L’opera di Baruch Spinoza è
stata decisiva in un momento storico in
cui il dominio della religione cedeva il passo a nuovi impulsi poi dispiegatisi
nell’età dell’illuminismo. Pubblichiamo di seguito un articolo di Massimo
Firpo, preso da Il
Sole 24Ore, che evidenzia il contributo importante dato dal
filosofo olandese alla libertà di pensiero.
Massimo Firpo - La «libertas» di Spinoza
La
pubblicazione delle 95 tesi di Martin Lutero nel 1517 aprì una lunga fase della
storia europea, segnata da feroci controversie dottrinali e guerre sanguinose. Nonostante
alcuni deboli tentativi di trovare formule di compromesso e ireniche
mediazioni, la frattura fra cattolici e protestanti non fece che aggravarsi,
segnando la fine della christianitas occidentale e la nascita di
un’Europa confessionale, sempre più frantumata in Chiese e sette diverse. Le
irreversibili linee di frattura aperte dal monaco sassone e dalla sua
rivendicazione della paolina libertà del cristiano non tardarono infatti ad
allargarsi e moltiplicarsi, in un continuo pullulare di nuovi modi di intendere
e praticare la fede cristiana: calvinisti, anabattisti, antitrinitari,
quaccheri, e poi ancora anabattisti hutteriti e mennoniti, cnesioluterani e
filippisti, calvinisti arminiani e gomaristi, antitrinitari non adorantisti e
sociniani, per non parlare delle mille sette che ribollirono nella fornace
politica e sociale della rivoluzione inglese. Drammatici conflitti lacerarono
anche il mondo cattolico (si pensi solo alla querelle giansenista),
che tuttavia aveva nel pontefice romano un’autorità che si poneva come
tribunale supremo della verità. Non a caso fu il mondo riformato, nato da un
gesto di disobbedienza tale da legittimare anche gli eretici del futuro, a
conoscere quelle continue «variations des églises protestantes», secondo la
definizione di Jacques Benigne Bossuet, il precettore del delfino di Luigi XIV,
che in esse avrebbe colto l’autentica ed eversiva natura di quel mondo.
Per un
secolo e mezzo, il secolo definito da alcuni storici come «il secolo di ferro»,
furono i teologi a dominare la scena, a spiegare da pulpiti ferocemente
contrapposti quale fosse il significato autentico del testo biblico, quali i
fondamenti del potere politico, quali i suoi compiti primari, quali i doveri
della vita morale dei fedeli. Ogni forma di dissenso diventava eresia, offesa
alla gloria di Dio, germe di dissoluzione sociale e politica, che come tale non
poteva essere tollerato. La fede esigeva condanne, repressioni, roghi, guerre
in ogni parte d’Europa. Ancora nel 1685, con la revoca dell’editto di Nantes e
la cacciata degli ugonotti francesi, la logica del primato dell’ortodossia
parve celebrare i suoi fasti. E invece tutto allora stava cambiando, in quella
che in un libro diventato ormai classico Paul Hazard definì La crisi
della coscienza europea, nutrita di filoni scettici e libertini,
di studi biblici, di ricerca filologica ed erudizione storica sui fondamenti
del Cristianesimo, di comparatismo religioso, di critica dei miracoli, di
scoperta delle «sterminate antichità» del mondo, che apriva la cultura europea
a nuovi orizzonti, poi dispiegatisi nell’età dell’Illuminismo.
Fermenti
tutt’altro che univoci, destinati ad aprire la strada ora a un Cristianesimo
antidogmatico e tollerante, ora a un deismo attento a non smarrire la religione
come collante sociale e senso ultimo delle cose, ora a un materialismo che ne
demoliva i fondamenti e a un freethinking pronto a investire della sua
logica non solo la fede, ma anche la morale e la politica e a rivendicare nuovi
diritti di libertà. Decisivo fu in tal senso il magistero di Benedetto Spinoza,
ebreo cacciato dalla sua comunità, che oltre a mettere in dubbio l’autorità
della Bibbia, a teorizzare un Dio che coincideva con la natura, a rivendicare
un’assoluta libertas philosophandi, aveva costruito un’etica puramente
razionale, priva di ogni fondamento religioso, da cui conseguiva la possibilità
di un’ordinata società di atei, come subito teorizzò Pierre Bayle, indicando
nello stesso Spinoza il modello dell’«ateo virtuoso» per eccellenza.
Sul
complesso intreccio di questi filoni radicali della cultura europea tra il 1680
e il 1730 si soffermano i penetranti studi di Silvia Berti, frutto di un lungo
scavo erudito e di un’acuta riflessione storica: il mondo della Amsterdam di
Spinoza, la denuncia della religione come impostura del potere a danno dei
sudditi, la letteratura clandestina ispirata al materialismo spi-noziano,
figure di personaggi straordinari, come il pittore Bernard Picart, con il suo
passaggio «dalla religione riformata al deismo», o l’esule piemontese Alberto Radicati di Passerano,
con la sua discussione sulla libertà del suicidio. Il concetto stesso di
«Illuminismo radicale», coniato da Margaret Jacob e poi sviluppato da Jonathan
Israel, trova in queste pagine una ridefinizione volta a calarne le origini in
contesti concreti, senza presumerne che esso scaturisca da qualche ontologia
filosofica panteista o materialista, senza legarlo esclusivamente a contesti
angloolandesi, ma sottolineandone la dimensione fortemente cosmopolita e
scorgendovi un «crogiuolo di elementi panteistici, antitrinitari, scettici,
libertini, anticlericali, in una tensione che è sempre antisistematica e
antimetafisica».
Anche
esuli ugonotti in Olanda vicini allo spinozismo, giansenisti gallicani,
estranei a ogni materialismo filosofico, e molteplici esperienze di
«religiosità “irregolare”» contribuirono a quella profonda svolta culturale,
maturata soprattutto – ma non solo – come crisi interna del mondo protestante,
nella quale prese corpo nella sua stessa multiforme ricchezza l’esprit
philosophique. Una «stagione eroica», scrive l’autrice, in cui «attacco alla
religione rivelata e apprezzamento della morale evangelica, spinozismo e
socinianesimo, l’assimilazione di temi e motivi sia della tradizione ebraica
che di quella islamica, rigorismo di matrice agostiniana e denuncia libertina
dell’origine politica delle religioni, si danno la mano per costituire il
nucleo allo stesso tempo fondante e duraturo del contributo dato
dall’Illuminismo alla formazione della modernità».
Da
Il Sole 24Ore del 30 settembre 2012