Franco Arminio è scrittore, poeta, documentarista, agitatore culturale
e animatore di battaglie civili, maestro. Vive e scrive a Bisaccia, in quella
che definisce Irpinia d'Oriente, ha inventato una scienza particolare: la
paesologia. Collabora con diversi giornali, dal manifesto al Mattino di Napoli
e al Corriere del Mezzogiorno, ed è animatore del blog Comunità Provvisoria. Ha
partecipato con cinque brevi racconti all'antologia Narratori delle riserve, curata
da Gianni Celati. Tra le sue pubblicazioni, Diario civile, una raccolta di
articoli edita da Sellino Editore. nel 2009 con Vento forte tra Lacedonia e
Candela (Laterza) ha vinto il Premio Napoli. Nel 2011, con Cartoline dai morti
ha vinto il Premio Stephen Dedalus per la sezione "Altre scritture".
Il suo ultimo libro è Terracarne (Mondadori, 2012). Nel 2012 è uscita per
Transeuropa una raccolta di poesie intitolata Stato in luogo.
Franco Arminio,
Piantiamo nei calanchi la ginestra di Leopardi
Il mondo si
è fatto piccolo. Trovare un angolo di silenzio è raro, trovare un angolo non
battuto da turisti, da venditori di merci o di paesaggi. Aliano e i suoi
calanchi adesso sono un miracolo. E sono un miracolo molti posti della Lucania.
Da un po' di anni ho preso a sentire i luoghi, come se avessi nostalgia di un
tempo in cui «ogni luogo era un altare».
Per anni ho scritto a gomiti chiusi sul grembiule delle mie ansie. Ho rovinato la mia vita nel pensiero che potesse finire all'improvviso. È una rovina che continua. Ma almeno adesso c'è un lato di me disteso, il lato che mi porta a girare dentro il sud, che porta tante persone a sentirmi una piccola risorsa di questo sud, un suo angolo di resistenza. So bene che questa ammirazione viene da un'infima minoranza. I paesi e le città del sud, ma anche dell'Italia e del mondo, sono dentro altre logiche. So che la mia vita non sarà tanto lunga da vedere un tempo aperto, una rivoluzione clemente. Mi aggiro tra ardori civili e intime mestizie e vorrei organizzare esperienze per me e per altri in cui ci sia spazio per quello che ci morde dentro, per l'incanto e lo sdegno che ci viene quando guardiamo il mondo.
La luna e i calanchi è l'ennesima prova per dire alla mia terra che si può stare qui lucidamente, vedendo la morte a cui siamo consegnati e vedendo quello che di volta in volta compare sulla tavola del mondo. Adesso la mia terra non è solo l'Irpinia d'Oriente, adesso la mia terra è il Salento e il Gargano, il Vulture e il Sannio, il Cilento e il Pollino, le Murgie e il Matese. Sono diventato un ricco possidente di paesaggi inoperosi e non importa se dormo poco, se per ogni momento di grazia che raggiungo ci sono molti momenti di dolore e di incomprensione.
Ultimamente sembra che il mio lavoro stia trovando un ascolto non solo letterario. È come se qualche parola cominciasse a incarnarsi nella vita degli altri. Non ne sono sicuro, non riesco a prendere mai del tutto fiducia in quel che faccio, non sono mai saldo, sono sempre stato proteso a cogliere i segni di malattia rispetto a quelli di salute. Ora però qualcosa anche in me sta cambiando. Ad Aliano sono stato contento quando ho sentito come certe belle pieghe della lingua del sud, certe indignazioni, certi incanti venivano offerti alla comunità dei calanchi da due bravissimi narratori teatrali come Egidia Bruno e Antonio Petrocelli, da una bravissima cantante come Caterina Pontrandolfo. I loro numeri non erano esibizioni di bravura, erano un gesto di affetto verso la nostra terra, verso i nostri usi e i nostri costumi. In certi momenti è come se fosse più credibile che la storia può prendere una piega nuova.
Un amico architetto parlava di me come un guru, come un leader carismatico. Se c'è un po' di verità in questa affermazione vuol dire che in certi angoli del mondo qualche sasso si smuove, qualche crepa si apre, un seme imprevisto alligna. Dal sud che mitizza la politica al sud che va dietro a un ipocondriaco come me c'è una bella differenza.
Se ad Aliano nel primo anno delle azioni paesologiche riusciamo a fare una piccola assemblea di affanni e debolezze che non cercano maschere ma compagnie, se diamo slancio ai nostri dolori per renderli più visionari, meno egoisti, avremo fatto un buon uso del grande credito concesso alla paesologia da parte del Presidente della Regione, un credito coraggioso, considerando che non promettiamo di portare turisti, ma di portare nei calanchi l'ambasciata della luna in Italia.
Capisco che ci sono esigenze impellenti, capisco che i ragazzi in quelle terre hanno poche prospettive, ma non bisogna darsi l'aria di avere una soluzione o di pensare che i bei momenti che forse costruiremo possono risolvere qualcosa. Forse bisogna proprio uscire dall'ottica della risoluzione. Il modello economico capitalista è entrato in un imbuto irreversibile proprio perché battuto da troppe aspirazioni, proprio perché si è applicato nella frenesia di un affarismo di massa. Dobbiamo mettercelo bene in testa: la vita non è un affare e se è un affare è un affare mortale. Ad Aliano la premessa filosofica di tutto è che siamo al mondo per passare il tempo e che il passare del tempo alla lunga è un veleno implacabile. Il nostro è un festival leopardiano. Si parte dall'infinita vanità del tutto, ma pensiamo di piantare nei calanchi una ginestra, la ginestra di Leopardi.
Per anni ho scritto a gomiti chiusi sul grembiule delle mie ansie. Ho rovinato la mia vita nel pensiero che potesse finire all'improvviso. È una rovina che continua. Ma almeno adesso c'è un lato di me disteso, il lato che mi porta a girare dentro il sud, che porta tante persone a sentirmi una piccola risorsa di questo sud, un suo angolo di resistenza. So bene che questa ammirazione viene da un'infima minoranza. I paesi e le città del sud, ma anche dell'Italia e del mondo, sono dentro altre logiche. So che la mia vita non sarà tanto lunga da vedere un tempo aperto, una rivoluzione clemente. Mi aggiro tra ardori civili e intime mestizie e vorrei organizzare esperienze per me e per altri in cui ci sia spazio per quello che ci morde dentro, per l'incanto e lo sdegno che ci viene quando guardiamo il mondo.
La luna e i calanchi è l'ennesima prova per dire alla mia terra che si può stare qui lucidamente, vedendo la morte a cui siamo consegnati e vedendo quello che di volta in volta compare sulla tavola del mondo. Adesso la mia terra non è solo l'Irpinia d'Oriente, adesso la mia terra è il Salento e il Gargano, il Vulture e il Sannio, il Cilento e il Pollino, le Murgie e il Matese. Sono diventato un ricco possidente di paesaggi inoperosi e non importa se dormo poco, se per ogni momento di grazia che raggiungo ci sono molti momenti di dolore e di incomprensione.
Ultimamente sembra che il mio lavoro stia trovando un ascolto non solo letterario. È come se qualche parola cominciasse a incarnarsi nella vita degli altri. Non ne sono sicuro, non riesco a prendere mai del tutto fiducia in quel che faccio, non sono mai saldo, sono sempre stato proteso a cogliere i segni di malattia rispetto a quelli di salute. Ora però qualcosa anche in me sta cambiando. Ad Aliano sono stato contento quando ho sentito come certe belle pieghe della lingua del sud, certe indignazioni, certi incanti venivano offerti alla comunità dei calanchi da due bravissimi narratori teatrali come Egidia Bruno e Antonio Petrocelli, da una bravissima cantante come Caterina Pontrandolfo. I loro numeri non erano esibizioni di bravura, erano un gesto di affetto verso la nostra terra, verso i nostri usi e i nostri costumi. In certi momenti è come se fosse più credibile che la storia può prendere una piega nuova.
Un amico architetto parlava di me come un guru, come un leader carismatico. Se c'è un po' di verità in questa affermazione vuol dire che in certi angoli del mondo qualche sasso si smuove, qualche crepa si apre, un seme imprevisto alligna. Dal sud che mitizza la politica al sud che va dietro a un ipocondriaco come me c'è una bella differenza.
Se ad Aliano nel primo anno delle azioni paesologiche riusciamo a fare una piccola assemblea di affanni e debolezze che non cercano maschere ma compagnie, se diamo slancio ai nostri dolori per renderli più visionari, meno egoisti, avremo fatto un buon uso del grande credito concesso alla paesologia da parte del Presidente della Regione, un credito coraggioso, considerando che non promettiamo di portare turisti, ma di portare nei calanchi l'ambasciata della luna in Italia.
Capisco che ci sono esigenze impellenti, capisco che i ragazzi in quelle terre hanno poche prospettive, ma non bisogna darsi l'aria di avere una soluzione o di pensare che i bei momenti che forse costruiremo possono risolvere qualcosa. Forse bisogna proprio uscire dall'ottica della risoluzione. Il modello economico capitalista è entrato in un imbuto irreversibile proprio perché battuto da troppe aspirazioni, proprio perché si è applicato nella frenesia di un affarismo di massa. Dobbiamo mettercelo bene in testa: la vita non è un affare e se è un affare è un affare mortale. Ad Aliano la premessa filosofica di tutto è che siamo al mondo per passare il tempo e che il passare del tempo alla lunga è un veleno implacabile. Il nostro è un festival leopardiano. Si parte dall'infinita vanità del tutto, ma pensiamo di piantare nei calanchi una ginestra, la ginestra di Leopardi.
Dal manifesto del 14 settembre 2012
Angelo Mastrandrea, Aliano, a
scuola di paesologia
Nel paese
del confino di Carlo Levi si ritrovano contadini contemporanei, neoruralisti,
seguaci della decrescita e della paesologia. Un anno di azioni politiche e
culturali per combattere lo spopolamento delle aree interne del sud. Nel segno
della vita «slow»
Cicinieddo,
quattrocento, serpentino, curdone, ramato, vietro, carosedda rossa, carosedda
bianca, mazzuto, cappella, maionica, granuario, grano bianco, maccarunaro,
riscuolo. I nomi delle antiche varietà di grano sono diventati una filastrocca
cilentana, con influssi agro-nocerino sarnesi, nella bocca di Angelo Avagliano.
Lo ascoltano in trecento, nel nuovissimo auditorium comunale di Aliano, a
cinquanta passi dalla casa in cui fu confinato Carlo Levi e un chilometro circa
dal cimitero in cui lo scrittore del Cristo si è fermato a Eboli si fece
seppellire.
Angelo Avagliano si definisce un «contadino contemporaneo». Quasi vent'anni fa decise di lasciare la sua città, Salerno, per ritirarsi sui monti del Cilento, a Pruno, uno dei pochissimi borghi rurali sopravvissuti in Europa, dove per arrivarci fino a qualche anno fa bisognava scarpinare per sette chilometri. Anche i pastori lo abbandonavano per andare a svernare verso il mare, dove il clima è decisamente più mite. Oggi una strada per fortuna è stata costruita, ma il paese più vicino continua a chiamarsi Piaggine e non New York, e come buona parte dei paesi dell'entroterra appenninico si va svuotando perché il turbocapitalismo impone una velocità doppia o perfino tripla rispetto ai ritmi che la vita ha da queste parti, e chi rallenta è perduto. A Pruno sono rimasti in venticinque. Uno di questi è Avagliano, l'unico ad aver compiuto il percorso inverso, dalla città alla campagna, in direzione della decrescita e della slow life, una vita a misura di Magna Grecia. A Pruno il «contadino contemporaneo» Avagliano, refrattario alla modernità ma perfettamente globalizzato («la prima volta che in vita mia ho messo piede in una banca è stato per sottoscrivere le azioni del manifesto», ci fa sapere) ha messo in piedi un progetto di ruralità contemporanea, fatto di «accoglienza per viaggiatori lenti, decrescita tra nomadesimo e radici, permacoltura indigena non accademica», recupero dei grani antichi che nessuno più coltiva.
Le trecento persone che stanno ad ascoltarlo sono state radunate qui ad Aliano da Franco Arminio, scrittore-poeta-paesologo,sarebbe meglio definirlo agitatore culturale, che a questo punto della sua vita si è posto un obiettivo: far rivivere un paese semi-abbandonato del sud Italia chiamandovi scrittori, artisti, seguaci della decrescita e neoruralisti a occuparlo per un anno intero, per farne un laboratorio culturale che rimetta al centro il tema della bellezza e del rapporto con il paesaggio. Aliano è un luogo altamente simbolico, oltre ad essere particolarmente suggestivo: il fatto che quassù si salisse «a balzelloni», come raccontava Levi, che la strada si arrotolasse come un verme tra due burroni e poi finisse nel nulla lo rendeva un ideale luogo di confino agli occhi del fascismo. Così, quando l'antifascista torinese arrivò, nell'agosto del '36, vi trovò già una decina di altri esiliati e un podestà la cui principale attività era quella di controllarli.
Ieri e oggi
Oggi Aliano non è più quella descritta da Carlo Levi. Il paesaggio rimane immutato, «da ogni parte non c'erano che precipizi di argilla bianca, su cui le case stavano come librate nell'aria», ma la popolazione è quasi dimezzata rispetto ad allora. Tra il comune e la frazione di Alianello, qualche chilometro più in giù, vivono appena 1.100 persone. Uno di questi ha costruito una casa blu notte che spicca tra i colori lunari di questo posto come un monumento alla caduta del gusto e ai danni, estetici prima di tutto, provocati da una crescita mal-educata. La casa di Levi rimane l'ultima del paese, affacciata su una distesa sterminata di calanchi, è stata ristrutturata come tutto il quartiere attorno, fino alla piazza su cui affaccia il Municipio, e il tutto diventerà un borgo albergo, ci spiega il sindaco Luigi De Lorenzo, riparato da malelingue e tirapiedi grazie alle tipiche facciate «con gli occhi» anti-malocchio che ricordano come i tempi in cui Ernesto de Martino arrivava da queste parti a indagare sul sud e la magia non sono poi così lontani.
Benvenuti al Sud
E' il turismo l'ultimo miraggio per questi luoghi, ora che è chiaro che il sogno di diventare il Texas italiano grazie alle non ancora precisamente quantificate riserve petrolifere rimarrà tale. A ricordarlo è l'oleodotto, un altro monumento alla modernità fallita, che attraversa la valle e fa da bussola ai viandanti sperduti: seguendolo si arriva a Taranto, a sud c'è il Pollino, a nord si risale verso Matera. I pozzi della val d'Agri pompano 15 mila barili al giorno di petrolio, che finiscono in questo gigantesco tubo metallico che sega in due il panorama desertico. Da tempo è in corso una battaglia tra chi, le compagnie petrolifere, vorrebbe mano libera per ulteriori trivellazioni e chi invece, gli ambientalisti, denuncia lo sfruttamento del territorio. Il presidente della Regione Vito de Filippo, a capo di una giunta di centrosinistra, proviene da Sant'Arcangelo, un paese vicino ad Aliano, per questo motivo sente particolarmente la questione e coraggiosamente promette: «Finché ci sarò io non autorizzerò alcun altro pozzo». Vedremo come se la caverà con il piano Passera e gli facciamo i migliori auguri.
Da queste parti ha destato molta impressione come il paesino cilentano di Castellabate sia stato rivoluzionato nella sua quiete da un film che ha avuto un gran successo di pubblico: Benvenuti al sud. In fondo, il sogno di chi vive in questi luoghi è semplicemente quello di evitare che quest'ultimi si trasformino in paesi per vecchi, come ospizi di gran lusso, mentre i giovani continuano a essere costretti a emigrare. Pure il «modello Castellabate» mostra però i suoi limiti: nessuno ne può più dei vacanzieri alla ricerca dell'ufficio postale, che non esiste se non nel film, mentre la dura realtà è che a Castellabate la Posta è stata soppressa.
L'albergo diffuso
Morigerati è un piccolo comune del Cilento nell'entroterra del golfo di Policastro, pressoché ignoto alle mappe geografiche. Il sindaco Cono D'Elia e la sua amministrazione hanno avviato un progetto che si chiama «Radici». In buona sostanza, l'idea è quella di riallacciare un rapporto con gli emigranti, ormai diventati più numerosi dei cittadini. Così D'Elia e i suoi assessori e consiglieri hanno sistemato le case inutilizzate per accogliere chi è andato via e i loro discendenti. In particolare, spiega il sindaco, «abbiamo un rapporto con la comunità di San Paolo, in Brasile, e ogni anno ospitiamo una quarantina di italo-brasiliani».
A Caselle in Pittari, non molto lontano, un gruppo di giovani non disposti a lasciare il paese come la gran parte dei loro coetanei hanno invece messo in piedi una Festa del grano. Agli stage sulla mietitura prendono parte tanti ragazzi che, cancellata dai loro padri la cultura contadina, hanno voglia di recuperare la memoria dei luoghi. Il Palio del grano, in estate, è una gara di mietitura tra gli otto rioni e otto paesi «compari» gemellati con essi.
In pochi sanno che da quelle parti c'è stata una «repubblica rossa», per 37 giorni dal 16 ottobre del 1943. La fondarono i contadini di Sanza, guidati da un emigrante di ritorno, Tommaso Ciorciari, comunista e antifascista. Fu una repubblica autarchica che riuscì a inglobare anche Caselle in Pittari, il socialismo in un paese solo ma di appena tremila abitanti, dove meno di un secolo prima aveva provato a portare la rivoluzione Carlo Pisacane, al prezzo della vita sua e dei trecento «giovani e forti» che lo avevano seguito nell'impresa.
I «parlamenti comunitari»
Tutte queste storie le abbiamo apprese partecipando ai «parlamenti comunitari» di Aliano, seguendo le tracce di Franco Arminio e della sua paesologia. «Non sono un filosofo, non sono uno che produce concetti. Non sono un politico, uno che dovrebbe risolvere problemi. Sono uno che scrive, produco visioni senza l'obbligo che siano coerenti», ha scritto qualche tempo fa sul suo blog Comunità provvisorie. Arminio è convinto che se ci sarà una rinascita in Italia, verrà dai paesi e non dalle città, e che se dovesse scoppiare un nuovo '68, sarà «il '68 delle montagne» e non quello di Saint Germain o Valle Giulia. Intanto gli va riconosciuto un merito: di riuscire a smuovere energie laddove tutto appare fermo, di creare spazi pubblici di discussione nei luoghi più impensati, di innescare scintille che un giorno potrebbero provocare incendi o fuocherelli. Per niente facile, qui a Mezzogiorno. Peccato che la politica segua poco le sue «visioni», come quando propose di ripopolare i paesi dell'Appennino con gli immigrati. Ne avrebbero beneficiato gli uni e gli altri, probabilmente.
Angelo Avagliano si definisce un «contadino contemporaneo». Quasi vent'anni fa decise di lasciare la sua città, Salerno, per ritirarsi sui monti del Cilento, a Pruno, uno dei pochissimi borghi rurali sopravvissuti in Europa, dove per arrivarci fino a qualche anno fa bisognava scarpinare per sette chilometri. Anche i pastori lo abbandonavano per andare a svernare verso il mare, dove il clima è decisamente più mite. Oggi una strada per fortuna è stata costruita, ma il paese più vicino continua a chiamarsi Piaggine e non New York, e come buona parte dei paesi dell'entroterra appenninico si va svuotando perché il turbocapitalismo impone una velocità doppia o perfino tripla rispetto ai ritmi che la vita ha da queste parti, e chi rallenta è perduto. A Pruno sono rimasti in venticinque. Uno di questi è Avagliano, l'unico ad aver compiuto il percorso inverso, dalla città alla campagna, in direzione della decrescita e della slow life, una vita a misura di Magna Grecia. A Pruno il «contadino contemporaneo» Avagliano, refrattario alla modernità ma perfettamente globalizzato («la prima volta che in vita mia ho messo piede in una banca è stato per sottoscrivere le azioni del manifesto», ci fa sapere) ha messo in piedi un progetto di ruralità contemporanea, fatto di «accoglienza per viaggiatori lenti, decrescita tra nomadesimo e radici, permacoltura indigena non accademica», recupero dei grani antichi che nessuno più coltiva.
Le trecento persone che stanno ad ascoltarlo sono state radunate qui ad Aliano da Franco Arminio, scrittore-poeta-paesologo,sarebbe meglio definirlo agitatore culturale, che a questo punto della sua vita si è posto un obiettivo: far rivivere un paese semi-abbandonato del sud Italia chiamandovi scrittori, artisti, seguaci della decrescita e neoruralisti a occuparlo per un anno intero, per farne un laboratorio culturale che rimetta al centro il tema della bellezza e del rapporto con il paesaggio. Aliano è un luogo altamente simbolico, oltre ad essere particolarmente suggestivo: il fatto che quassù si salisse «a balzelloni», come raccontava Levi, che la strada si arrotolasse come un verme tra due burroni e poi finisse nel nulla lo rendeva un ideale luogo di confino agli occhi del fascismo. Così, quando l'antifascista torinese arrivò, nell'agosto del '36, vi trovò già una decina di altri esiliati e un podestà la cui principale attività era quella di controllarli.
Ieri e oggi
Oggi Aliano non è più quella descritta da Carlo Levi. Il paesaggio rimane immutato, «da ogni parte non c'erano che precipizi di argilla bianca, su cui le case stavano come librate nell'aria», ma la popolazione è quasi dimezzata rispetto ad allora. Tra il comune e la frazione di Alianello, qualche chilometro più in giù, vivono appena 1.100 persone. Uno di questi ha costruito una casa blu notte che spicca tra i colori lunari di questo posto come un monumento alla caduta del gusto e ai danni, estetici prima di tutto, provocati da una crescita mal-educata. La casa di Levi rimane l'ultima del paese, affacciata su una distesa sterminata di calanchi, è stata ristrutturata come tutto il quartiere attorno, fino alla piazza su cui affaccia il Municipio, e il tutto diventerà un borgo albergo, ci spiega il sindaco Luigi De Lorenzo, riparato da malelingue e tirapiedi grazie alle tipiche facciate «con gli occhi» anti-malocchio che ricordano come i tempi in cui Ernesto de Martino arrivava da queste parti a indagare sul sud e la magia non sono poi così lontani.
Benvenuti al Sud
E' il turismo l'ultimo miraggio per questi luoghi, ora che è chiaro che il sogno di diventare il Texas italiano grazie alle non ancora precisamente quantificate riserve petrolifere rimarrà tale. A ricordarlo è l'oleodotto, un altro monumento alla modernità fallita, che attraversa la valle e fa da bussola ai viandanti sperduti: seguendolo si arriva a Taranto, a sud c'è il Pollino, a nord si risale verso Matera. I pozzi della val d'Agri pompano 15 mila barili al giorno di petrolio, che finiscono in questo gigantesco tubo metallico che sega in due il panorama desertico. Da tempo è in corso una battaglia tra chi, le compagnie petrolifere, vorrebbe mano libera per ulteriori trivellazioni e chi invece, gli ambientalisti, denuncia lo sfruttamento del territorio. Il presidente della Regione Vito de Filippo, a capo di una giunta di centrosinistra, proviene da Sant'Arcangelo, un paese vicino ad Aliano, per questo motivo sente particolarmente la questione e coraggiosamente promette: «Finché ci sarò io non autorizzerò alcun altro pozzo». Vedremo come se la caverà con il piano Passera e gli facciamo i migliori auguri.
Da queste parti ha destato molta impressione come il paesino cilentano di Castellabate sia stato rivoluzionato nella sua quiete da un film che ha avuto un gran successo di pubblico: Benvenuti al sud. In fondo, il sogno di chi vive in questi luoghi è semplicemente quello di evitare che quest'ultimi si trasformino in paesi per vecchi, come ospizi di gran lusso, mentre i giovani continuano a essere costretti a emigrare. Pure il «modello Castellabate» mostra però i suoi limiti: nessuno ne può più dei vacanzieri alla ricerca dell'ufficio postale, che non esiste se non nel film, mentre la dura realtà è che a Castellabate la Posta è stata soppressa.
L'albergo diffuso
Morigerati è un piccolo comune del Cilento nell'entroterra del golfo di Policastro, pressoché ignoto alle mappe geografiche. Il sindaco Cono D'Elia e la sua amministrazione hanno avviato un progetto che si chiama «Radici». In buona sostanza, l'idea è quella di riallacciare un rapporto con gli emigranti, ormai diventati più numerosi dei cittadini. Così D'Elia e i suoi assessori e consiglieri hanno sistemato le case inutilizzate per accogliere chi è andato via e i loro discendenti. In particolare, spiega il sindaco, «abbiamo un rapporto con la comunità di San Paolo, in Brasile, e ogni anno ospitiamo una quarantina di italo-brasiliani».
A Caselle in Pittari, non molto lontano, un gruppo di giovani non disposti a lasciare il paese come la gran parte dei loro coetanei hanno invece messo in piedi una Festa del grano. Agli stage sulla mietitura prendono parte tanti ragazzi che, cancellata dai loro padri la cultura contadina, hanno voglia di recuperare la memoria dei luoghi. Il Palio del grano, in estate, è una gara di mietitura tra gli otto rioni e otto paesi «compari» gemellati con essi.
In pochi sanno che da quelle parti c'è stata una «repubblica rossa», per 37 giorni dal 16 ottobre del 1943. La fondarono i contadini di Sanza, guidati da un emigrante di ritorno, Tommaso Ciorciari, comunista e antifascista. Fu una repubblica autarchica che riuscì a inglobare anche Caselle in Pittari, il socialismo in un paese solo ma di appena tremila abitanti, dove meno di un secolo prima aveva provato a portare la rivoluzione Carlo Pisacane, al prezzo della vita sua e dei trecento «giovani e forti» che lo avevano seguito nell'impresa.
I «parlamenti comunitari»
Tutte queste storie le abbiamo apprese partecipando ai «parlamenti comunitari» di Aliano, seguendo le tracce di Franco Arminio e della sua paesologia. «Non sono un filosofo, non sono uno che produce concetti. Non sono un politico, uno che dovrebbe risolvere problemi. Sono uno che scrive, produco visioni senza l'obbligo che siano coerenti», ha scritto qualche tempo fa sul suo blog Comunità provvisorie. Arminio è convinto che se ci sarà una rinascita in Italia, verrà dai paesi e non dalle città, e che se dovesse scoppiare un nuovo '68, sarà «il '68 delle montagne» e non quello di Saint Germain o Valle Giulia. Intanto gli va riconosciuto un merito: di riuscire a smuovere energie laddove tutto appare fermo, di creare spazi pubblici di discussione nei luoghi più impensati, di innescare scintille che un giorno potrebbero provocare incendi o fuocherelli. Per niente facile, qui a Mezzogiorno. Peccato che la politica segua poco le sue «visioni», come quando propose di ripopolare i paesi dell'Appennino con gli immigrati. Ne avrebbero beneficiato gli uni e gli altri, probabilmente.
IL MANIFESTO
14 settembre 2012
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