Riprendo
da http://cedocsv.blogspot.it/
l’editoriale
pubblicato oggi dal Corriere della Sera,
insieme ad una breve nota introduttiva che condivido in pieno specialmente quando penso a quello che accade da tempo nella Regione Sicilia:
“Lo scandalo
che ha travolto la Regione Lazio non può essere ridotto a un semplice, anche se
grave, fenomeno di malcostume. Rappresenta invece, insieme al governo dei
"tecnici" e alla "politica industriale" di Marchionne
l'immagine più chiara della fine della democrazia in un'Italia dove la gente
comune (il volgo, si sarebbe detto in altra epoca) deve produrre sempre di più
e consumare sempre meno per saziare gli appetiti di un ceto di parassiti fuori
dalla storia come gli aristocratici dell'Ancient Regime. A quando la presa
della Bastiglia?”
Ernesto Galli della Loggia - Molte spese pochi valori
Quando la
quantità di un fenomeno supera una certa misura, ciò ne cambia la qualità, esso
diviene qualcos'altro. E dunque non si può definire semplicemente corruzione,
sprechi, malgoverno quanto sta emergendo a proposito del modo d'essere delle
istituzioni regionali nel nostro Paese. Che va aggiunto, per l'appunto, alle
note ruberie dei vari Lusi e Belsito e dei loro molti complici, nonché alla
pervicace volontà dei partiti, dimostrata in mille occasioni e ancora
pochissimi giorni fa al Senato, di continuare a non dare conto del modo in cui
impiegano il fiume di soldi dei contribuenti ottenuti grazie a delibere da loro
stessi approvate nei consigli comunali, provinciali, regionali e per finire
nelle aule parlamentari. Né vale dire, mi sembra — come ha fatto proprio sul
Corriere di ieri il presidente Onida — che la colpa è degli uomini, degli
eletti, i quali poi, secondo quanto prescritto dal Porcellum, sarebbero in
realtà dei «nominati». Infatti gli orribili e patetici figuri della maggioranza
del Consiglio regionale del Lazio (di cui voglio sperare che il Pdl non osi
ripresentare nelle proprie liste neppure uno), così come i consiglieri
dell'Udc, del Pd e dell'Idv, loro complici nella finanza allegra e nelle
smisurate appropriazioni, sono stati tutti eletti da migliaia e migliaia di
preferenze (come del resto Formigoni, come Penati, come Lombardo, e come mille
altri). Altro che nominati!
In realtà
ciò che è sotto i nostri occhi è il collasso dell'intera piramide del ceto
politico a partire dalla sua base, dall'ambito elettivo locale. È tutto
l'edificio della rappresentanza che sta sprofondando nel malgoverno. Ormai
perfino gruppi parlamentari veri e propri, per non dire di moltissimi gruppi
dei consigli comunali e regionali, hanno la loro vera ed esclusiva ragione
d'essere nell'appropriazione del pubblico denaro. Interi gruppi di delibere,
intere filiere amministrative, blocchi di uffici e di assessorati (penso alla
sanità, alla «formazione», al demanio), centinaia di società per azioni
pubbliche, esistono principalmente in funzione esclusivo dell'uso
privato-politico-clientelare dei soldi dell'erario.
Ma il
collasso/incanaglimento del ceto politico non nasce, ripeto, dalla nequizia dei
singoli o dall'assenza di controlli (che naturalmente potrebbero sempre essere
accresciuti e migliorati). La sua causa vera, così come la causa della sua
vastità capillare, sta altrove: sta nella disintegrazione del quadro generale —
ideale e istituzionale — in cui quel ceto è chiamato ad agire. Chi oggi inizia
a far politica in Italia non ha più alcun riferimento storico-ideologico forte,
non può ricollegarsi ad alcun valore; in senso proprio non sa più a nome di
quale Paese parla, anche perché ben raramente ne conosce la storia e perfino la
lingua; l'Italia che gli viene in mente può essere al massimo quella del made
in Italy. Per una ragione o per l'altra, poi, tutto l'orizzonte simbolico ma
anche pratico sul cui sfondo è nata e vissuta la Repubblica gli si presenta in
pezzi. La politica, i partiti, l'antifascismo, l'intervento pubblico, il
Welfare, la mobilità sociale, il lavoro hanno perduto qualunque capacità
mobilitante, non rappresentano più quelle rassicuranti (e plausibili) linee
d'azione che rappresentavano un tempo: andrebbero ripensate da cima a fondo ma
nessuno lo fa.
Quando
perfino il destino di una fabbrica locale sembra dipendere (e dipende!) da
Bruxelles, da Francoforte o da Pechino, tutto ciò che si richiama alle vecchie
culture politiche della nostra tradizione democratica suona irreale, morto.
Anche la Costituzione dovrebbe essere urgentemente aggiornata ma nessuno osa
provarci veramente. Le assemblee elettive, infine, tutte le assemblee elettive,
languono da anni in una crescente irrilevanza funzionale, testimoniata dal
numero sempre più ridicolmente basso dei giorni in cui siedono e dei
provvedimenti che riescono a varare.
Chi
s'inoltra oggi sul sentiero della politica s'inoltra dunque in un vuoto abitato
dal nulla. Che non a caso attira perlopiù solo donne e uomini vuoti, senza idee
né principi. Che una volta eletti sono destinati a passare il proprio tempo in
un'aula come fossero pesci in un acquario: impegnati a muoversi senza un vero
scopo, a dare vita a finte passioni e a finte battaglie, il loro unico scopo è
restare in attesa del cibo. Chi vuole avere un'idea del senso d'inutilità e di
frustrazione che oggi può provare nel nostro Paese chi è chiamato ad
amministrare e pure ha idee e passioni vere, legga la desolante
confessione-testimonianza che un galantuomo a diciotto carati come l'attuale
sindaco di Forlì, Roberto Balzani, ha consegnato a un libro appena uscito dal
Mulino, Cinque anni di solitudine: un titolo che dice tutto.
Sono questa
solitudine e questo vuoto; meglio: questa mancanza di adeguati presupposti
ideali e istituzionali, questa inconsistenza e irrilevanza che ha oggi l'agire
politico in Italia, la vera causa della corruzione e del malgoverno dilaganti.
Oggi in politica si ruba perché non c'è nient'altro da fare, perché la politica
non riesce a essere e ad animare più nulla: neppure quella cosa che si chiama
governo, che infatti abbiamo dovuto affidare a un «tecnico». Domandiamoci con
spregiudicata sincerità: che cos'altro può fare di davvero significativo per il
suo presente e per il suo futuro un consigliere, un deputato o un assessore
qualunque, di questi tempi, se non cercare di rimpannucciarsi come meglio può,
e costruirsi una bella clientela personale? Smettiamola di illuderci: non più
presidiata dalla forza delle idee e dall'autorevolezza delle istituzioni, la
politica è un territorio destinato inevitabilmente a cadere nelle mani dei Lusi
e dei Fiorito. Come del resto sta puntualmente avvenendo.
(Da: Il
Corriere della Sera del 25 settembre 2012)
P.S. : ANCHE LA CEI DICE LA SUA SULL'ULTIMO SCANDALO:
Anche la Chiesa s’indigna
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2012)
Sulle macerie d’Italia il cardinale Bagnasco si schiera dalla parte della “rabbia degli onesti” contro la corruzione e gli scandali esplosi nelle Regioni. Immoralità e malaffare al centro e in periferia - scandisce - provocano “indignazione” mentre la classe politica “continua a sottovalutare” il marcio.
“Possibile che l’arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato?”, esclama. Sono parole forti quelle del presidente della Cei ad apertura dei lavori del Consiglio permanente, ma pronunciate come se la Chiesa istituzionale in questi vent’anni fosse stata super partes, inesorabile nel combattere malapolitica e malaffare.
Ma non è così. Nella lunga stagione berlusconiana, la Cei è stata alla finestra mentre si stravolgeva la legalità, si approvava la “modica quantità” di falso in bilancio, si aggredivano i giudici, si approvava il “Porcellum” e ninfette labbra-a-canotto calavano tra i “rappresentanti del popolo”.
Sì, a volte qualche bacchettata cardinalizia colpiva le indecenze più eccessive, richiamando i comandamenti della Costituzione, ma appena si doveva dire “basta” sul serio - Boffo ci provò sul giornale dei vescovi tre anni fa - il direttore dell’Avvenire fu lasciato decapitare da Feltri e la gerarchia ecclesiastica si è riallineata nel tacito appoggio al Cavaliere. La spina è stata staccata solo quando l’Europa ha deciso.
Anche ora il “cattolico impegnato in politica” Formigoni può mentire agli elettori su vacanze pagate dai lobbisti (si è mai visto qualcuno rimborsare un amico per migliaia di euro, tirando rotoli di banconote dalla tasca, senza usare un assegno o una carta di credito?) e sostenere con impudenza che il Papa prega per lui, mentre i vertici della Chiesa tacciono su questo strano credente.
Manca nella relazione al Consiglio permanente una riflessione autocritica. Certo, i cittadini sanno, come Bagnasco, che in alto si parla di austerità e tagli e poi “si scopre che ovunque si annidano cespiti di spesa assurdi e incontrollati”.
Però quanti vescovi nelle realtà locali hanno ignorato le malversazioni di fameliche classi dirigenti, cercando di ottenere qualche sussidio per le proprie opere? Ai cittadini il presidente della Cei chiede di vigilare sui propri governanti con un “più penetrante discernimento, per non cadere in tranelli mortificanti la stessa democrazia”. Si può dire che la gerarchia ecclesiastica questo discernimento lo ha sempre esercitato verso i governi passati? Non è poi trascorso tanto tempo da quando il cardinale Ruini premeva su Casini perché tornasse ad appoggiare il Berlusconi degli scandali.
E tuttavia l’intervento di Bagnasco rivela la grande preoccupazione che la Chiesa nel suo complesso fatta di preti, parrocchie, suore, diocesi, associazioni e anche vescovi e singoli fedeli - nutre per la crisi attuale. Undici milioni di euro sono stati raccolti per realizzare una ventina di Centri di comunità nelle zone terremotate dell’Emilia. Le Caritas regionali sono in azione. C’è allarme per i giovani immersi in un eterno precariato, allarme per la disoccupazione e l’inoccupazione e la “supremazia arbitraria della finanza” sulla viva società. C’è angoscia per il crescere della povertà. Bagnasco ribadisce l’importanza della “lotta inesorabile alla corruzione”.
Sul piano delle prospettive politiche la Cei si muove con cautela. Chi pensa che sarà neutrale alle elezioni, si sbaglia. La strategia è di rafforzare il Nuovo Centro di Casini e andare a un Monti-Bis o almeno una riedizione della grande coalizione (come risulta dall’indagine Ipsos/Acli sull’elettorato cattolico). Perciò la relazione insiste sulla necessità che il Governo continui il suo lavoro e “metta il Paese al riparo definitivo” da rischi e capitolazioni. Bagnasco esorta i politici a “non bruciare alcun ponte” e si spende per “competenza e autorevolezza” riconosciute internazionalmente.
Durissimo l’attacco del presidente della Cei all’ipotesi di una legge sulle coppie di fatto (implicitamente anche all’adozione di figli da parte di coppie gay) e all’autodeterminazione del paziente nel testamento biologico rudemente ricompresa nell’etichetta di “eutanasia”. Con toni da pre-campagna elettorale Bagnasco lancia l’allarme sulle “conseguenze nefaste di apparenti avanguardie?”. É un avvertimento pesante al centro-sinistra. Alle elezioni la Cei ci sarà eccome, e il Consiglio permanente di gennaio darà il là.
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P.S. : ANCHE LA CEI DICE LA SUA SULL'ULTIMO SCANDALO:
Anche la Chiesa s’indigna
di Marco Politi (il Fatto Quotidiano, 25 settembre 2012)
Sulle macerie d’Italia il cardinale Bagnasco si schiera dalla parte della “rabbia degli onesti” contro la corruzione e gli scandali esplosi nelle Regioni. Immoralità e malaffare al centro e in periferia - scandisce - provocano “indignazione” mentre la classe politica “continua a sottovalutare” il marcio.
“Possibile che l’arruolamento nelle file della politica sia ormai così degradato?”, esclama. Sono parole forti quelle del presidente della Cei ad apertura dei lavori del Consiglio permanente, ma pronunciate come se la Chiesa istituzionale in questi vent’anni fosse stata super partes, inesorabile nel combattere malapolitica e malaffare.
Ma non è così. Nella lunga stagione berlusconiana, la Cei è stata alla finestra mentre si stravolgeva la legalità, si approvava la “modica quantità” di falso in bilancio, si aggredivano i giudici, si approvava il “Porcellum” e ninfette labbra-a-canotto calavano tra i “rappresentanti del popolo”.
Sì, a volte qualche bacchettata cardinalizia colpiva le indecenze più eccessive, richiamando i comandamenti della Costituzione, ma appena si doveva dire “basta” sul serio - Boffo ci provò sul giornale dei vescovi tre anni fa - il direttore dell’Avvenire fu lasciato decapitare da Feltri e la gerarchia ecclesiastica si è riallineata nel tacito appoggio al Cavaliere. La spina è stata staccata solo quando l’Europa ha deciso.
Anche ora il “cattolico impegnato in politica” Formigoni può mentire agli elettori su vacanze pagate dai lobbisti (si è mai visto qualcuno rimborsare un amico per migliaia di euro, tirando rotoli di banconote dalla tasca, senza usare un assegno o una carta di credito?) e sostenere con impudenza che il Papa prega per lui, mentre i vertici della Chiesa tacciono su questo strano credente.
Manca nella relazione al Consiglio permanente una riflessione autocritica. Certo, i cittadini sanno, come Bagnasco, che in alto si parla di austerità e tagli e poi “si scopre che ovunque si annidano cespiti di spesa assurdi e incontrollati”.
Però quanti vescovi nelle realtà locali hanno ignorato le malversazioni di fameliche classi dirigenti, cercando di ottenere qualche sussidio per le proprie opere? Ai cittadini il presidente della Cei chiede di vigilare sui propri governanti con un “più penetrante discernimento, per non cadere in tranelli mortificanti la stessa democrazia”. Si può dire che la gerarchia ecclesiastica questo discernimento lo ha sempre esercitato verso i governi passati? Non è poi trascorso tanto tempo da quando il cardinale Ruini premeva su Casini perché tornasse ad appoggiare il Berlusconi degli scandali.
E tuttavia l’intervento di Bagnasco rivela la grande preoccupazione che la Chiesa nel suo complesso fatta di preti, parrocchie, suore, diocesi, associazioni e anche vescovi e singoli fedeli - nutre per la crisi attuale. Undici milioni di euro sono stati raccolti per realizzare una ventina di Centri di comunità nelle zone terremotate dell’Emilia. Le Caritas regionali sono in azione. C’è allarme per i giovani immersi in un eterno precariato, allarme per la disoccupazione e l’inoccupazione e la “supremazia arbitraria della finanza” sulla viva società. C’è angoscia per il crescere della povertà. Bagnasco ribadisce l’importanza della “lotta inesorabile alla corruzione”.
Sul piano delle prospettive politiche la Cei si muove con cautela. Chi pensa che sarà neutrale alle elezioni, si sbaglia. La strategia è di rafforzare il Nuovo Centro di Casini e andare a un Monti-Bis o almeno una riedizione della grande coalizione (come risulta dall’indagine Ipsos/Acli sull’elettorato cattolico). Perciò la relazione insiste sulla necessità che il Governo continui il suo lavoro e “metta il Paese al riparo definitivo” da rischi e capitolazioni. Bagnasco esorta i politici a “non bruciare alcun ponte” e si spende per “competenza e autorevolezza” riconosciute internazionalmente.
Durissimo l’attacco del presidente della Cei all’ipotesi di una legge sulle coppie di fatto (implicitamente anche all’adozione di figli da parte di coppie gay) e all’autodeterminazione del paziente nel testamento biologico rudemente ricompresa nell’etichetta di “eutanasia”. Con toni da pre-campagna elettorale Bagnasco lancia l’allarme sulle “conseguenze nefaste di apparenti avanguardie?”. É un avvertimento pesante al centro-sinistra. Alle elezioni la Cei ci sarà eccome, e il Consiglio permanente di gennaio darà il là.
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Un amico carissimo mi ha segnalato un link che giro: http://www.sostienecardulli.it/wordpress/cari-consiglieri-regionali-del-pd/
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