29 settembre 2012

PER BARUK SPINOZA





L’opera di Baruch Spinoza è stata decisiva  in un momento storico in cui il dominio della religione cedeva il passo a nuovi impulsi poi dispiegatisi nell’età dell’illuminismo. Pubblichiamo di seguito un articolo di Massimo Firpo, preso da Il Sole 24Ore, che evidenzia il contributo importante dato dal filosofo olandese alla libertà di pensiero.
 
Massimo Firpo - La «libertas» di Spinoza

La pubblicazione delle 95 tesi di Martin Lutero nel 1517 aprì una lunga fase della storia europea, segnata da feroci controversie dottrinali e guerre sanguinose. Nonostante alcuni deboli tentativi di trovare formule di compromesso e ireniche mediazioni, la frattura fra cattolici e protestanti non fece che aggravarsi, segnando la fine della christianitas occidentale e la nascita di un’Europa confessionale, sempre più frantumata in Chiese e sette diverse. Le irreversibili linee di frattura aperte dal monaco sassone e dalla sua rivendicazione della paolina libertà del cristiano non tardarono infatti ad allargarsi e moltiplicarsi, in un continuo pullulare di nuovi modi di intendere e praticare la fede cristiana: calvinisti, anabattisti, antitrinitari, quaccheri, e poi ancora anabattisti hutteriti e mennoniti, cnesioluterani e filippisti, calvinisti arminiani e gomaristi, antitrinitari non adorantisti e sociniani, per non parlare delle mille sette che ribollirono nella fornace politica e sociale della rivoluzione inglese. Drammatici conflitti lacerarono anche il mondo cattolico (si pensi solo alla querelle giansenista), che tuttavia aveva nel pontefice romano un’autorità che si poneva come tribunale supremo della verità. Non a caso fu il mondo riformato, nato da un gesto di disobbedienza tale da legittimare anche gli eretici del futuro, a conoscere quelle continue «variations des églises protestantes», secondo la definizione di Jacques Benigne Bossuet, il precettore del delfino di Luigi XIV, che in esse avrebbe colto l’autentica ed eversiva natura di quel mondo.
Per un secolo e mezzo, il secolo definito da alcuni storici come «il secolo di ferro», furono i teologi a dominare la scena, a spiegare da pulpiti ferocemente contrapposti quale fosse il significato autentico del testo biblico, quali i fondamenti del potere politico, quali i suoi compiti primari, quali i doveri della vita morale dei fedeli. Ogni forma di dissenso diventava eresia, offesa alla gloria di Dio, germe di dissoluzione sociale e politica, che come tale non poteva essere tollerato. La fede esigeva condanne, repressioni, roghi, guerre in ogni parte d’Europa. Ancora nel 1685, con la revoca dell’editto di Nantes e la cacciata degli ugonotti francesi, la logica del primato dell’ortodossia parve celebrare i suoi fasti. E invece tutto allora stava cambiando, in quella che in un libro diventato ormai classico Paul Hazard definì La crisi della coscienza europea, nutrita di filoni scettici e libertini, di studi biblici, di ricerca filologica ed erudizione storica sui fondamenti del Cristianesimo, di comparatismo religioso, di critica dei miracoli, di scoperta delle «sterminate antichità» del mondo, che apriva la cultura europea a nuovi orizzonti, poi dispiegatisi nell’età dell’Illuminismo.
Fermenti tutt’altro che univoci, destinati ad aprire la strada ora a un Cristianesimo antidogmatico e tollerante, ora a un deismo attento a non smarrire la religione come collante sociale e senso ultimo delle cose, ora a un materialismo che ne demoliva i fondamenti e a un freethinking pronto a investire della sua logica non solo la fede, ma anche la morale e la politica e a rivendicare nuovi diritti di libertà. Decisivo fu in tal senso il magistero di Benedetto Spinoza, ebreo cacciato dalla sua comunità, che oltre a mettere in dubbio l’autorità della Bibbia, a teorizzare un Dio che coincideva con la natura, a rivendicare un’assoluta libertas philosophandi, aveva costruito un’etica puramente razionale, priva di ogni fondamento religioso, da cui conseguiva la possibilità di un’ordinata società di atei, come subito teorizzò Pierre Bayle, indicando nello stesso Spinoza il modello dell’«ateo virtuoso» per eccellenza.
Sul complesso intreccio di questi filoni radicali della cultura europea tra il 1680 e il 1730 si soffermano i penetranti studi di Silvia Berti, frutto di un lungo scavo erudito e di un’acuta riflessione storica: il mondo della Amsterdam di Spinoza, la denuncia della religione come impostura del potere a danno dei sudditi, la letteratura clandestina ispirata al materialismo spi-noziano, figure di personaggi straordinari, come il pittore Bernard Picart, con il suo passaggio «dalla religione riformata al deismo», o l’esule piemontese Alberto Radicati di Passerano, con la sua discussione sulla libertà del suicidio. Il concetto stesso di «Illuminismo radicale», coniato da Margaret Jacob e poi sviluppato da Jonathan Israel, trova in queste pagine una ridefinizione volta a calarne le origini in contesti concreti, senza presumerne che esso scaturisca da qualche ontologia filosofica panteista o materialista, senza legarlo esclusivamente a contesti angloolandesi, ma sottolineandone la dimensione fortemente cosmopolita e scorgendovi un «crogiuolo di elementi panteistici, antitrinitari, scettici, libertini, anticlericali, in una tensione che è sempre antisistematica e antimetafisica».
Anche esuli ugonotti in Olanda vicini allo spinozismo, giansenisti gallicani, estranei a ogni materialismo filosofico, e molteplici esperienze di «religiosità “irregolare”» contribuirono a quella profonda svolta culturale, maturata soprattutto – ma non solo – come crisi interna del mondo protestante, nella quale prese corpo nella sua stessa multiforme ricchezza l’esprit philosophique. Una «stagione eroica», scrive l’autrice, in cui «attacco alla religione rivelata e apprezzamento della morale evangelica, spinozismo e socinianesimo, l’assimilazione di temi e motivi sia della tradizione ebraica che di quella islamica, rigorismo di matrice agostiniana e denuncia libertina dell’origine politica delle religioni, si danno la mano per costituire il nucleo allo stesso tempo fondante e duraturo del contributo dato dall’Illuminismo alla formazione della modernità».



Da Il Sole 24Ore del 30 settembre 2012



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