«La Sapienza del Sorriso» è il tema dell’ottava edizione di
«Torino Spiritualità», aperto da domani a domenica. Tre i percorsi di
approfondimento proposti al pubblico negli oltre 100 incontri in programma: «La
leggerezza dello Spirito», «Il sorriso consapevole e il ghigno inquieto», «Le
regole del gioco». Tra i relatori: Enzo Bianchi, Elio, Massimo Gramellini,
George Steiner, Gustavo Zagrebelsky, Alessandro Bergonzoni, Aharon Appelfeld,
Moni Ovadia, Michele Serra, Roberta De Monticelli, Sergio Givone. Massimo
Cacciari parla giovedì alle 18 nel cortile di Palazzo Carignano. Il giornale
della CEI Avvenire lo scorso 25 settembre ha pubblicato una interessante intervista di Francesco Dal
Mas a Massimo Cacciari che riprendiamo di seguito:
E Gesù disse:«Siate allegri!»
«Il
cristianesimo è lieto e deve far ridere. Guai, dunque, a una predicazione
triste. Chi annuncia non può che avere il sorriso, anzi il riso di Beatrice che
percorre tutta l’ultima cantica: «Tu la vedrai sulla vetta di questo monte
ridere felice». Se tu non fai capire che il Paradiso è riso, come ha dimostrato
Dante con Beatrice, la tua evangelizzazione sarà nebulosa e quindi non sarà
un’evangelizzazione perché annunci un Vangelo triste, quindi non un eu-angelion,
una “buona notizia”».
S’infervora
il filosofo Massimo Cacciari intorno al tema «Davvero Gesù non ride?» che gli è
stato affidato nell’ambito dell’ottava edizione di «Torino Spiritualità» e che
svilupperà nell’appuntamento di giovedì. Professore, lei è solito
approcciarsi a Gesù in termini drammatici…
«Un
momento. Come insegnava Platone, un dramma e una commedia hanno la stessa
origine e non possono essere trattati in modo disgiunto. Quindi dire drammatico
non significa dire incapace o impotente a ridere».
È
pur vero che quello di Gesù è stato letto da molti come un annuncio triste…
«Sì,
ma è tutto da discutere. Nel Vangelo la dimensione del ridere è praticamente
assente perché quando incontriamo un riso è quello degli stolti che deridono
Gesù quando risorge la bambina».
E
nell’Antico Testamento?
«È
presente solo nell’accezione della stoltezza umana. Dio ride per schernire
dall’alto la stoltezza dell’uomo. Ma sono letture affrettate».
Affrettate
perché?
«Come
si può non sentire un timbro del riso nel Cantico dei cantici? Più difficile si
fa la ricerca nel Nuovo Testamento, perché qui sembra che il riso manchi. Ma è
proprio così? Vediamo di ascoltare con orecchi non particolarmente ottusi. E
allora scopriamo che nel Nuovo Testamento Gesù non ride con scherno nei
confronti della nostra miseria e stoltezza. Certo, manca il riso
sguaiato. Ma come si fa a non sentire una luce ilaros, come avrebbero detto i Padri orientali, quella luce del cielo
quando è sgombro da ogni pesantezza, da ogni nebbia? Come si fa a non sentire
nelle parole di Gesù questa ilaritas che mai giudica, mai condanna? Anche se
non è nominato espressamente come si fa a non ascoltarlo?».
Si
è soliti, in effetti, definire spiritosa una persona che ci fa ridere
intelligentemente.
«Una
battuta di spirito è una battuta che alleggerisce, che solleva, che assolve.
Come si fa a non sentire questo timbro nelle parole di Gesù? Ma direi ancora di
più: non è piena di ironia tutta la parola di Gesù?».
Gesù
ironico? Ma come? L’ironia non sembra molto evangelica.
«Ironia
nel senso letterale del termine, di gusto del paradosso. Il paradosso che
invita alla ricerca. La parabola che timbro ha se non questo? Non è forse
profondamente ironica in questo senso? Come hanno spiegato grandi interpreti,
la parabola non ha nulla a che fare con l’allegoria perché l’allegoria è una
similitudine che immediatamente si scopre. La parabola, invece, è un invito a
pensare pieno di ironia. E che invita al sorriso.
Le parabole del Regno hanno paragoni che sembrano assurdi. Il Regno dei cieli è
un grano di senape. Non mette in evidenza un’immensa distanza? Non è un
paradosso? Come si fa a non sorridere per la parabola delle vergini stolte che
si precipitano ad acquistare l’olio e poi vengono cacciate? Oppure
quell’immagine al limite della blasfemia: il Signore è come quel re che tutto
concede per non essere più infastidito da scocciatori che gli chiedono di
tutto? Questa parabola è piena di elementi ironici. Come lo è quella del
samaritano e del fi-gliol prodigo. Io credo che l’unico che abbia capito fino
in fondo lo spirito della parabola di Gesù sia Kafka».
Kafka?
Perché mai Kafka?
«Le
sue sono parabole che non danno soluzione, rimangono enigmi. Non sono facili
similitudini, non sono allegorie. Non permettono un allegorismo a differenza
delle favole antiche e, nello stesso tempo, fanno sorridere. Fanno sorridere
continuamente. Kafka secondo me rideva quando scriveva i suoi racconti. È tutta
questa dimensione che bisogna scoprire se si vuole leggere con orecchi aperti
il messaggio di Gesù. E poi un tema a me caro: l’ilaritas del più
perfetto imitatore di Gesù che è Francesco».
In
tempi di crisi come quelli che viviamo, c’è spazio per un annuncio che non sia
triste?
«Quanto
ho detto vale soprattutto per tempi di crisi come i nostri. Se tu, invece di
annunciare una lieta novella, annunci una novella ancora più triste, è chiaro
che fallisce l’evangelizzazione. Citavo Francesco. Forse che lui, ai suoi
tempi, non considerava tutti i problemi? Nella sofferenza lui “rideva”, cantava
e aveva il volto del riso e non della tristezza. L’unico comando che ha dato
Francesco ai suoi è stato: andate e non siate mai nebulosi».
Ma
bisogna distinguere riso da riso. risata è spesso sguaiata…
«Non
c’entra nulla. Questo non è riso, è derisione, è scherno, è sarcasmo. L’etimo
di sarcasmo è fare a pezzi la carne. Questo è il riso che insegnava Leopardi.
Gli italiani sono capaci solo di scherno. Questo è il riso tipico
dell’italiano».
È
il rischio anche della satira?
«Certo.
Quando la satira non è ironica (perché può essere ironica ed esprimere un sano
riso che solleva), ma quando è impietosa, sarcastica, è nichilistica, fa a
pezzi e basta. Ma si può fare a pezzi e basta anche tradendo il Vangelo come
qualcosa di triste o semplicemente spirituale. La Beatrice di Dante non è solo
spirituale, è spirito, cioè respiro che solleva, respiro che libera».
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