Pubblico con piacere il testo inedito di Barbara
Lottero, insieme alle foto di Patrizia Flecchia, che ricostruiscono con amorevole attenzione il confino calabro di Cesare Pavese.
La memoria dei luoghi
“ Cara Maria, sono arrivato a
Brancaleone domenica 4 nel pomeriggio e tutta la cittadinanza a spasso davanti
alla stazione pareva aspettare il criminale che, munito di manette, tra due
carabinieri, scendeva con passo fermo diretto al Municipio. (…) Qui ho trovato
una grande accoglienza. Brave persone, abituate a peggio, cercano di tenermi
buono e caro. (…) Qui, sono l’unico confinato. Che qui siano sporchi è una
leggenda. Sono cotti dal sole. Le donne si pettinano in strada, ma viceversa
tutti fanno il bagno. Ci sono maiali, e le anfore si portano in bilico sulla
testa. (…) La grappa non sanno cosa sia. (…) La spiaggia è sul Mar Jonio, che
somiglia a tutti gli altri e vale quasi il Po”
Cesare
Pavese da Quaderno del Confino
in
Lettere 1924-1944
L’estate è anche il tempo della pausa, per ritemprarsi e per ritrovare
se stessi.
Questo tempo sospeso nell’asfissia del caldo, sosta immobile che
prelude al cadere di foglie variopinte autunnali, può trasformarsi in tempo dei
ricordi, spazio aperto sulla memoria.
Capita, nel tornare alle proprie origini, di vivere l’aprirsi di uno
squarcio che, così come in un sogno, inaspettatamente dal presente ci riconduce
al passato.
Un passato, di cui s’ ignorava l’esistenza, si è aperto al mio
cammino, questa estate, a Brancaleone Calabro.
Un paesino arroccato sulla costa Jonica della Calabria, dove, ancora
nell’antico linguaggio grecanico, risuona la meraviglia della Magna Grecia.
Brancaleone più che uno spazio geografico è un piccolo luogo,incastonato
a valle del Parco Nazionale d’Aspromonte, profuma d’essenza di bergamotto ma è
anche esposto alla brutalità della ‘ndrangheta che a pochi Km, a San Luca, ha una
delle sue roccaforti.
Così il nostro sud, tra bellezze naturali e abusivismo, tra terra
natale di Corrado Alvaro e canne mozze. Un mondo che vive la legge del caos e
che ti strazia nel devastante oscillare tra il bello e l’orribile, tra il poetico
e il mostruoso.
Questo il contesto che si attraversa nell’andare a Brancaleone, dove
dal 4 agosto del 1935 al 15 marzo del 1936, fu relegato al confino, con l’accusa
di antifascismo, Cesare Pavese.
Un’amica, Patrizia che conosce quei luoghi, racconta - a Brancaleone ancora si parla di Cesare
Pavese, solo due anni fa è scomparsa la donna protagonista dei suoi scritti-
La donna,di cui parla Patrizia, da Pavese chiamata Concia è così da
lui descritta:
“con un passo scattante e contenuto,
erta sui fianchi,
il viso bruno e caprino con una
sicurezza che era un sorriso”
Cesare Pavese
da Quaderno del Confino
in Lettere
1924-1944
Una descrizione breve ma che racchiude un compiuto profilo delle donne
di Calabria.
All’ombra leggera di un gelso, come una carezza,mentre mi trovavo
inondata dal celeste mare delle attenzioni familiari, un sentiero si è aperto.
Qui, in questa terra, Pavese, l’uomo che perdonò tutti e che a tutti
chiese perdono, scontò la sua emarginazione.
Qui tra questi solchi aridi Pavese ha attraversato la sua solitudine,
qui, a due giorni del suo arrivo, ha preso a scorrere la sua fiumara spirituale,
il suo Mestiere di Vivere: diario 1935-1950, opera che segnò il passaggio dalla poesia alla narrativa.
Si, insomma, qui Cesare ha trovato una nuova fonte d’ispirazione, da
qui, da Brancaleone, un sentiero di nuovi significati si è aperto nell’anima
dello scrittore.
Da queste riflessioni alcune sollecitazioni.
Innanzitutto le date, il tempo segnato da alcune coincidenze: 1935, anno
dell’allontanamento dal mondo, del confino a Brancaleone; 1950, anno della
morte, della separazione dalla vita. Giusto il tempo racchiuso nel suo Mestiere di vivere: diario dal
1935-1950.Poi Roma,connotazione di uno spazio che si ripete in due luoghi importanti
per Pavese. A Brancaleone, nel 1935, Pavese frequentava il Bar Roma dove amava
intrattenersi in lunghe conversazioni; Hotel Roma a Torino dove nel 1950 si tolse la vita.
Forse a Brancaleone Pavese iniziò un confino dall’ esistenza che non
terminò mai e che lo condusse al suicidio?
Da questa domanda una giostra di connessioni comincia a prendere
movimento: il fascismo e il confino; le langhe e le fiumare; lo scrittore e la
sua solitudine; una stanza per l’esilio e una stanza per la morte.
Un diario per tenere insieme tutto. L’impossibilità di contenere
tutto.
Così il tempo presente, per incanto, si apre al passato; così il
ritornare della consapevolezza che conoscere altro non è se non ricordare, infine
l’inizio dell’avventura del ricercare.
Una donna che certamente ama camminare, che ama percorrere i sentieri
che conducono alla scoperta, da lontano mi ha presa per mano, mi ha regalato
una serie di dettagli e d’indicazioni.
Racconta Patrizia, la mia amica d’avventura, che qualcuno ha
acquistato la casa dove Pavese ha soggiornato e che la stanza dello scrittore è
intatta, ancora oggi così come lui l’ha lasciata. Racconta che a Brancaleone vive un uomo che prese lezioni di latino e
greco da Pavese.
Lei, Patrizia, ama inoltrarsi
tra le pieghe dolorose della Calabria, alla ricerca dell’anima forte che questa
terra aspra come il suo monte custodisce, racconta di Pavese e di tante altre
storie. Come in una ragnatela i narrati cominciano a tessere l’ intrigato
infittirsi di - narrazioni dentro
narrazioni- come a lei piace dire.
Ma d’improvviso, il suo narrare mi ha tolto il fiato.
Dagli intrigati sentieri, d’un tratto la sorpresa della radura, dello slargo
aperto che oltre i luoghi riempie l’anima di vita, sullo schermo del mio
computer un meraviglioso regalo, le fotografie della stanza in cui soggiornò Cesare
Pavese a Brancaleone.
“Io non sto in un albergo, ma in una cameretta
mobiliata piena di scarafaggi e quando
piove (l’inverno sarà tutta pioggia) si allaga come una barca”
Cesare Pavese
da Quaderno del Confino
Così, in questi
momenti la vita diventa poesia e comprendi l’intimo perché dei poeti, capace di
dischiudere le storie che un luogo custodisce.
“Un paese ci vuole, non fosse altro che per
il gusto di andarsene via.
Un paese vuol dire non essere soli, sapere
che nella gente, nelle piante,
nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche
quando non ci sei resta ad aspettarti”
Cesare Pavese da La luna e i falò
Cesare Pavese da La luna e i falò
BARBARA LOTTERO
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