Oggi desidero ricordare Carlo Maria Martini - grande uomo di pensiero e di fede, aperto al dialogo con tutti – con le sue stesse parole:
Pensanti, non pensanti.
Da quanto detto fin qui appare che, dal punto di vista della metodologia dell’incontro, la differenza da marcare non sarà tanto quella tra credenti e non credenti, ma tra pensanti e non pensanti, tra uomini e donne che hanno il coraggio di vivere la sofferenza, di continuare a cercare per credere, sperare e amare, e uomini e donne che hanno rinunciato alla lotta, che sembrano essersi accontentati dell’orizzonte penultimo e non sanno più accendersi di desiderio e di nostalgia al pensiero dell’ultimo orizzonte e dell’ultima patria. La sfida pastorale che ne deriva è allora quella di ascoltare le domande vere del pensiero davanti al mistero dell’esistenza, ponendosi insieme, credenti e non credenti pensosi, a capire ciascuno le ragioni dell’altro. Per chi crede ciò potrà significare una purificazione delle motivazioni dell’atto di fede e al tempo stesso una nuova possibilità di proporle a chi non crede con la fedeltà del testimone e il rispetto del compagno di strada, che si riconosce nell’altro e scopre l’altro in sé.
Carlo Maria Cardinal MARTINI [1927-2012]
IL DIALOGO CON I NON CREDENTI
FONDAMENTI TEOLOGICO-PASTORALI
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Mi pare
opportuno segnalare l’editoriale che il
manifesto ha dedicato al Cardinale:
RANIERO LA
VALLE, TESTIMONE FINO ALLA FINE
La Chiesa
che si appresta a celebrare i 50 anni dall'inizio del Concilio Vaticano II
dovrà ora fare a meno anche di lui. Martini non aveva partecipato al Concilio,
ma tutta la sua vita è stata intrecciata alla straordinaria novità con cui la
Chiesa del Novecento aveva saputo ripensare se stessa, la fede e il mondo; di
questa novità egli è stato il più lucido e coraggioso interprete
nell'episcopato italiano, e a una delle conversioni più decisive della Chiesa
conciliare, quella del ritorno alla Bibbia e della sua restituzione alla
preghiera e alla riflessione dei credenti, ha dato strumento e voce, sia con i
suoi studi biblici e la sua riedizione dal greco del Nuovo Testamento, accolta
e usata da tutte le Chiese cristiane, sia con la generosa somministrazione
della Sacra Scrittura nella «Scuola della Parola» e nelle sue catechesi e
letture bibliche ai fedeli di Milano.
Malato da tempo di Parkinson, il cardinale Martini, come ha narrato il neurologo che lo ha avuto in cura e assistito, ha escluso per sé ogni accanimento terapeutico, argomento di cui del resto aveva parlato in termini sereni e oggettivi per tutti in un lungo dialogo con Ignazio Marino. In questa notizia tuttavia l'aspetto più importante non è che egli non abbia considerato acqua da bere quella immessa col sondino, né cibo per vivere quello introdotto direttamente nell'addome (che è l'attuale oggetto del contendere) ma la motivazione che tutta la sua vita rivela di questo gesto. Sicché non tanto facilmente egli può essere usato come una bandiera nel fiero conflitto intorno ai modi del morire e a ciò che significhi «morte naturale», quando vita e morte sono ormai nelle mani di tecnici intesi come medici.
La vera motivazione di questo morire senza accanimento, per il cristiano Martini non può essere stata se non l'idea che non c'era ragione di ritardare oltre misura il suo incontro col Padre, la ragione non poteva non stare nel fatto che nel suo magistero, nel quale aveva sempre valorizzato la vita, aveva pure annunciato un'altra vita in Dio, senza più limiti di spazio e di tempo, e che la fede nella resurrezione, se era stata oggetto della sua tesi di laurea, tanto più doveva animare e motivare l'ultimo tratto della sua vita terrena.
E questa, la fede, era stata la sua vera profezia. Perché molto, su tutte le sponde, si parla della Chiesa, e molto parlano e si fanno parlare di uomini di Chiesa. Ma troppo spesso, se non quasi sempre, si dimentica che la vera posta in gioco non è una scienza, non è una politica, non è una legislazione, non è una morale, ma è la fede. La questione, la vera questione, è quella di Dio e del suo rapporto con ogni vivente.
La fede, in che cosa credere, come credere, come raccontare la fede, è stato anche il vero contenuto e il vero assillo del Concilio, ben al di là delle questioni riguardanti ministeri e primati. E ancora questa è la questione che resta, se si vuole ancora parlare con l'uomo di oggi, all'altezza dei suoi problemi. E questo era precisamente ciò che spingeva Martini a parlare a tutti e ad andare a scuola da tutti, credenti e non credenti, laici e consacrati, cattolici e altri cristiani, uomini di altre religioni e senza religione. Perché la questione non è l'appartenenza, la questione è l'amore di Dio.
Nel febbraio 1992 il cardinale Martini presiedette alle esequie del padre David Maria Turoldo, un altro cristiano libero come lui. Troppo libero perché l'istituzione ecclesiastica non ce l'avesse con lui, e infatti Turoldo, che aveva partecipato a tutte le battaglie civili e religiose, dalla Resistenza al referendum sul divorzio ai bollori del rinnovamento postconciliare, era stato perseguitato, tenuto in sospetto e messo in disparte dagli ecclesiastici in esercizio di autorità. Martini, arcivescovo a Milano, qualche mese prima che egli morisse, l'aveva accolto e stretto nell'abbraccio della Chiesa, conferendogli il Premio Lazzati e dicendo: «La Chiesa riconosce la profezia troppo tardi». Morendo, nella sua ultima omelia, Turoldo disse ai fedeli che si erano venuti ad accomiatare da lui: «La vita non finisce mai».
È lo stesso annuncio che, con la sua morte, Martini dà a tutti noi. La profezia non finisce, e nemmeno la vita. E non si tratta di accanirsi o non accanirsi, si tratta del dono di Dio che a nessun uomo o donna è negato. Questo, e non altro, deve dire «un uomo di Dio», gesuita, cardinale o papa che sia. Martini lo ha detto e lo ha testimoniato fino alla fine.
Malato da tempo di Parkinson, il cardinale Martini, come ha narrato il neurologo che lo ha avuto in cura e assistito, ha escluso per sé ogni accanimento terapeutico, argomento di cui del resto aveva parlato in termini sereni e oggettivi per tutti in un lungo dialogo con Ignazio Marino. In questa notizia tuttavia l'aspetto più importante non è che egli non abbia considerato acqua da bere quella immessa col sondino, né cibo per vivere quello introdotto direttamente nell'addome (che è l'attuale oggetto del contendere) ma la motivazione che tutta la sua vita rivela di questo gesto. Sicché non tanto facilmente egli può essere usato come una bandiera nel fiero conflitto intorno ai modi del morire e a ciò che significhi «morte naturale», quando vita e morte sono ormai nelle mani di tecnici intesi come medici.
La vera motivazione di questo morire senza accanimento, per il cristiano Martini non può essere stata se non l'idea che non c'era ragione di ritardare oltre misura il suo incontro col Padre, la ragione non poteva non stare nel fatto che nel suo magistero, nel quale aveva sempre valorizzato la vita, aveva pure annunciato un'altra vita in Dio, senza più limiti di spazio e di tempo, e che la fede nella resurrezione, se era stata oggetto della sua tesi di laurea, tanto più doveva animare e motivare l'ultimo tratto della sua vita terrena.
E questa, la fede, era stata la sua vera profezia. Perché molto, su tutte le sponde, si parla della Chiesa, e molto parlano e si fanno parlare di uomini di Chiesa. Ma troppo spesso, se non quasi sempre, si dimentica che la vera posta in gioco non è una scienza, non è una politica, non è una legislazione, non è una morale, ma è la fede. La questione, la vera questione, è quella di Dio e del suo rapporto con ogni vivente.
La fede, in che cosa credere, come credere, come raccontare la fede, è stato anche il vero contenuto e il vero assillo del Concilio, ben al di là delle questioni riguardanti ministeri e primati. E ancora questa è la questione che resta, se si vuole ancora parlare con l'uomo di oggi, all'altezza dei suoi problemi. E questo era precisamente ciò che spingeva Martini a parlare a tutti e ad andare a scuola da tutti, credenti e non credenti, laici e consacrati, cattolici e altri cristiani, uomini di altre religioni e senza religione. Perché la questione non è l'appartenenza, la questione è l'amore di Dio.
Nel febbraio 1992 il cardinale Martini presiedette alle esequie del padre David Maria Turoldo, un altro cristiano libero come lui. Troppo libero perché l'istituzione ecclesiastica non ce l'avesse con lui, e infatti Turoldo, che aveva partecipato a tutte le battaglie civili e religiose, dalla Resistenza al referendum sul divorzio ai bollori del rinnovamento postconciliare, era stato perseguitato, tenuto in sospetto e messo in disparte dagli ecclesiastici in esercizio di autorità. Martini, arcivescovo a Milano, qualche mese prima che egli morisse, l'aveva accolto e stretto nell'abbraccio della Chiesa, conferendogli il Premio Lazzati e dicendo: «La Chiesa riconosce la profezia troppo tardi». Morendo, nella sua ultima omelia, Turoldo disse ai fedeli che si erano venuti ad accomiatare da lui: «La vita non finisce mai».
È lo stesso annuncio che, con la sua morte, Martini dà a tutti noi. La profezia non finisce, e nemmeno la vita. E non si tratta di accanirsi o non accanirsi, si tratta del dono di Dio che a nessun uomo o donna è negato. Questo, e non altro, deve dire «un uomo di Dio», gesuita, cardinale o papa che sia. Martini lo ha detto e lo ha testimoniato fino alla fine.
Dalla prima pagina del Manifesto del 1 settembre 2012
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P.S. : Anche l'attore Dario Fo, che ha sempre dichiarato di essere ateo, ha deciso di lasciare il suo ricordo del cardinale Carlo Maria Martini scomparso ieri sottolineando come fosse un uomo di pace giusto, coraggioso e libero. Sono ore di grande dolore quelle che stanno trascorrendo molti cristiani che avevano avuto modo di conoscere e apprezzare il cardinale Carlo Maria Martini scomparso nel pomeriggio di ieri e che soprattutto nei cattolici milanesi aveva lasciato un importante ricordo anche dopo la fine della sua attività pastorale, ma non è solo chi ha una grande fede in Dio ha rimpiangerlo visto che anche l'attore
Dario Fo, che ha sempre dichiarato di essere ateo
ha voluto esprimere il dispiacere per questa perdita. Il premio Nobel,
infatti, ha voluto lasciare un suo ricordo del prelato alla guida della
Diocesi di Milano per ben 23 anni sottolineando i grandi valori umani
che hanno sempre caratterizzato la vita di Martini: "Era un uomo straordinario, per umanità, senso di giustizia, carità".
Martini, però, secondo Fo, al personaggio di Sant'Ambrogio che lui ha
avuto modo di raccontare a teatro, però, assomiglia poco "perché
Ambrogio era anche uno che non accettava alcun dialogo con movimenti
cristiani che non fossero scelti da lui, o che l’avessero eletto".
Il cardinal Martini, infatti, in varie occasioni nel corso della sua attività religiosa non ha mai esitato a mostrare vicinanza e solidarietà anche a chi faticava a credere nella bontà del Signore e a differenza di altri religiosi ha sempre aperto al dialogo con chi credeva in altre confessioni, ma anche con atei e agnostici: "E' stato un uomo di pace, seriamente e profondamente, e ha sempre preso posizione, anche su temi come l’accanimento terapeutico. Per uno che era l’arcivescovo di Milano, quasi un secondo Papa, significava avere un coraggio immenso. Le sue grandi capacità umane sono sempre state evidenti anche quando ha accettato di lasciare il suo posto, sollecitato da forze che si dicono cattoliche, appartenenti a un certo giro e interesse, che malvedevano il suo coinvolgere i diseredati, le persone in difficoltà, contro ogni forma di abbandono, di razzismo, di rifiuto di coloro che non hanno a che fare col potere".
Non sarà quindi semplice per Milano riuscire a rialzarsi da questo momento di dolore e inevitabilmente per tutti quelli che succederanno a lui alla guida della Diocesi di Milano sarà difficile raggiungere livelli così elevati di gradimento tra i cittadini, credenti e non.
Il cardinal Martini, infatti, in varie occasioni nel corso della sua attività religiosa non ha mai esitato a mostrare vicinanza e solidarietà anche a chi faticava a credere nella bontà del Signore e a differenza di altri religiosi ha sempre aperto al dialogo con chi credeva in altre confessioni, ma anche con atei e agnostici: "E' stato un uomo di pace, seriamente e profondamente, e ha sempre preso posizione, anche su temi come l’accanimento terapeutico. Per uno che era l’arcivescovo di Milano, quasi un secondo Papa, significava avere un coraggio immenso. Le sue grandi capacità umane sono sempre state evidenti anche quando ha accettato di lasciare il suo posto, sollecitato da forze che si dicono cattoliche, appartenenti a un certo giro e interesse, che malvedevano il suo coinvolgere i diseredati, le persone in difficoltà, contro ogni forma di abbandono, di razzismo, di rifiuto di coloro che non hanno a che fare col potere".
Non sarà quindi semplice per Milano riuscire a rialzarsi da questo momento di dolore e inevitabilmente per tutti quelli che succederanno a lui alla guida della Diocesi di Milano sarà difficile raggiungere livelli così elevati di gradimento tra i cittadini, credenti e non.
fonte: milano.ogginotizie.it
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