Grillo con il suo movimento sta, più o meno abilmente, sfruttando la crescente sfiducia nei confronti dei partiti e della classe politica ( la Casta) che ha governato l’Italia. Propongo di seguito tre diverse letture del fenomeno fatte da Umberto Eco, Michele Ciliberto e Carlo Freccero.
Umberto Eco, Perché i politici non capiscono
Giovanna
Cosenza, nel suo
recente "Spotpolitik" (Laterza), studia la perdurante incapacità
della classe politica italiana a comunicare in modo persuasivo coi suoi
elettori. Certamente si è quasi abbandonato il politichese burocratico, anche
se ancora Cosenza ne ritrova spietatamente le tracce in un comunicatore della
nuova generazione come Vendola. E non tanto da Berlusconi ma
addirittura da Kennedy era iniziata l'era della comunicazione politica
basata non sul simbolo o sul programma bensì sull'immagine (e il corpo) del
candidato. E ancora assistiamo al passaggio, definitivo e ormai inevitabile,
dal comizio allo spot pubblicitario. Ma mi pare che su un punto questo libro
ritorni dall'inizio alla fine: i nostri politici non riescono a comunicare
perché quando parlano non si identificano coi problemi della gente a cui si
rivolgono, ma sono incentrati "autoreferenzialmente" sui loro
problemi privati.
Ma come, anche Berlusconi, che ha saputo parlare con parole semplici, slogan
efficaci, approcci basati sul sorriso e addirittura sulla barzelletta? Anche.
Forse non in quei momenti felici in cui ha saputo porsi dal punto di vista dei
suoi ascoltatori e - interpretando i loro desideri più inconfessati - ha detto
loro che era giusto non pagare le tasse; ma in generale, e specie negli ultimi
tempi, egli parlava ossessivamente dei suoi nemici, di chi gli remava contro,
dei magistrati che gli volevano male, e non del fatto che la "gente"
stava avvertendo la crisi economica che poi non è più riuscito a nascondere.
Ora, lasciando ai lettori il gusto di centellinare le cattiverie che Cosenza
non risparmia a nessuno (e forse il più bersagliato è Bersani), vorrei
chiedermi perché i nostri uomini di governo non sanno immedesimarsi nei
problemi delle persone comuni. La risposta l'aveva data tempo fa Hans Magnus
Enzesberger in un articolo (non ricordo più con che titolo e dove l'avesse
pubblicato) in cui rilevava che l'uomo politico contemporaneo è l'essere più
separato dalla gente comune perché vive in fortini protetti, viaggia in
automobili blindate, si muove contornato da gorilla, e pertanto la gente la
vede ormai solo di lontano, né gli capita mai di fare la spesa in un
supermercato o la coda a uno sportello comunale. La politica, minacciata dal
terrorismo, ha dato vita ai membri di una casta condannata a non sapere nulla
del paese che deve governare. Casta sì, ma nel senso dei paria indiani,
tagliati fuori dal contatto con gli altri esseri umani.
Soluzioni? Occorrerebbe stabilire che l'uomo politico non può stare né al
governo né in parlamento se non per un periodo molto limitato (diciamo i cinque
anni di una legislatura o, a essere indulgenti, due). Dopo dovrebbe tornare a
vivere da persona normale, senza scorta, come prima. E se poi, dopo un
determinato periodo di attesa, ritornasse al potere, avrà avuto alcuni anni di
esperienze quotidiane fuori-casta.
Questa idea potrebbe suggerirne un'altra: non dovrebbe esistere una categoria
di politici di professione, e parlamento e governo dovrebbero essere lasciati a
cittadini normali che decidono di servire il paese per un breve periodo. Ma
sarebbe un errore, e dannosissimo, da grillismo deteriore.
Chi si dedica al mestiere della politica, in varie organizzazioni, apprende
delle tecniche di gestione della cosa pubblica e, vorrei dire, un'etica della
dedizione, come accadeva ai politici professionisti della Dc o del Pci che
facevano generosa gavetta nelle associazioni giovanili e poi nel partito. E,
per la scelta che avevano fatto, non avevano messo insieme imprese private,
studi professionali, fabbrichette o imprese edili, e quindi, entrati in
parlamento o al governo, non erano tentati di salvaguardare o addirittura
incrementare le proprie ricchezze - come accade invece a chi, messo in
parlamento da un Capo a cui poi deve rendere quel favore e dal quale riceve
l'esempio di un disinvolto conflitto d'interessi, è portato a imitarlo. Che
poi, anche lavorando in un partito, si possa cedere alla corruzione, sarebbe
malaugurato incidente, ma non farebbe parte di un sistema.
Da La bustina di Minerva, L’ESPRESSO, 12
giugno 2012
Ma come, anche Berlusconi, che ha saputo parlare con parole semplici, slogan efficaci, approcci basati sul sorriso e addirittura sulla barzelletta? Anche. Forse non in quei momenti felici in cui ha saputo porsi dal punto di vista dei suoi ascoltatori e - interpretando i loro desideri più inconfessati - ha detto loro che era giusto non pagare le tasse; ma in generale, e specie negli ultimi tempi, egli parlava ossessivamente dei suoi nemici, di chi gli remava contro, dei magistrati che gli volevano male, e non del fatto che la "gente" stava avvertendo la crisi economica che poi non è più riuscito a nascondere.
Ora, lasciando ai lettori il gusto di centellinare le cattiverie che Cosenza non risparmia a nessuno (e forse il più bersagliato è Bersani), vorrei chiedermi perché i nostri uomini di governo non sanno immedesimarsi nei problemi delle persone comuni. La risposta l'aveva data tempo fa Hans Magnus Enzesberger in un articolo (non ricordo più con che titolo e dove l'avesse pubblicato) in cui rilevava che l'uomo politico contemporaneo è l'essere più separato dalla gente comune perché vive in fortini protetti, viaggia in automobili blindate, si muove contornato da gorilla, e pertanto la gente la vede ormai solo di lontano, né gli capita mai di fare la spesa in un supermercato o la coda a uno sportello comunale. La politica, minacciata dal terrorismo, ha dato vita ai membri di una casta condannata a non sapere nulla del paese che deve governare. Casta sì, ma nel senso dei paria indiani, tagliati fuori dal contatto con gli altri esseri umani.
Soluzioni? Occorrerebbe stabilire che l'uomo politico non può stare né al governo né in parlamento se non per un periodo molto limitato (diciamo i cinque anni di una legislatura o, a essere indulgenti, due). Dopo dovrebbe tornare a vivere da persona normale, senza scorta, come prima. E se poi, dopo un determinato periodo di attesa, ritornasse al potere, avrà avuto alcuni anni di esperienze quotidiane fuori-casta.
Questa idea potrebbe suggerirne un'altra: non dovrebbe esistere una categoria di politici di professione, e parlamento e governo dovrebbero essere lasciati a cittadini normali che decidono di servire il paese per un breve periodo. Ma sarebbe un errore, e dannosissimo, da grillismo deteriore.
Chi si dedica al mestiere della politica, in varie organizzazioni, apprende delle tecniche di gestione della cosa pubblica e, vorrei dire, un'etica della dedizione, come accadeva ai politici professionisti della Dc o del Pci che facevano generosa gavetta nelle associazioni giovanili e poi nel partito. E, per la scelta che avevano fatto, non avevano messo insieme imprese private, studi professionali, fabbrichette o imprese edili, e quindi, entrati in parlamento o al governo, non erano tentati di salvaguardare o addirittura incrementare le proprie ricchezze - come accade invece a chi, messo in parlamento da un Capo a cui poi deve rendere quel favore e dal quale riceve l'esempio di un disinvolto conflitto d'interessi, è portato a imitarlo. Che poi, anche lavorando in un partito, si possa cedere alla corruzione, sarebbe malaugurato incidente, ma non farebbe parte di un sistema.
Michele Ciliberto,
Chi lavora per un’uscita neo-giacobina dalla crisi.
Merita una breve
riflessione la vivace discussione sulle
posizioni politiche di Grillo e sul linguaggio che usa sul suo blog.
Quali ne sono gli obiettivi, di quale ideologia esso è espressione (posto,
naturalmente, che, come io penso, una domanda di questo tipo abbia senso)?
Volendo usare una formula, approssimativa come tutte le formule, credo si possa
qualificarla come una ideologia di tipo neo-giacobino.
Ora, perché il movimento di Grillo,
basato su una ideologia di questo tipo cresce e si espande? La
risposta sembra semplice e scontata: per la crisi della democrazia italiana di
cui è al tempo stesso effetto e motore, e per il disprezzo oggi così diffuso
verso la politica e le istituzioni rappresentative. Giusto. Ma non è una
risposta sufficiente; bisogna approfondire, e per farlo occorre
sottolineare questo termine: «rappresentativo», perché qui sta il punto
decisivo.
Quelli
che si riconoscono in Grillo sono contro la democrazia rappresentativa ma non,
in generale, contro la democrazia.
Sono per
la democrazia diretta, e non è una differenza da poco. Anzi,
essi contrappongono democrazia diretta imperniata sul web e democrazia
rappresentativa, vedendo in questa l’origine di tutti i mali.
L’antipolitica
di cui tanto si parla, al fondo, è precisamente questo: un rifiuto drastico, e
totale, della democrazia rappresentativa. In questo senso, l’ideologia di Grillo è un effetto
e, al tempo stesso, una proposta di soluzione della crisi della sovranità
aperta da tempo in Italia e acuitasi al massimo con la decomposizione del berlusconismo.
Sta qui l’origine delle sue scelte politiche e anche del suo linguaggio: la
democrazia diretta, infatti, è strutturalmente estremista, oltranzista, e
sfocia naturaliter nel dispotismo perché cancella la divisione tra i poteri,
come ci hanno spiegato i classici.
Da questo punto di vista
l’ideologia di Grillo è spia, e indice, di processi profondi della nostra
società, e perciò riscuote consensi. Quelle che oggi sono in discussione sono
infatti le forme di soluzione della crisi della democrazia italiana e le
prospettive, e le alleanze, attraverso cui questo può avvenire. Problema, e
discussione, assai vasti perché in campo è una pluralità di opzioni (compresa,
ovviamente, quella di tipo tecnocratico). Qui mi soffermo però solo su questa
alternativa: se si
debba procedere in direzione della democrazia diretta e verso una soluzione in
termini neo-giacobini della crisi (senza peraltro che sia stato chiarito di
cosa, in effetti, si tratti); o se si debba lavorare, e in che modo, per
ricostruire le basi, e le forme, della nostra democrazia rappresentativa.
Ridotti all’osso, e
semplificando, sono questi i termini dello scontro che c’è stato in questi
giorni. Oggi si contrappongono frontalmente, e in modo violento, opposte
opzioni su quali debbano essere, dopo la decomposizione del berlusconismo, le
fondamenta della Repubblica, a cominciare dai rapporti fra i poteri: esecutivo,
legislativo, giudiziario. È perciò che in questo periodo si sono intensificati,
da un lato, la
frantumazione e la scomposizione dei vecchi schieramenti;
dall’altro la
tendenziale ricollocazione di tutte le forze in campo, con il
prodursi di convergenze e, parallelamente, di conflitti che fino a poco tempo
fa sarebbero apparsi impensabili.
Qualora questa analisi
abbia un fondamento un punto appare chiaro: se nel quadro di una normale
dialettica politica le forze che si dichiarano progressiste intendono fermare
il movimento di Grillo, o limitarne il consenso, esse devono avere la piena
consapevolezza della posta in gioco che tocca il problema della sovranità nel
nostro Paese, e richiede perciò di essere considerata a un duplice livello.
Quello che segnala
la crescita del movimento di Grillo è, precisamente, questa forte esigenza di
democrazia diretta presente, in varie forme, nel nostro Paese. Questo è, oggi, il problema di
fondo per le forze che si dicono progressiste, sia sul piano teorico che su
quello politico. E in questo quadro anche le primarie possono essere uno
strumento importante, ma senza pensare che esse possano risolvere, da sole, un
problema vasto e complesso come questo.
Quella che è aperta in
Italia è una partita assai difficile, che peserà sul futuro. Ma non si tratta
di un problema solo italiano. Il partito
dei pirati che ha conseguito un importante, e sorprendente,
risultato alle ultime elezioni amministrative a Berlino, ha fatto suo il motto
di Willy Brandt: «Osare più democrazia», sostenendo una visione
radicale della democrazia diretta attraverso l’uso di internet e una riduzione
dei propri rappresentanti alla funzione di delegati, cancellando anche in
questo caso il momento della mediazione. In altri termini, il partito dei
pirati ha rovesciato
in modo integrale il rapporto tra democrazia diretta e democrazia
rappresentativa.
Questa è la posta in gioco,
anche in Italia. E ha ragione Roberto Weber: sbaglia chi dà per acquisita la
vittoria delle forze progressiste. In Italia una soluzione neo-giacobina (continuo a usare questa
formula approssimativa) può anche prevalere. È diventato ormai
di moda usare il termine populismo in modo indifferenziato (le parole si
consumano!) e i neo-giacobini ne sono, certo, una specie; ma assai particolare.
Se sono pericolosi per la democrazia rappresentativa, come i tecnocrati o altri
tipi di populisti, non lo sono pero allo stesso modo. Siamo seduti su un
vulcano; bisognerebbe prenderne coscienza, una volta per tutte.
Da
L’unità, 30 agosto 2012
Carlo Freccero: Fascista no, è il Funari del web
INTERVISTA a Carlo
Freccero di Daniela Preziosi.
Freccero: è
una parola che da anni nessuno più pronunciava, lì per lì ho esultato «Bersani
sbaglia. Quel comico è l'«A bocca aperta» della rete, dove ormai la critica
esplode dopo vent'anni di censura. Chi criticava era bollato come
irresponsabile» «Doveva rispondere. Spiegare perché per anni i suoi hanno
fornicato in parlamento con ex piduisti»
«C'è una
notizia buona e una cattiva. Quella buona è che la parola 'fascista' torna ad
essere un insulto. Finora era un elogio. Quella cattiva è che quest'insulto è
stato lanciato a sinistra». Ma come?, Grillo «il fascista», parola di Bersani,
è di sinistra? Risponde Carlo Freccero, il genio e la sregolatezza della tv,
esperto di comunicazione, prima innovatore del Biscione poi, a fasi alterne, in
onda e in soffitta a seconda del tasso di censura in Rai. Quindi parecchio in
soffitta negli ultimi anni e con chiunque al governo, dopo quella sua bella Rai
2 dove passò il meglio della satira italiana - Guzzanti, Luttazzi -, i primi
della lista nel diktat bulgaro di Berlusconi.
Grillo è di sinistra?
Grillo non è di destra né di sinistra, come dice lui. È un disfattista. Un qualunquista. Ma non un fascista. Lavora nella rete, ma senza olii e manganelli. Lui e tutto il suo mondo web rispondono al bisogno viscerale di critica a lungo represso da una operazione di censura durata vent'anni. E condivisa da tutti. Ha iniziato dicendo che l'Italia andava a rotoli. E ora ha successo perché esprime le sue critiche. Fa capire che il 'demos' è privato di ogni potere decisionale. Che quando Violante fa accuse di «populismo giudiziario» significa che il Pd ha introiettato il dogma berlusconiano secondo cui la magistratura è un ostacolo alla democrazia. Grillo ricorda che la sedicente opposizione non ha mai fatto davvero opposizione. Che Veltroni diceva di Gianni Letta che era un ottimo ministro. È vero che quella di Grillo è una critica disordinata, un'erbaccia che cresce spontanea un po' ovunque. Ma è lo spirito del tempo, è la contemporaneità: oggi la critica è mescolata, acefala. Non per nulla la maschera di tutta questa opposizione è Anonymous.
La strategia di Grillo una testa ce l'ha, ed è il web guru Casaleggio.
E quando per esempio parla di cancro, Grillo mi fa paura e mi fa venire in mente il dottor Di Bella. Ma Grillo non ha un progetto alternativo, tutti sanno che non potrebbe governare. I grillini sono le pulci che urlano allo scandalo, convinti che se non ci fosse la corruzione tutto andrebbe bene. E non è vero. Il loro mondo è un po' di lotta alla casta alla Rizzo e Stella, un po' di denuncia alla Gabanelli, un po' d'altro. Ma non dà un'alternativa e per questo alla fine resta dentro la logica del sistema. E infatti Grillo non critica Bersani perché è troppo liberista. È l'«a bocca aperta» del web, il Funari della rete.
Bersani lo sfida perché lo teme?
Bersani non afferra. È esplosa la critica. Fin qui non si poteva criticare: si era tacciati di poco realismo, di irresponsabilità, di eccesso. Del resto lui è diventato leader perché ha fatto 'le lenzuolate'.
È diventato segretario perché era realista e moderato?
Non è stato mai aggressivo con la destra. Non ha mai dato del fascista a chi esaltava Mussolini. Ora si sta aggiornando, è gia qualcosa.
Oggi dice che Grillo usa un linguaggio fascista.
Infatti in un primo momento sono rimasto persino colpito, contentissimo: erano anni che non sentivo qualcuno di sinistra dare del fascista. Una boccata d'aria. Ci sono ancora i giornali che vendono la vita di Mussolini in dispense. Ricordo il discorso «sui ragazzi di Salò» di Violante, tutto un elogio. Il giorno delle foibe è più celebrato del 25 aprile.
Bersani ha trovato un po' di grinta e vocabolario?
Questa lite è un grande rivelatore. Qualcosa si è aperto. Stavolta Bersani non va più solo in cerca di Monti e dei moderati, ma deve rivolgersi anche verso questo magma dove c'è populismo e insofferenza. Benvenga, il Pd non può restare chiuso nei suoi tatticismi. Grillo può essere un dispositivo attraverso cui parlare a questo mondo. Non può liquidarlo come fascista. È più complesso. È stato un errore di comunicazione.
È la stessa opinione di alcuni sondaggisti. Perché secondo lei Bersani ha sbagliato?
Doveva rispondere nel merito. È un politico, deve farlo. Ma insomma, fino a un anno fa la critica più dura che il Pd ha faceva al Pdl era 'noi siamo più bravi di voi'. Quell'era è finita. Sembrava che a sinistra non sarebbe più successo niente e invece. Ma la critica non la si può trattare come si fece con Rifondazione, con la motivazione che erano quattro gatti. Tanto più con un Nichi Vendola addomesticato. Ora la critica viene da un mondo vasto e trasversale, dal web dove la gente si esprime liberamente come fossero centinaia di migliaia di Luttazzi: e come fai a censurarli tutti? Sono il 20, il 15, il 10 per cento. Tantissimi comunque, ci devi fare i conti. Non si potrà più far finta di niente con le firme che ha raccolto Grillo, con quelle sui referendum elettorali, sull'acqua, quelle a sostegno dei magistrati. Anche Napolitano dovrebbe capirlo. Grillo rischia di essere il ripostiglio, il serbatoio dove finiranno quelli che non vorranno votare Pd.
Bersani dice: vengano fuori dal web. Come se la rete fosse un rifugio per pavidi. Le vecchie fogne.
È incredibile, non capisce il web. Lui lì non sta bene perché lì non si scelgono candidati, non si fanno trattative, lì Casini non conta nulla. Ma sul web succedono cose: corre la critica al liberismo, e non certo sul sito di Grillo. E attenzione, se tu accendi la paglia, poi l'incendio si sviluppa. Lì la censura non è solo antiquata, è impossibile. Pensa alla figuraccia che stanno facendo l'America e la Gran Bretagna di fronte ad Assange. Se Obama non fa qualcosa, questa vicenda gli ricadrà addosso.
Ma la rete è tutt'altro che è il luogo naturale della democrazia.
Infatti non la esalto. Ma l'utente web è più informato e più competente che quello dei media tradizionali. Lì ogni cosa può essere sottoposta a critica. E Bersani deve capire che la critica ha diritto ad esistere.
'Zombie' o 'piduista' non è una critica ma un insulto, dice Bersani.
E lui faccia vedere che si muove.
Se un politico si becca un insulto non deve reagire?
Deve rispondere, deve motivare. Sappiamo tutti è che per anni il centrosinistra ha fornicato con il centrodestra e con gli ex piduisti. C'è bisogno di ricordare che non ha fatto una legge sul conflitto di interessi? Corrado Guzzanti faceva una magnifica parodia di Rutelli: «Vi abbiamo portato l'acqua con le orecchie».
Grillo è di sinistra?
Grillo non è di destra né di sinistra, come dice lui. È un disfattista. Un qualunquista. Ma non un fascista. Lavora nella rete, ma senza olii e manganelli. Lui e tutto il suo mondo web rispondono al bisogno viscerale di critica a lungo represso da una operazione di censura durata vent'anni. E condivisa da tutti. Ha iniziato dicendo che l'Italia andava a rotoli. E ora ha successo perché esprime le sue critiche. Fa capire che il 'demos' è privato di ogni potere decisionale. Che quando Violante fa accuse di «populismo giudiziario» significa che il Pd ha introiettato il dogma berlusconiano secondo cui la magistratura è un ostacolo alla democrazia. Grillo ricorda che la sedicente opposizione non ha mai fatto davvero opposizione. Che Veltroni diceva di Gianni Letta che era un ottimo ministro. È vero che quella di Grillo è una critica disordinata, un'erbaccia che cresce spontanea un po' ovunque. Ma è lo spirito del tempo, è la contemporaneità: oggi la critica è mescolata, acefala. Non per nulla la maschera di tutta questa opposizione è Anonymous.
La strategia di Grillo una testa ce l'ha, ed è il web guru Casaleggio.
E quando per esempio parla di cancro, Grillo mi fa paura e mi fa venire in mente il dottor Di Bella. Ma Grillo non ha un progetto alternativo, tutti sanno che non potrebbe governare. I grillini sono le pulci che urlano allo scandalo, convinti che se non ci fosse la corruzione tutto andrebbe bene. E non è vero. Il loro mondo è un po' di lotta alla casta alla Rizzo e Stella, un po' di denuncia alla Gabanelli, un po' d'altro. Ma non dà un'alternativa e per questo alla fine resta dentro la logica del sistema. E infatti Grillo non critica Bersani perché è troppo liberista. È l'«a bocca aperta» del web, il Funari della rete.
Bersani lo sfida perché lo teme?
Bersani non afferra. È esplosa la critica. Fin qui non si poteva criticare: si era tacciati di poco realismo, di irresponsabilità, di eccesso. Del resto lui è diventato leader perché ha fatto 'le lenzuolate'.
È diventato segretario perché era realista e moderato?
Non è stato mai aggressivo con la destra. Non ha mai dato del fascista a chi esaltava Mussolini. Ora si sta aggiornando, è gia qualcosa.
Oggi dice che Grillo usa un linguaggio fascista.
Infatti in un primo momento sono rimasto persino colpito, contentissimo: erano anni che non sentivo qualcuno di sinistra dare del fascista. Una boccata d'aria. Ci sono ancora i giornali che vendono la vita di Mussolini in dispense. Ricordo il discorso «sui ragazzi di Salò» di Violante, tutto un elogio. Il giorno delle foibe è più celebrato del 25 aprile.
Bersani ha trovato un po' di grinta e vocabolario?
Questa lite è un grande rivelatore. Qualcosa si è aperto. Stavolta Bersani non va più solo in cerca di Monti e dei moderati, ma deve rivolgersi anche verso questo magma dove c'è populismo e insofferenza. Benvenga, il Pd non può restare chiuso nei suoi tatticismi. Grillo può essere un dispositivo attraverso cui parlare a questo mondo. Non può liquidarlo come fascista. È più complesso. È stato un errore di comunicazione.
È la stessa opinione di alcuni sondaggisti. Perché secondo lei Bersani ha sbagliato?
Doveva rispondere nel merito. È un politico, deve farlo. Ma insomma, fino a un anno fa la critica più dura che il Pd ha faceva al Pdl era 'noi siamo più bravi di voi'. Quell'era è finita. Sembrava che a sinistra non sarebbe più successo niente e invece. Ma la critica non la si può trattare come si fece con Rifondazione, con la motivazione che erano quattro gatti. Tanto più con un Nichi Vendola addomesticato. Ora la critica viene da un mondo vasto e trasversale, dal web dove la gente si esprime liberamente come fossero centinaia di migliaia di Luttazzi: e come fai a censurarli tutti? Sono il 20, il 15, il 10 per cento. Tantissimi comunque, ci devi fare i conti. Non si potrà più far finta di niente con le firme che ha raccolto Grillo, con quelle sui referendum elettorali, sull'acqua, quelle a sostegno dei magistrati. Anche Napolitano dovrebbe capirlo. Grillo rischia di essere il ripostiglio, il serbatoio dove finiranno quelli che non vorranno votare Pd.
Bersani dice: vengano fuori dal web. Come se la rete fosse un rifugio per pavidi. Le vecchie fogne.
È incredibile, non capisce il web. Lui lì non sta bene perché lì non si scelgono candidati, non si fanno trattative, lì Casini non conta nulla. Ma sul web succedono cose: corre la critica al liberismo, e non certo sul sito di Grillo. E attenzione, se tu accendi la paglia, poi l'incendio si sviluppa. Lì la censura non è solo antiquata, è impossibile. Pensa alla figuraccia che stanno facendo l'America e la Gran Bretagna di fronte ad Assange. Se Obama non fa qualcosa, questa vicenda gli ricadrà addosso.
Ma la rete è tutt'altro che è il luogo naturale della democrazia.
Infatti non la esalto. Ma l'utente web è più informato e più competente che quello dei media tradizionali. Lì ogni cosa può essere sottoposta a critica. E Bersani deve capire che la critica ha diritto ad esistere.
'Zombie' o 'piduista' non è una critica ma un insulto, dice Bersani.
E lui faccia vedere che si muove.
Se un politico si becca un insulto non deve reagire?
Deve rispondere, deve motivare. Sappiamo tutti è che per anni il centrosinistra ha fornicato con il centrodestra e con gli ex piduisti. C'è bisogno di ricordare che non ha fatto una legge sul conflitto di interessi? Corrado Guzzanti faceva una magnifica parodia di Rutelli: «Vi abbiamo portato l'acqua con le orecchie».
il
manifesto il 29 agosto 2012.
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