di tutte le forze
che veramente vogliono riformare la vita ed il funzionamento della
Regione autonoma, facendo finalmente dell’Autonomia, che
storicamente è grande conquista del popolo siciliano, lo strumento
di autogoverno e controllo popolare, centro di aggregazione di tutti
i siciliani che aspirano ad uno sviluppo libero, sano, pulito,
trasparente, a una Sicilia rinnovata, in una Italia rinnovata, e
pacifica.
Questi, in Sicilia e per la Sicilia, i cardini, i
pilastri portanti, della linea del PCI, chiaramente concepiti,
attraverso una elaborazione continuamente aggiornata, da Pio La
Torre, e da lui concretamente perseguiti con passione, con tenacia e
decisione. Tutti hanno visto in lui un grande animatore, un
protagonista nella battaglia per Comiso, per stornare dalla Sicilia
la terrificante minaccia della distruzione atomica, per preservarne
la pace. Per questo scopo, egli, da un lato ha saputo mobilitare a
fondo, ampiamente, il Partito comunista e gli strati popolari da esso
influenzati; per altro verso, ha ricercato il collegamento e l’unità
con altre forze politiche ed ideali, che, pur muovendo da
impostazioni differenti, convergono su questo obiettivo di pace: nel
reciproco leale rispetto dell’individualità e autonomia di ogni
forza diversa.
Per quanto riguarda noi comunisti, ci siamo battuti
e ci battiamo — come il compagno La Torre aveva chiaramente
precisato — perché si sospendano i lavori di approntamento delle
basi per i missili a Comiso, in vista della ripresa e degli auspicati
progressi del negoziato Est-Ovest, con l’obiettivo della sicurezza
di tutti e dell’equilibrio al livello più basso.
Davanti al
feretro del compagno La Torre, tenace e intrepido combattente per la
causa decisiva della pace, caduto nel vivo di questa lotta proprio
nel momento in cui il movimento in Sicilia ha acquistato un’ampiezza
e un vigore grandi e quindi un peso effettivo; dinanzi al sacrificio
del compagno La Torre e del compagno Di Salvo — compagni, amici,
cittadini — noi prendiamo l’impegno di continuare a dare il più
grande contributo per sviluppare ulteriormente la battaglia per
Comiso e per la pace.
L’assassinio di La Torre e di Di Salvo non
la fermerà. Nel loro nome, lotteremo con impegno ancora
maggiore.
Tutti hanno visto come La Torre abbia condotto la
battaglia contro il sistema di potere mafioso, contro i suoi crimini.
Egli ne conosceva le forme nuove di attività, i metodi, le
connivenze, le interferenze e convergenze con settori e punti
determinanti della vita politica e amministrativa. Tutto ciò egli ha
denunciato, con serenità, con obiettività e misura, con
inflessibile coerenza e coraggio.
Dal Convegno sulla mafia,
promosso da noi a Palermo, con proposte nuove molto serie (come
quelle riguardanti gli accertamenti dei rapidi mutamenti patrimoniali
e dei facili arricchimenti); alla delegazione di Pio La Torre e di
altri parlamentari comunisti dal Presidente del Consiglio, prima
della nomina del generale Dalla Chiesa alla carica di Prefetto di
Palermo; vi è stato, con la direzione di La Torre, un coerente
sviluppo di una lotta concreta e seria contro il sistema di potere
mafioso e i suoi delitti.
Stroncato La Torre nel feroce e vile
agguato, noi, davanti al suo feretro, prendiamo l’impegno di
continuare con fermezza e intelligenza, con obiettività e coraggio,
questa lotta.
Perché hanno ucciso La Torre?
Perché hanno
capito che egli non era uomo da limitarsi a discorsi, analisi,
denuncie di una situazione, ma era un uomo che faceva sul serio. Era
uomo che, alla testa di un grande partito di lavoratori e di popolo,
di gente schietta e pulita, era capace di suscitare grandi movimenti,
di stabilire ampie alleanze con forze ed uomini sani, democratici di
altre tendenze; di prendere iniziative che colpivano nel segno. Era
capace di portare avanti una politica di rinnovamento, di giustizia
sociale, di sviluppo della Sicilia, di corretta e piena realizzazione
della sua autonomia, di unità contro il riarmo e per la difesa della
pace.
Proprio mandando avanti una tale politica, si recidono
radici, si toglie spazio al potere mafioso, alle sue rapine, alle sue
prevaricazioni, ai suoi dilaganti crimini efferati.
È del tutto
evidente che tale attività criminale è diretta, alimentata,
sviluppata da forze reazionarie, e assecondata da gruppi economici e
politici incapaci di concepire la ricerca di soluzioni dei loro
problemi in una visione politica ed economica di libero sviluppo
della Sicilia e della sua autonomia, della democrazia italiana, o in
una prospettiva di disarmo e di pace.
Ciò spiega come ogni uomo
che dimostri di volere perseguire un rinnovamento, e di avere
capacità e vigore, è considerato da queste forze un nemico, che si
deve fare fuori.
Questo è accaduto per uomini, fra loro molto
diversi, come Piersanti Mattarella e Pio La Torre, come Cesare
Terranova e Lenin Mancuso, come Gaetano Costa e Boris Giuliano e il
capitano dei carabinieri Emanuele Basile e molti altri, alla cui
memoria noi ci inchiniamo.
Noi chiediamo giustizia per loro, per
tutti i caduti per mano assassina! Ancora una volta incitiamo tutti i
compagni, tutti i cittadini, a dare piena collaborazione alla
polizia, alle forze dell’ordine, alla magistratura, a tutte le
autorità competenti. Chiediamo alle autorità, ad ogni livello, di
adoperare – tutti gli strumenti che, la Costituzione e le leggi
mettono a loro disposizione, con rigoroso rispetto democratico, con
penetrante impegno, con inflessibile fermezza.
Ci hanno strappato
uno dei nostri uomini migliori, un compagno fraterno, un dirigente
forte, come Pio La Torre.
Hanno spento, con vile ferocia, uno dei
figli migliori della Sicilia, che ha sempre lottato per la gente
povera, per la giustizia, per la rinascita di Palermo e
dell’Isola.
Un uomo, come ha detto il Vescovo Don Riboldi, buono
e pulito!
Hanno barbaramente stroncato un giovane compagno,
coraggioso e disinteressato, come Rosario Di Salvo. Vogliamo
giustizia; vogliamo verità; per loro, per tutti i caduti.
Nessuno
pensi di averci intimidito. Il Partito Comunista Italiano raccoglie
questa sfida.
Vigilerà, combatterà, recluterà nuovi militanti,
farà avanzare nuovi dirigenti. Lotterà, attraverso grandi movimenti
di massa, ampi, decisi, sollecitando le più larghe alleanze, per
mettere fine ai delitti, allo spargimento di sangue; per la giustizia
sociale, per uno sviluppo economico sano che assicuri a tutti lavoro;
per una unità del popolo siciliano, che isoli reazionari e mafiosi,
che permetta di realizzare il risanamento morale, il rinnovamento
politico e sociale, la piena attuazione, nella pace, della autonomia
siciliana e dei suoi scopi.
A nome di tutto il nostro Partito
ringrazio il Presidente della Repubblica, Sandro Pertini, per essere
venuto qui a Palermo a confermare la sua solidarietà al nostro
dolore, e la sua adesione all’impegno del popolo siciliano nella
lotta per la giustizia e per la libertà. Ringrazio il Presidente
della Camera, i rappresentanti del Senato, il Presidente del
Consiglio, tutte le altre autorità dello Stato e della Regione, le
delegazioni dei Partiti, dei Sindacati, delle Associazioni, degli
Organi di informazione.
Esprimo tutto il nostro affetto alla
moglie, ai figli ed ai familiari del compagno Pio La Torre e del
compagno Rosario Di Salvo. Nel loro immenso dolore per la perdita
irreparabile, sentano che Pio e Rosario sono stimati e amati e
saranno ricordati da una moltitudine di siciliani e di italiani come
due intrepidi combattenti che hanno lottato per la causa giusta.
A
voi, compagne e compagni della Sicilia, e ai compagni di tutta
l’Italia, diciamo: sull’esempio e nel nome dei compagni caduti
intensifichiamo l’impegno in una lotta più ampia e decisa dei
lavoratori e delle forze popolari per il riscatto della Sicilia, per
il rinnovamento dell’Italia; per la pace.
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