SENZA MODELLO
In questi tempi oscuri e privi di pensiero critico, nei quali sembra diventato impossibile formulare una concezione generale del mondo e della società, mi fa piacere ricordare alcune grandi figure, di cui sembra essersi perso perfino il ricordo. Una di queste è Theodor Wiesengrund Adorno (1903-1969), grande filosofo, sociologo e musicologo. Di lui voglio ricordare una conferenza tenuta nel 1960 nella sede della radio di Berlino Ovest, dal titolo “Ohne Leitbild”, “Senza modello”. Questa conferenza servì da introduzione a una serie di saggi di estetica, pubblicati con lo stesso titolo nel 1967. La traduzione italiana è apparsa, con il titolo di “Parva Aesthetica”, nel 1979, presso Feltrinelli. A questa edizione mi riferisco. Questi saggi brevi, come spesso accade, sono talvolta più interessanti delle grandi opere sistematiche; nel piccolo, nelle osservazioni sparse, il pensiero riluce con maggiore limpidezza. Che cosa significa “senza modello”? Adorno pensa a una tendenza, forte ai suoi tempi e ancora più forte oggi, a mitizzare il passato dell’arte, a vedervi un modello di perfezione estetica in cui tutto torna senza problemi. Questo sarebbe il “modello”. Contro questo ideale dell’arte come raggiungimento immobile e compiuto Adorno giustamente si scaglia e fa vedere che nelle opere autonome e riuscite non c’è nessuna quiete, è assente ogni forma di riposo. Al contrario. Esse nascono dalla lotta ingaggiata per liberarsi dallo stile, dal linguaggio generale dell’epoca che è la loro. Questo linguaggio è la base indispensabile per capire in che modo il grande artista lo mette in crisi, pur essendovi immerso. Troppo spesso invece un’opera è apprezzata per lo stile cui obbedisce, senza notare la frattura nei confronti di quest’ultimo nelle opere veramente grandi. Per cui si finisce col dimenticare ciò che di specifico queste ultime hanno e il sublime e il mediocre finiscono coll’identificarsi. Immortale è la frase contenuta nel saggio “Bach difeso dai suoi ammiratori: “Dicono Bach e intendono Telemann”. Per cui lo stile generale finisce per inghiottire la singola grandezza. “La canalizzazione tramite lo stile, le piste battute che consentono di seguirla senza sforzo eccessivo, vengono scambiate con la cosa stessa, con la realizzazione della sua oggettività specifica” (pp. 8-9). Per questo ogni opera è restituita alla sua capacità di elevarsi sulla lingua comune; e non è un guadagno da poco.
Marco Ninci
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