Il leader morale del mondo
di Christian Raimo
Antonio Spadaro ha poco di cinquant’anni è un prete e un comunicatore, è un gesuita ed è il direttore di Civiltà cattolica. Quando lo incontro a Roma, a via di Porta Pinciana, nella sede della rivista, in una mattinata di primavera precoce, la prima cosa che penso che è mi sembra una persona molto felice di quello che fa. È orgoglioso della sua rivista, e mi fa vedere le cinque edizioni che sono state stampate apposta per il numero 4000. Sfoglio la versione coreana che è effettivamente bellissima da un punto di vista grafico, e poi mi fa accomodare nella parete della letteratura, circonfuso dall’alone di Flannery O’ Connor e Cormac McCarthy.
Partiamo da colleghi? Da giornalista di una rivista simbolica della controcultura come Rollingstone al direttore della rivista cattolica più importante, Civiltà cattolica: ci incrociamo oggi ma ci siamo incrociati per la prima volta vent’anni fa in un festival di scrittura. Tu eri un giovane prete e critico e io un giovane scrittore. Sei sempre stato un battitore libero all’interno del mondo culturale della chiesa: il tuo interesse forte per scritture giovanili, letteratura contemporanea americana. Oggi quell’intuizione ha avuto un riconoscimento e tu hai un ruolo istituzionale.
Sentivo negli anni novanta e duemila una grande energia, la sentivo soprattutto nelle scritture dei ventenni, dei trentenni. Ho cominciato a scriverne per Civiltà cattolica. Forse perché non vedevo effettivamente nel mondo della chiesa persone che avessero interesse per la scrittura creativa, per la narrativa. Questo mi ha dato una sensibilità, ho imparato molto. E pensavo di continuare per questa strada, e poi mi sono imbattuto nella rete: mi sono accorto che quest’energia si era spostata lì, nelle scritture sui primi blog, nelle scritture personali. E il progetto che ho fondato, rivista e laboratorio di scrittura, Bombacarta, è nato lì. Pensa che anche il papa da giovane insegnava scrittura creativa al liceo. Ancora: ho cominciato a scrivere delle culture digitali: su cos’era il podcast, cos’era Secondlife. Anche qui ancora ho trovato una forte energia. A un certo punto – e siamo arrivati nel 2011 – mi è stato chiesto di dirigere Civilità cattolica. E lì mi sono trovato di fronte a un paradosso apparente: occuparmi di ipercontemporaneo nella rivista più antica d’Italia, fondata nel 1850, e la seconda più antica del mondo dopo La revue du monde, più antica di The nation. Ho cercato di portarmi dentro tutta questa energia in una rivista istituzionale: e allora ho visto cosa voleva dire innovazione nel 1850, cosa voleva dire fare una rivista in italiano per esempio, o secondo la tecnologia tipografica del tempo.
Questo tuo approccio curioso, famelico di contemporaneità, da quella che tu chiami cyberteologia a una Civiltà cattolica aperta alle serie tv, ai fenomeni anche più contraddittori della rete, ha ricevuto una nuova legittimazione, o una nuova spinta sicuramente con l’inizio del pontificato di Papa Francesco. Il papa si fida di te da subito, mi sembra. Cosa cambia? Quest’energia sembra assumere una qualità teologica?
Questo pontificato mi è esploso davanti. Io già nel papato di Benedetto XVI ero stato nominato Consultore del Pontificio Consiglio delle comunicazioni e di quello della cultura, ma con Francesco è successo qualcosa per la mia vita personale. Quando ho cominciato a sentirlo parlare – io non lo conoscevo – ho sentito una sintonia anche di carisma. Un giorno mi ha telefonato, provocandomi una specie di infarto: sono papa Francesco… Aveva letto un mio librino proprio sul passaggio tra Benedetto e lui. La mia impressione di questo pontefice in tutta la mia frequentazione da allora – le interviste che gli ho fatto, gli incontri e i viaggi – è di essere seduto vicino a un vulcano in eruzione. Ho percepito sempre – ancora – un’energia enorme, che fluiva però con continua calma. In questo momento, guardando la situazione del mondo – come mi ha detto un leader musulmano che lo conosce – è che il 13 marzo 2013 non sia stato eletto solo il capo della chiesa cattolica, ma un leader morale del mondo. E questo oggi lo sento quanto mai vero, vedendo la tensione, la paura, i muri che vengono costruiti: è l’unica grande figura di riferimento globale. Mi fa sentire una gigantesca responsabilità perché questa rivista, Civiltà cattolica è ed era e lui la sente come la sua rivista. Questo dall’altra parte però non vuol dire che sia un papa che va interpretato, comunicato, perché è un papa che non ha bisogno di mediazioni.
In che senso? È autoriferito?
No, il contrario. È diretto, è trasparente. Ti faccio un esempio: in un colloquio con la nostra redazione, ci ha parlato dell’importanza dell’immaginazione, e ci ha spinto a occuparci di cultura, di musica, di arte e di cinema. E quello che ho colto in quella conversazione e in altri casi è la sua grande sensibilità letteraria, lì citò I fari di Baudelaire. Ma non era una citazione messa lì a bella vista, in un’altra telefonata me la citò tutta in francese e spesso cita scrittori e poeti a memoria. Ama certi pittori e ne dà una lettura propria. Uno di questi è il fiammingo Memling . Oppure cita brani dall’opera lirica.
E quale è il tuo rapporto con lui?
Mi sono reso conto è quello che io sento di fare è un dialogo ininterrotto con il suo pensiero – non come un interprete ma come uno che parla della sua esperienza – o parlando con lui o leggendo i suoi testi o accompagnandolo nei viaggi, che è una cosa enorme. È una cosa enorme vedere cosa fa, come si comporta in viaggio, quali sono i suoi gesti, stare in sua prossimità. Il suo messaggio non sono solo le sue idee, ma passa attraverso il suo corpo. Io vedo proprio sulla corporeità una differenza tra due giganteschi comunicatori, tra Giovanni Paolo II e Francesco: Giovanni Paolo II aveva una grande esperienza di teatro, del teatro della parola, che lo segnò profondamente: Karol Woytla nasce poeta e attore, in un momento molto teso della storia polacca. Per Giovanni Paolo II la parola dava il ritmo al gesto, la cosa più importante era la parola. Mi ricordo un suo cd fatto dalla Sony in cui sembra che lui canti: aveva un ritmo di parola. Nel caso di Francesco è quasi l’opposto: è il gesto la fonte della parola. La parola accompagna il gesto. Nell’intervista che mi ha dato con i discorsi di quando era vescovo a Buenos Aires, mi ha colpito perché mi ha detto: il senso più spirituale è il tatto. Che è l’opposto di quello che normalmente si crede, perché si pensa che il senso più spirituale sia la vista, la contemplazione. Questo dice quanto per lui sia importante la prossimità. Anche quando predica ha bisogno di guardare qualcuno. E non è un caso che il libro abbia come titolo Nei tuoi occhi la mia parola. Lo ha scelto lui. Per questo le omelie di Santa Marta, queste omelie quotidiane fatte davanti a quaranta persone sono la sorgente del suo pensiero, che poi confluisce in testi più ufficiali.
E da vicino come è?
Beh, fisicamente alle volte si sbilancia a tal punto che sembra che cada. Io lo vedo nei viaggi, quando si proietta sulle persone, non le accarezza dall’alto, ma si sposta, perde l’equilibrio, si sbraccia, e a volte per questo cade, inciampa proprio, ruzzola. Però non si fa male. Quindi si lascia cadere. Dice: proprio non pongo resistenza, mi lascio cadere, e così non mi faccio niente. Dei colpi al cuore ovviamente mi vengono!
Rispetto a quello che anche un non credente definisce cultura e comunicazione, come parleresti di Spirito Santo?
Quando il papa ci ha detto di essere una rivista cattolica, ci ha detto di essere uno sguardo sul mondo con gli occhi di Cristo, non come se fossimo noi a portare qualcosa. Ci ha detto di non essere mai rivista da sagrestia. Lo Spirito Santo è attivo in tutte le culture, in tutte le civiltà. Perché Dio è il dio delle sorprese, è sempre più grande delle nostre aspettative. Francesco ci ha detto: siate scrittori dal pensiero incompleto, che pensano a come le tensioni si risolvano nell’unità, e di come davvero l’eucarestia e la misericordia possa essere un motore geopolitico.
E invece qual è il rapporto della chiesa con una rete sempre più privatizzata, da Google a Facebook?
La grande domanda del teologo è come il web si inserisce nel progetto di Dio sull’umanità. Noi sappiamo che c’è la grazia e il peccato. La rete si manifesta come luogo altamente spirituale, perché appunto c’è molto bene e molto male. Io vedo che quegli haters di cui si discute nel dibattito pubblico esistono e fanno danni per esempio negli ambienti cattolici più reazionari. La cosa ovviamente non si risolve uscendo dalla rete, ma entrandoci di più. Anche quando è nata Civiltà cattolica la sfida era di fare una rivista non in latino, ma nell’italiano delle riviste militanti, degli anarchici, dei liberali, dei socialisti: ormai la stampa c’era e i quotidiani vendevano migliaia di copie, non si poteva tornare indietro, oggi è la stessa cosa con la rete, occorre confrontarsi con le censure, cercare un’internazionalismo vero.
Il papa nella sua lettera diretta ai giovani fa un invito raro: nella grande società dell’insicurezza, non promette rassicurazione, paternalismo, controllo, ordine, ma rovescia questa retorica, e dice rischiate, sostiene che la sfida della propria vita non si giochi su un piano personale, morale, ma su quello collettivo, politico. Tu come la interpreti questa lettera?
Questo discorso del rischio è centrale. Francesco avverte il pericolo di una competizione tra giovani e anziani, è questo il cancro di una società che diventa non generativa e che produce giovani risentiti, sfiduciati. E per questo il papa insiste da due versi, nel dire che la società non sia esclusiva nei confronti degli anziani, che sono una riserva di saggezza, e dei giovani, che sono una riserva di energia. Ai giovani chiede di fare casino, di hacer lio come si dice in spagnolo. L’invito fondamentale che viene fatto ai giovani è anche di protestare, non tappare dentro la propria energia. Una cosa che mi colpì molto è quando incontrò i giovani cubani – e fu un incontro ad alto potenziale elettrico dove c’erano ragazzi di ogni tipo, anche quelli di Juventud Rebelde. Lui fece un discorso ecumenico: disse mettetevi tutti insieme per costruire la società, cristiani, comunisti, magari scazzatevi – non ha usato questo termine, ma il senso era quello – però insieme. Tutti insieme. Questa idea ovviamente ha dell’utopico, ma non un’utopia astratta, ma radicata nella vita di ciascuno.
E come si rapporta con i movimenti sociali?
Ancora più surreale è stato l’incontro in Bolivia, a Santa Cruz. Una marea di gente, i ragazzi in piedi sulle sedie, con le magliette del Che. E Francesco era perfettamente a suo agio, e io mi ricordo che mentre lo ascoltavo e avevo il testo sottomano, mi resi conto che lui non stava esponendo altro che la dottrina sociale della chiesa, né più né meno. Quando parlava è stato bloccato quaranta volte dagli applausi. Quaranta volte! Lui incarna un’energia che è la potenza del Vangelo, ma travalica i confini tra credenti e non credenti, comunisti o anticomunisti. Rispetto anche agli altri oratori politici che ho visto, è impressionante la differenza.
Tu dicevi giustamente che anche per i tempi non luminosi che ci apprestiamo a vivere, sta diventando una specie di leader mondiale morale, anche isolato.
Suo malgrado.
Come si confronterà con i nuovi estremismi, i nuovi fascismi?
Il papa non si pone contro nessuno. Ma ha ben chiaro cosa è evangelico, e cosa non lo è. Questa metafora del ponte e del muro che ha espresso all’inizio del suo pontificato è, come tutto il suo linguaggio, molto semplice: per questo arriva. Non vuole essere contro nessuno, ma è chiaro molto bene che è contro chiunque voglia costruire barriere. Però non si intromette nella vita politica, ma fornisce criteri, chiavi di lettura, con cui ognuno poi può giudicare.
È profetico.
Una profezia che in termini politici si traduce come soft power. E testimonianza di questo è l’interesse rinnovato della Cina. Per la prima volta in documenti ufficiali cinese si fa riferimento al Vaticano. E per la prima volta a questo papa nelle sue vite in Estremo Oriente è stata data l’autorizzazione per attraversare i cieli cinesi con l’aereo. E dall’altra parte a noi nei nostri incontri personali parla in continuazione di Matteo Ricci. Pochi giorni fa la rivista Global Times, un tabloid quotidiano cinese prodotto dal quotidiano ufficiale del Partito Comunista Cinese, ha messo lui in copertina.
È molto bella quest’immagine della libertà nei cieli del mondo.
Speriamo sia anche così in terra.
Antonio Spadaro ha poco di cinquant’anni è un prete e un comunicatore, è un gesuita ed è il direttore di Civiltà cattolica. Quando lo incontro a Roma, a via di Porta Pinciana, nella sede della rivista, in una mattinata di primavera precoce, la prima cosa che penso che è mi sembra una persona molto felice di quello che fa. È orgoglioso della sua rivista, e mi fa vedere le cinque edizioni che sono state stampate apposta per il numero 4000. Sfoglio la versione coreana che è effettivamente bellissima da un punto di vista grafico, e poi mi fa accomodare nella parete della letteratura, circonfuso dall’alone di Flannery O’ Connor e Cormac McCarthy.
Partiamo da colleghi? Da giornalista di una rivista simbolica della controcultura come Rollingstone al direttore della rivista cattolica più importante, Civiltà cattolica: ci incrociamo oggi ma ci siamo incrociati per la prima volta vent’anni fa in un festival di scrittura. Tu eri un giovane prete e critico e io un giovane scrittore. Sei sempre stato un battitore libero all’interno del mondo culturale della chiesa: il tuo interesse forte per scritture giovanili, letteratura contemporanea americana. Oggi quell’intuizione ha avuto un riconoscimento e tu hai un ruolo istituzionale.
Sentivo negli anni novanta e duemila una grande energia, la sentivo soprattutto nelle scritture dei ventenni, dei trentenni. Ho cominciato a scriverne per Civiltà cattolica. Forse perché non vedevo effettivamente nel mondo della chiesa persone che avessero interesse per la scrittura creativa, per la narrativa. Questo mi ha dato una sensibilità, ho imparato molto. E pensavo di continuare per questa strada, e poi mi sono imbattuto nella rete: mi sono accorto che quest’energia si era spostata lì, nelle scritture sui primi blog, nelle scritture personali. E il progetto che ho fondato, rivista e laboratorio di scrittura, Bombacarta, è nato lì. Pensa che anche il papa da giovane insegnava scrittura creativa al liceo. Ancora: ho cominciato a scrivere delle culture digitali: su cos’era il podcast, cos’era Secondlife. Anche qui ancora ho trovato una forte energia. A un certo punto – e siamo arrivati nel 2011 – mi è stato chiesto di dirigere Civilità cattolica. E lì mi sono trovato di fronte a un paradosso apparente: occuparmi di ipercontemporaneo nella rivista più antica d’Italia, fondata nel 1850, e la seconda più antica del mondo dopo La revue du monde, più antica di The nation. Ho cercato di portarmi dentro tutta questa energia in una rivista istituzionale: e allora ho visto cosa voleva dire innovazione nel 1850, cosa voleva dire fare una rivista in italiano per esempio, o secondo la tecnologia tipografica del tempo.
Questo tuo approccio curioso, famelico di contemporaneità, da quella che tu chiami cyberteologia a una Civiltà cattolica aperta alle serie tv, ai fenomeni anche più contraddittori della rete, ha ricevuto una nuova legittimazione, o una nuova spinta sicuramente con l’inizio del pontificato di Papa Francesco. Il papa si fida di te da subito, mi sembra. Cosa cambia? Quest’energia sembra assumere una qualità teologica?
Questo pontificato mi è esploso davanti. Io già nel papato di Benedetto XVI ero stato nominato Consultore del Pontificio Consiglio delle comunicazioni e di quello della cultura, ma con Francesco è successo qualcosa per la mia vita personale. Quando ho cominciato a sentirlo parlare – io non lo conoscevo – ho sentito una sintonia anche di carisma. Un giorno mi ha telefonato, provocandomi una specie di infarto: sono papa Francesco… Aveva letto un mio librino proprio sul passaggio tra Benedetto e lui. La mia impressione di questo pontefice in tutta la mia frequentazione da allora – le interviste che gli ho fatto, gli incontri e i viaggi – è di essere seduto vicino a un vulcano in eruzione. Ho percepito sempre – ancora – un’energia enorme, che fluiva però con continua calma. In questo momento, guardando la situazione del mondo – come mi ha detto un leader musulmano che lo conosce – è che il 13 marzo 2013 non sia stato eletto solo il capo della chiesa cattolica, ma un leader morale del mondo. E questo oggi lo sento quanto mai vero, vedendo la tensione, la paura, i muri che vengono costruiti: è l’unica grande figura di riferimento globale. Mi fa sentire una gigantesca responsabilità perché questa rivista, Civiltà cattolica è ed era e lui la sente come la sua rivista. Questo dall’altra parte però non vuol dire che sia un papa che va interpretato, comunicato, perché è un papa che non ha bisogno di mediazioni.
In che senso? È autoriferito?
No, il contrario. È diretto, è trasparente. Ti faccio un esempio: in un colloquio con la nostra redazione, ci ha parlato dell’importanza dell’immaginazione, e ci ha spinto a occuparci di cultura, di musica, di arte e di cinema. E quello che ho colto in quella conversazione e in altri casi è la sua grande sensibilità letteraria, lì citò I fari di Baudelaire. Ma non era una citazione messa lì a bella vista, in un’altra telefonata me la citò tutta in francese e spesso cita scrittori e poeti a memoria. Ama certi pittori e ne dà una lettura propria. Uno di questi è il fiammingo Memling . Oppure cita brani dall’opera lirica.
E quale è il tuo rapporto con lui?
Mi sono reso conto è quello che io sento di fare è un dialogo ininterrotto con il suo pensiero – non come un interprete ma come uno che parla della sua esperienza – o parlando con lui o leggendo i suoi testi o accompagnandolo nei viaggi, che è una cosa enorme. È una cosa enorme vedere cosa fa, come si comporta in viaggio, quali sono i suoi gesti, stare in sua prossimità. Il suo messaggio non sono solo le sue idee, ma passa attraverso il suo corpo. Io vedo proprio sulla corporeità una differenza tra due giganteschi comunicatori, tra Giovanni Paolo II e Francesco: Giovanni Paolo II aveva una grande esperienza di teatro, del teatro della parola, che lo segnò profondamente: Karol Woytla nasce poeta e attore, in un momento molto teso della storia polacca. Per Giovanni Paolo II la parola dava il ritmo al gesto, la cosa più importante era la parola. Mi ricordo un suo cd fatto dalla Sony in cui sembra che lui canti: aveva un ritmo di parola. Nel caso di Francesco è quasi l’opposto: è il gesto la fonte della parola. La parola accompagna il gesto. Nell’intervista che mi ha dato con i discorsi di quando era vescovo a Buenos Aires, mi ha colpito perché mi ha detto: il senso più spirituale è il tatto. Che è l’opposto di quello che normalmente si crede, perché si pensa che il senso più spirituale sia la vista, la contemplazione. Questo dice quanto per lui sia importante la prossimità. Anche quando predica ha bisogno di guardare qualcuno. E non è un caso che il libro abbia come titolo Nei tuoi occhi la mia parola. Lo ha scelto lui. Per questo le omelie di Santa Marta, queste omelie quotidiane fatte davanti a quaranta persone sono la sorgente del suo pensiero, che poi confluisce in testi più ufficiali.
E da vicino come è?
Beh, fisicamente alle volte si sbilancia a tal punto che sembra che cada. Io lo vedo nei viaggi, quando si proietta sulle persone, non le accarezza dall’alto, ma si sposta, perde l’equilibrio, si sbraccia, e a volte per questo cade, inciampa proprio, ruzzola. Però non si fa male. Quindi si lascia cadere. Dice: proprio non pongo resistenza, mi lascio cadere, e così non mi faccio niente. Dei colpi al cuore ovviamente mi vengono!
Rispetto a quello che anche un non credente definisce cultura e comunicazione, come parleresti di Spirito Santo?
Quando il papa ci ha detto di essere una rivista cattolica, ci ha detto di essere uno sguardo sul mondo con gli occhi di Cristo, non come se fossimo noi a portare qualcosa. Ci ha detto di non essere mai rivista da sagrestia. Lo Spirito Santo è attivo in tutte le culture, in tutte le civiltà. Perché Dio è il dio delle sorprese, è sempre più grande delle nostre aspettative. Francesco ci ha detto: siate scrittori dal pensiero incompleto, che pensano a come le tensioni si risolvano nell’unità, e di come davvero l’eucarestia e la misericordia possa essere un motore geopolitico.
E invece qual è il rapporto della chiesa con una rete sempre più privatizzata, da Google a Facebook?
La grande domanda del teologo è come il web si inserisce nel progetto di Dio sull’umanità. Noi sappiamo che c’è la grazia e il peccato. La rete si manifesta come luogo altamente spirituale, perché appunto c’è molto bene e molto male. Io vedo che quegli haters di cui si discute nel dibattito pubblico esistono e fanno danni per esempio negli ambienti cattolici più reazionari. La cosa ovviamente non si risolve uscendo dalla rete, ma entrandoci di più. Anche quando è nata Civiltà cattolica la sfida era di fare una rivista non in latino, ma nell’italiano delle riviste militanti, degli anarchici, dei liberali, dei socialisti: ormai la stampa c’era e i quotidiani vendevano migliaia di copie, non si poteva tornare indietro, oggi è la stessa cosa con la rete, occorre confrontarsi con le censure, cercare un’internazionalismo vero.
Il papa nella sua lettera diretta ai giovani fa un invito raro: nella grande società dell’insicurezza, non promette rassicurazione, paternalismo, controllo, ordine, ma rovescia questa retorica, e dice rischiate, sostiene che la sfida della propria vita non si giochi su un piano personale, morale, ma su quello collettivo, politico. Tu come la interpreti questa lettera?
Questo discorso del rischio è centrale. Francesco avverte il pericolo di una competizione tra giovani e anziani, è questo il cancro di una società che diventa non generativa e che produce giovani risentiti, sfiduciati. E per questo il papa insiste da due versi, nel dire che la società non sia esclusiva nei confronti degli anziani, che sono una riserva di saggezza, e dei giovani, che sono una riserva di energia. Ai giovani chiede di fare casino, di hacer lio come si dice in spagnolo. L’invito fondamentale che viene fatto ai giovani è anche di protestare, non tappare dentro la propria energia. Una cosa che mi colpì molto è quando incontrò i giovani cubani – e fu un incontro ad alto potenziale elettrico dove c’erano ragazzi di ogni tipo, anche quelli di Juventud Rebelde. Lui fece un discorso ecumenico: disse mettetevi tutti insieme per costruire la società, cristiani, comunisti, magari scazzatevi – non ha usato questo termine, ma il senso era quello – però insieme. Tutti insieme. Questa idea ovviamente ha dell’utopico, ma non un’utopia astratta, ma radicata nella vita di ciascuno.
E come si rapporta con i movimenti sociali?
Ancora più surreale è stato l’incontro in Bolivia, a Santa Cruz. Una marea di gente, i ragazzi in piedi sulle sedie, con le magliette del Che. E Francesco era perfettamente a suo agio, e io mi ricordo che mentre lo ascoltavo e avevo il testo sottomano, mi resi conto che lui non stava esponendo altro che la dottrina sociale della chiesa, né più né meno. Quando parlava è stato bloccato quaranta volte dagli applausi. Quaranta volte! Lui incarna un’energia che è la potenza del Vangelo, ma travalica i confini tra credenti e non credenti, comunisti o anticomunisti. Rispetto anche agli altri oratori politici che ho visto, è impressionante la differenza.
Tu dicevi giustamente che anche per i tempi non luminosi che ci apprestiamo a vivere, sta diventando una specie di leader mondiale morale, anche isolato.
Suo malgrado.
Come si confronterà con i nuovi estremismi, i nuovi fascismi?
Il papa non si pone contro nessuno. Ma ha ben chiaro cosa è evangelico, e cosa non lo è. Questa metafora del ponte e del muro che ha espresso all’inizio del suo pontificato è, come tutto il suo linguaggio, molto semplice: per questo arriva. Non vuole essere contro nessuno, ma è chiaro molto bene che è contro chiunque voglia costruire barriere. Però non si intromette nella vita politica, ma fornisce criteri, chiavi di lettura, con cui ognuno poi può giudicare.
È profetico.
Una profezia che in termini politici si traduce come soft power. E testimonianza di questo è l’interesse rinnovato della Cina. Per la prima volta in documenti ufficiali cinese si fa riferimento al Vaticano. E per la prima volta a questo papa nelle sue vite in Estremo Oriente è stata data l’autorizzazione per attraversare i cieli cinesi con l’aereo. E dall’altra parte a noi nei nostri incontri personali parla in continuazione di Matteo Ricci. Pochi giorni fa la rivista Global Times, un tabloid quotidiano cinese prodotto dal quotidiano ufficiale del Partito Comunista Cinese, ha messo lui in copertina.
È molto bella quest’immagine della libertà nei cieli del mondo.
Speriamo sia anche così in terra.
Articolo pubblicato oggi su http://www.minimaetmoralia.it/
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