Il fascismo è stato un fenomeno complesso. In alcune sue correnti si presentò come reazione ad una modernità capitalistica vista come massificazione e banalizzazione dell'esistente. La prima guerra mondiale e il crollo delle illusioni positiviste fu il brodo di cultura in tutta Europa di un'ideologia attivistica capace di affascinare anche una parte del mondo intellettuale. Andrea Colombo racconta la storia di sedici intellettuali, da Céline a Pound, in modi diversi sostenitori del fascismo visto come un movimento capace di rigenerare una Europa in decadenza.
Claudio Gallo
I
maledetti del Novecento catturati dal vortice fascista
Come l’Angelus novus di Klee, che Benjamin vedeva con lo sguardo rivolto all’indietro, l’inizio del XXI secolo resta ossessionato dagli orrori e dalle passioni del secolo precedente. In questo filone di febbrile rilettura si colloca I maledetti, dalla parte sbagliata della storia di Andrea Colombo (Lindau, pp. 262, € 21) le vicende di sedici grandi e meno grandi intellettuali contaminati dall’ombra demoniaca del ’900. La scelta dell’autore è subito chiara, niente taglio saggistico, niente note: il lettore è affidato al potere delle storie individuali attraverso una scrittura giornalistica che mentre spiega vuole intrigare.
Che cosa accomuna questi personaggi così diversi tra loro (Hamsun, Céline, Benn, Heidegger, Gentile, Lorenz, Riefenstahl, Cioran, Eliade, Sironi, Marinetti, Pound, Wyndham Lewis, Evola, Brasillach, Eliot) è suggerito da Colombo nell’introduzione: «la consapevolezza che l’800, il secolo dei buoni sentimenti, del liberalismo, delle democrazie, della speranza ottimistica in un progresso illimitato, era definitivamente tramontato. Dalle macerie della Prima guerra mondiale doveva sorgere un nuovo mondo completamente trasfigurato».
Illustrano bene
quello spirito che aleggiò a più riprese sull’Europa, dall’inizio
del ’900 agli Anni 40, le parole di George Valois, passato
dall’anarco-sindacalismo al Faisceau, il fascismo francese, e morto
anti-nazista nel lager di Bergen-Belsen. Le cita Zeev Sternhell nel
classico Né destra, né sinistra: «Fascismo e Bolscevismo sono una
stessa reazione contro lo spirito borghese e plutocratico. Al
finanziere, al petroliere, all’allevatore di maiali che credono di
essere i padroni del mondo e vogliono organizzarlo secondo la legge
del denaro, secondo i bisogni dell’automobile, secondo la filosofia
dei maiali, e piegare i popoli alla politica del dividendo, il
bolscevico e il fascista rispondono levando la spada». Nonostante
nel secondo dopoguerra i due movimenti politici siano stati talvolta
collocati nella medesima categoria di totalitarismo, l’accostamento
tra fascismo e comunismo sembra ancora oggi arduo, ma proprio per
questo testimonia bene lo spirito insofferente dell’epoca.
L’irrazionalismo fascista e il culto della razza sfociano nell’antisemitismo che l’autore ritrova in quasi tutti i suoi protagonisti. Non si tratta di un antisemitismo granitico: ci sono sfumature e differenze importanti come faceva notare negli Anni 70 il finlandese Tarmo Kunnas nel suo La tentazione fascista. Non giustificano un’assoluzione, ma rivelano una realtà non facilmente riconducibile e categorie generali troppo nette: apparentemente, il razzismo non fa parte, ad esempio, dell’orizzonte di Ernst Jünger o di Gottfried Benn, mentre è radicato nell’irrazionalismo di Céline (una parola definitiva sul tema l’hanno detta Pierre-André Taguieff e Annick Duraffour in Céline, la race, le juif pubblicato in Francia da Fayard all’inizio dell’anno).
D’altra parte il fascismo, come reazione alla ragione positivista e all’ipocrisia borghese, si appella alla volontà, all’inconscio, a tutto un armamentario irrazionale nemico di ogni misura. Il risultato non cambia, ma talvolta leggendo Céline o Drieu La Rochelle ci si chiede se certe conclusioni aberranti non siano più imposte dal demone dello stile che dal pensiero.
Céline
Ripercorrendo le vite dei
proscritti di Colombo, si riflette anche sulla consistenza
dell’individualità: tutt’altro che definita, nei sedici ritratti
sembra un serraglio di personaggi che in ciascuna testa si alternano
più o meno imprevedibilmente sul palco della coscienza. Grandezza e
meschinità, angeli e demoni. Come poteva Ezra Pound, geniale
architetto dei Cantos, lodare dal manicomio criminale le idee
desolanti di John Kaspers, impresentabile suprematista bianco?
Eppure, sia Against Usura
sia gli apprezzamenti della retorica razzista stile Ku Klux Klan
escono dallo stesso cervello, anche se, probabilmente, non dalla
stessa persona. Ma tutto questo al giudice non importa, per la
giustizia e per la morale ognuno di noi è un individuo e quello
soltanto. Dimenticarlo sarebbe come minacciare l’esistenza del
nostro mondo.
La Stampa – 22 novembre
2017
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