Esce la biografia di Nicola Chiaromonte, filosofo antifascista fondatore di
riviste liberal negli Stati Uniti, negli anni della guerra fredda direttore
della rivista “Tempo presente”. Forse si è esagerato a paragonarlo ad Albert Camus; ma non c'è alcun dubbio che i suoi scritti sono sempre stimolanti e meritano di essere letti. (fv)
Francesco Erbani
C’era una volta Chiaromonte
In apertura della biografia che gli dedica, Cesare Panizza accosta Nicola Chiaromonte ad Antigone. E gli interrogativi sono conseguenti all’assimilazione dell’eroina di Sofocle al direttore di Tempo presente, intellettuale cosmopolita e senza parrocchia, straniero in patria, ma al centro di una rete cui partecipano Albert Camus e Hannah Arendt, artefice di riviste liberal negli Stati Uniti, fautore di una sinistra fuori dalle gabbie dello stalinismo. E dunque: può la politica prescindere dalla morale? Ci sono principi osservando i quali ci si sottrae alle leggi della politica? Questo filo percorre l’attraente volume di Panizza ( Nicola Chiaromonte, Donzelli).
Chiaromonte, che nasce a Rapolla, in Basilicata, nel 1905, è ritratto come un “maestro segreto”, che dunque ambisce «a vivere nascosto». Eppure spicca il suo nome negli anni Cinquanta e Sessanta nel fronte dell’anticomunismo democratico (celebre il suo Il tempo della malafede).
Su Tempo presente Chiaromonte denuncia il totalitarismo sovietico, ne racconta l’irriformabilità e ne anticipa il collasso. Al suo fianco è Gustaw Herling, lo scrittore polacco di Un mondo a parte. Contemporaneamente Chiaromonte tiene la rubrica di critica teatrale prima sul
Mondo, poi su Sipario e sull’Espresso.
Nella biografia definiscono il profilo di Chiaromonte sia i materiali della riflessione culturale, sia gli elementi caratteriali. Il suo, si legge, è un temperamento «facilmente portato alla malinconia e soggetto a cicliche crisi depressive». Di grande importanza è il carteggio che intrattiene dal 1957 fino alla morte con la poetessa Melanie von Nagel, che poi diventa “sister Jerome” in un convento benedettino del Connecticut.
L’antifascismo di Chiaromonte matura negli anni universitari e trova riscontro nell’amicizia di Paolo Milano, di Alberto Moravia, e poi, fra gli altri, di Carlo Levi, Corrado Alvaro, Alberto Carocci. Collabora al Mondo di Alberto Cianca. Scrive su Solaria e su Oggi. Ma presto l’antifascismo si precisa e dall’iniziale adesione a Giustizia e Libertà prende una strada a tratti isolata, ma ricca di spunti.
La sua attenzione è sul
rapporto fra la moderna società di massa e il regime. Lo impressiona
la passività di fronte al fascismo di quella «poltiglia
indefinibile, fatale prodotto della decomposizione della vecchia
società sottoposta al lavorio dello Stato moderno e
dell’industrialismo». Per Chiaromonte il fascismo è stato capace,
scrive Panizza, di sublimare «in un’ideologia nazionalista e
statolatrica quella “tragica assenza di libertà”, tipica della
società di massa».
Dalla metà degli anni Trenta Chiaromonte è in Francia, bollato come cospiratore dal Tribunale speciale. I suoi orizzonti culturali si dilatano e allo scoppio della Seconda guerra mondiale vola negli Stati Uniti. Oltreoceano si sente spaesato. Entra però in contatto con Gaetano Salvemini, ma soprattutto con la Partisan Review, organo liberal. Insieme a due esponenti del mondo radicale, la scrittrice Mary McCarthy e Dwight Macdonald, dà vita nel 1943 alla rivista politics e conosce Hannah Arendt.
L’irrequietezza
culturale è la cifra del gruppo, che si propone una riforma del
pensiero socialista, sganciato dal marxismo che nell’Urss ha
soggiogato l’essere umano. Nel frattempo assume un peso decisivo
Camus, che agli occhi di Chiaromonte (rientrato a Parigi nel 1947)
appare alternativo al modello di engagement proposto dagli
intellettuali comunisti. La guerra fredda cinge d’assedio la
riflessione etica e culturale. Il filo di un socialismo libertario si
riannoda in Tempo presente, che nasce nel 1956. Firmano per la
rivista, di cui è direttore anche Ignazio Silone, Leonardo Sciascia
e Alberto Arbasino, Furio Colombo, Vittorio Gorresio ed Enzo Bettiza.
Enzo Forcella pubblica
Millecinquecento lettori, la spietata analisi di un giornalismo che
si svolge a circuito chiuso. La rivista si schiera contro l’arresto
di Danilo Dolci e, anni dopo, a fianco del foglio studentesco La
zanzara.
Inoltre sulle proteste giovanili Chiaromonte manifesta quell’interesse, condito da critiche, di cui non c’è tanto riscontro altrove.
Ma su Tempo presente si abbattono nel 1966 le rivelazioni sui finanziamenti della Cia al Congresso per la libertà della cultura, che a sua volta finanzia la rivista. La genuinità di una sinistra antitotalitaria viene macchiata. Panizza propende per la buona fede di Chiaromonte, che nulla avrebbe saputo sulla provenienza di quei soldi e i cui riferimenti politici e culturali hanno antiche origini. Inoltre Chiaromonte non tace il dissenso nei confronti dell’intervento americano in Vietnam. In ogni caso per Tempo presente la vita si fa precaria. L’ultimo numero esce nel dicembre del 1968. Poco dopo, nel 1972, Chiaromonte si spegne.
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