04 novembre 2017

KAFKA LETTO DA SEVERINO CESARI









Un uomo come Kafka.
Lettura di una pagina poco inflazionata
 Severino Cesari

Un impiegato, gli operai indifferenti e le macchine che uccidono

Leggiamo una pagina poco Inflazionata di Franz Kafka:
Le nostre illustrazioni presentano la differenza tra l’albero quadrangolare e l’albero rotondo dal punto di vista della protezione contro gli infortuni. Le lame dell’albero quadrangolare saldate mediante viti direttamente all’albero, fanno da 3800 a 4000 giri al minuto col taglio scoperto...
L’operaio estremamente cauto poteva bensì badare che durante il lavoro, cioè passando il pezzo di legno sopra la testata della pialla, nessun dito sporgesse oltre il legno in lavorazione, ma il pericolo principale era superiore a qualunque prudenza. La mano dell’operaio più prudente doveva infilarsi nell’incavatura delle lame quando il legno scivolava in basso o, come avveniva non di rado, era spinto all’indietro nel momento in cui una mano premeva il legno da piallare sulla tavola della macchina e l’altra mano lo accostava all’albero munito di lame. Questo sollevarsi e scattare indietro del pezzo di legno non poteva essere previsto né impedito perché ciò avveniva già per il fatto che il legno in certi punti presentava nodi o punti più duri e le lame non giravano abbastanza velocemente o erano in posizione errata o la pressione delle mani non era uniformemente distribuita sul legno. Un siffatto infortunio però provocava l’amputazione di qualche falange, se non di dita intere.
Ma non solo le misure precauzionali, anche le disposizioni protettive risultavano inutili di fronte a questo rischio in quanto o erano del tutto insufficienti o per un verso diminuivano il rischio (quando le lame erano automaticamente coperte da custodie di latta o dalla misura ridotta della sede delle lame), per l’altro verso invece aumentavano il pericolo in quanto non lasciavano spazio sufficiente alla segatura, sicché la sede delle lame si intasava e nel momento in cui l’operaio cercava di liberarla dalle segature si avevano frequenti ferite alle dita.
A questo albero quadrangolare il progetto contrappone come esempio di albero tondo un albero di sicurezza.
Le lame di quest’albero sono perfettamente protette e incassate tra il coperchio o un cuneo e il corpo massiccio dell’albero...
Ma il punto protettivo più importante consiste nel fatto che le lame sporgono soltanto col taglio e che formando quasi un corpo unico coll’albero possono essere molto sottili senza pericoli di rottura.
Coi dispositivi indicati si elimina, da una parte, la preponderante eventualità che le dita si infilino nell’incavatura dell’albero quadrangolare e, d’altra parte, perfino nel caso che le dita vi si infilino, si ottiene che possano darsi soltanto ferite insignificanti, lacerazioni che non richiedono neanche interruzioni del lavoro.

Per chi non lo conosce già, il brano è tratto dal libretto utilissimo di Klaus Wagenbach, Kafka (Il Saggiatore, da molti anni non ristampato, mi pare).
Fa parte di una pubblicazione che si chiana Relazione annuale dell’Istituto. Naturalmente, «è il titolo di un romanzo o di un racconto di Kafka», qualcuno dirà. La «scrittura», la «minuziosità» terrificante, ecc. ecc. E invece no: è proprio la «Relazione annuale dell’Istituto». L’Istituto è lo «Istituto d’assicurazioni contro gli Infortuni del lavoratori», che non è una invenzione di Kafka ma dell’Impero asburgico. La data è il gennaio - dicembre 1909. Kafka si è appena trasferito, dopo nove mesi di servizio, dal posto precedente, le «Assicurazioni generali»; che aveva accettato, nonostante il rigidissimo regolamento, l’orario pesante e la paga scarsa, soprattutto per essere libero dalla famiglia. È un giovane di nemmeno trent’anni. Rimarrà all’Istituto fino al luglio 1922, anno del suo precoce pensionamento perché malato di tubercolosi, dopo avere raggiunto il grado di segretario superiore. Morirà due anni dopo.
Quando entra all’Istituto, non ha ancora scritto nessuno del suol racconti o romanzi maggiori. Tutta la sua vita di scrittore, si può dire, è accompagnata — salvo alcune pause obbligate per la malattia, spesso le più creative —, dal lavoro in questa sorta di strana terra di frontiera tra la sua solitudine di scrittore, che è ancora comodo immaginare totale e obbligata e fatale, e le grandi masse, i cui movimenti preparavano l’avvenire. Un rapporto complicato, che può rivelare sorprese. L’impiegato Kafka, riconosciuto «minutante egregio», ma anche «cocco dell’ufficio», per quanto ebreo, svolse una attività fittissima di disbrigo di pratiche, stesura di articoli di propaganda (senza firma), contese con le aziende che tentavano di continuo frodi al danni dei lavoratori, in materia di assicurazione e prevenzione.
Kafka guardava con sgomento questioni delicatissime cadere nelle mani di chi non era capace «di afferrarne la parte tecnica», mentre i lavoratori, «benché si trattasse dei loro interessi vitali, si mantenevano indifferenti».
È assai strano che Deleuze e Guattari, nel loro bello studio su Kafka (Kafka. Per una letteratura minore, Feltrinelli), così dominato dalla ossessione della macchina, non si siano accorti come le macchine di Kafka (quelle che lo scrittore rappresenta In modo esplicito, ma anche il «macchinismo» della sua prodigiosa scrittura) siano simili a quelle concrete macchine, da lui perfettamente conosciute anche «nella parte tecnica», contro la cui quotidiana produzione di sofferenza e dolore egli, dolce ragazzo al margini degli indifferenti cortei operai, combatte una lotta puntigliosa e tutta pervasa di una speranza che davvero, in questo mondo, «non è per noi».
E s’intende, al tempo stesso egli progetta altre macchine, come abbiamo letto, macchine che non daranno dolore, ma piacere: come la sua scrittura. Che del resto, dona piacere anche se raffigura macchine di tortura.
Questa pagina che potrebbe essere davvero tratta da un suo romanzo o racconto, insegna più cose sull’.arte dello scrivere» che la lettura di molti saggisti oggi in voga, anche i più brillanti.

L’autore proprio in quei mesi partecipava a certe conferenze socialiste, ricorda un testimone riportato da Wagenbach, e di solito «era seduto in disparte, nessuno lo conosceva, osservatore minuzioso e attento... Ognuno offriva quel che poteva, perlopiù erano centesimi o monetine. L’ospite invitato invece offriva modestamente e senza dar nell’occhio un pezzo di cinque corone». E a una tempestosa riunione sciolta dalla polizia, contro l’esecuzione dell’anarchico Liabeuf a Parigi, fu difficile non notare «un uomo come Kafka, il quale era di una testa più alto dei comuni mortali, e non cercava affatto di non farsi scorgere, ma rimase tranquillo in mezzo al tafferuglio fra la polizia e i manifestanti. E siccome in nome della legge non si allontanò, venne accompagnato al più vicino posto di polizia dove in compenso si procedette con clemenza: o un fiorino di penale o ventiquattr’ore di prigione. Kafka, che ogni mattina arrivava puntualmente in ufficio, non rimase là quella notte, ma pagò il fiorino».

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