La parola (laica) di Don Milani
Valeria Milani (curatrice anche della cronologia del Meridiano Mondadori appena pubblicato) è figlia di Adriano, fratello maggiore di Lorenzo (e suo medico personale): il suo punto di osservazione è di certo prezioso. Le abbiamo chiesto di questa attenzione nei confronti del valore della parola, e racconta come Don Milani sia stato “un prete particolare anche per questo. Entra in seminario all’età di vent’anni, già grande, e quindi crescendo in un ambiente completamente diverso, affidato alla cura di balie rigorosamente tedesche, da una madre di origine ebraica. La figura del padre Albano era del tutto inedita, così come gran parte del resto della famiglia. Noi nipoti non sapevamo degli interessi e delle sue attività culturali e lavorative, che invece hanno un enorme riflesso per conoscere a fondo la sua personalità”. Il libro ricostruisce con lettere e documenti il rapporto del figlio Lorenzo con suo padre, e il legame familiare costituito dallo strumento della parola, approfondito nel capitolo iniziale.
Dare la parola(e ascoltare la parola altrui) per don Milani significa ampliare il vocabolario dei suoi allievi e sviluppare una capacità critica che permetta loro di comprendere il mondo, e il senso della propria esistenza. In questo modo ogni esperienza si nutre attraverso il filtro della conoscenza, ricorrendo a materie e discipline del sapere diverse e tra loro comparate; vale a dire, il tipo di educazione ricevuta dal giovane Lorenzo. La parola quale veicolo affettivo e insieme apprendimento, è dunque lo strumento di comunicazione privilegiato nella famiglia Milani, naturale elemento di dialogo e confronto; questo stesso strumento si rivelerà decisivo nel rapporto del Lorenzo adulto con i ragazzi di Barbiana. Un insegnamento che ancora oggi rimane insostituibile: scoprire il terreno di un linguaggio condiviso, dove l’ascolto diviene componente altrettanto essenziale di un medesimo percorso di avvicinamento verso l’altro.
Al centro di qualsiasi ragionamento riguardante don Milani il cuore pulsante resta il mondo della scuola. Per questo va letto quanto scritto da Andrea Schiavon, che ancora si concentra sull’utilizzo determinante della parola sin dal titolo (“Don Milani. Parole per timidi e disobbedienti”, Add editore), testimoniando sul campo quanto e in che modo venga diffusa negli istituti scolastici di oggi, al nord e al sud della Penisola, anticipando quanto voluto dalla Ministra dell’Istruzione Valeria Fedeli, in queste settimane impegnata in un’iniziativa dal forte contenuto simbolico: promuovere in ogni scuola italiana la lettura e lo studio di don Milani, soffermandosi su alcuni vocaboli essenziali per diffonderne il pensiero tra le nuove generazioni.
In tal senso, è suggestivo quanto scritto da Eraldo Affinati nel suo “L’uomo del futuro”, altro titolo emblematico a cui viene aggiunta l’eredità di intenti raccolta dall’autore: “Sulle strade di don Lorenzo Milani” (Mondadori).
Chi conosce il lavoro quotidiano di Affinati attraverso l’attività della scuola Penny Wirton da lui fondata, non può non riconoscere una legittima ispirazione. Visitando i locali della sede in un giorno qualunque, per osservare le lezioni tenute da insegnanti di ieri e di domani, si ritrova quanto espresso nel progetto: “Spesso si parte da zero e si procede con cautela, senza fretta, con persone che non hanno mai frequentato una scuola in vita loro e sono appena approdati in questo nostro nuovo mondo linguistico: è emozionante vedere come imparano a riconoscere e a riprodurre prima i segni, poi le intere parole, e come riescono a comunicare le loro storie , le loro idee e le loro speranze”. Già in queste note, la presenza di don Milani appare più viva che mai; e gli ultimi di oggi, di varia origine e provenienza, sono i fratelli degli ultimi di Barbiana.
La sua personalità è stata quella di un uomo il quale, come ognuno di noi, può essere criticato e criticabile, ma non certo messo in discussione per quanto sia riuscito a costruire per realizzare un sistema educativo migliore, migliore perché più aperto, non più condizionato dalla separazione in classi sociali, tra genti più ricche e più povere, più fortunate e meno. Un’idea di scuola inclusiva e ricettiva; un’idea che torna utile giusto ora, in questi giorni, in queste ore in cui una legge che dovrebbe essere in vigore da tempo e da tutti condivisa, quella dello Ius soli, viene osteggiata e messa in discussione da persone subdole e in malafede, oltre che (poco) vagamente razziste, in evidente e pericoloso ritardo con il divenire della Storia, quella con la maiuscola.
L’appuntamento del 20 giugno, scelto da Papa Francesco per celebrare i cinquanta anni del prete di Barbiana nel suo luogo di vita e di istruzione, assume il significato di un risarcimento dovuto, seppur tardivo, all’insegnamento umano impartito da un prete troppo spesso in questo mezzo secolo allontanato, per non dire rimosso, da gran parte della comunità cattolica italiana. Alberto Manzi, un altro grande maestro del nostro passato, ci ricorda che non è mai troppo tardi.
EMILIANO SBARAGLIA, 20 giugno 2017.
Articolo tratto da http://www.minimaetmoralia.it/
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